Dramma familare o disaster-movie? Scontro fra sorelle o tra pianeti? L'incipit di Melancholia richiama quello di un film, The Tree of Life, altrettanto discusso, discutibile e firmato da un regista borderline tanto quanto Lars von Trier. Visioni fantastiche di remote galassie, pianeti, stelle, musica classica, slow motion, scorci terrestri rarefatti e romantici: lo spleen fatto immagine. Se Malick celebra la vita e le sue difficoltà, Von Trier racconta con pochi rimpianti l'ineluttabilità della morte.

Melancholia è un pianeta nascosto dal Sole che, all'improvviso, compare nella nostra galassia, proprio mentre Justine, una intensa e affascinante Kirsten Dunst, sta per celebrare il suo sfarzoso matrimonio nella lussuosa villa messa a disposizione dal marito della sorella Claire (Charlotte Gainsbourg, che a Cannes avrebbe meritato anch'essa un riconoscimento). Il quadretto di famiglia felice va in pezzi dopo pochi minuti. La cerimonia è surreale, ipocrita, devastante per tutti: il vecchio padre non c'è più con la testa, la madre è altera, cinica e assente, il marito imbarazzato e imbarazzante, un testimone, nonché datore di lavoro di Justine, avido, stupido e tronfio. Alla fine della serata va tutto in rovina, ma ben presto nulla avrà più un senso perchè la Terra ha i giorni contati. Così, inizia l'attesa…

Lars Von Trier non dev'essere un grande estimatore del genere umano e il “bestiario” proposto nel film non fa che confermare questo sospetto. Perchè il mondo dovrebbe salvarsi, se a estinguersi sarà un'umanità così malvagia? Là fuori, negli spazi infiniti, non c'è un altro mondo abitabile, non c'è vita nell'universo e allora, ben venga la collisione fatale. Il giudizio morale sui personaggi è spietato: anche nel momento più prossimo all'estinzione l'uomo cerca di fuggire dal suo destino, abbandonando i propri simili (i genitori spariscono senza lasciare traccia), illudendo sé stesso (il continuo ripetere che il pianeta vagante per lo spazio sfiorerà la Terra senza colpirla), cercando sicurezza in dogmi e regole stupide e senza senso (il gioco dei fagioli). Equidistante da tutti e tutto è Justine, aliena in Terra, che vaga solitaria per la tenuta, in quanto ha definitivamente ripudiato e distrutto le maschere che tutti coloro che la circondano continuano imperterriti ad indossare.

Von Trier, come suo solito, almeno da quando ha ripudiato il “Dogma” da lui stesso creato, propone una regia estetizzante (i rallenty, già visti in Antichrist, il nudo integrale della Dunst in una sequenza/quadro), ricca di virtuosismi tecnici, supporata stavolta da semplici ma al tempo stesso efficaci effetti speciali, che rendono particolarmente credibile la seconda metà del film, caratterizzata dalla febbrile attesa dell'impatto. Da questo punto di vista è curioso notare come, fatte le ovvie e debite proporzioni con le produzioni ad alto budget americane, Melancholia sia un fantastico “disaster movie” che, non potendo puntare sull'effetto “wow”, spesso posticcio, di quasi tutte le opere di questo filone, si concentra sulle persone, sull'attesa, sul tempo che scorre inesorabile e porta alla rovina, riuscendo a trasmettere un autentico senso di disagio ed inquietudine.

Grande sorpresa del film è Kirsten Dunst, attrice che già in tempi non sospetti aveva dimostrato di avere la stoffa per interpretare personaggi non bidimensionali, ma sembrava, come molte altre attrici americane della sua generazione, destinata a essere celebrata esclusivamente come icona sexy di qualche saga miliardaria. La sua Justine, apatica e fragile, assente e dissociata, emerge come stella polare e cometa del film, azzerando tutti gli altri personaggi, eccezion fatta per la sorella Claire, l'altro lato della medaglia, la persona sicura e razionale che ovviamente risulta poi la meno idonea a gestire la “fine del mondo”.

Melancholia è un'opera complessa, ricca di metafore, affascinante e straniante, paradossale e a volte inconcepibile: estrema, come tutte quelle di Von Trier che, come al solito, dividerà e farà discutere, si spera molto più delle farneticanti esternazioni rilasciate dal regista sulla Croisette. In ogni caso, pazzo Lars, stavolta hai centrato il bersaglio.



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Andrea Chirichelli

Classe '73. Giornalista da tre anni, ha offerto il suo talento a riviste quali Wired, Metro, Capital, Traveller, Jack, Colonne Sonore, Game Republic e a decine di siti che ovviamente lo hanno evitato con anguillesca agilità. Ha in forte antipatia i fancazzisti, i politici, i medici, i giornalisti e soprattutto quelli che gli chiedono foto.

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