Bella questa nuova serie BBC!
Bella e sorprendente, perché prendere il personaggio di Sherlock Holmes e buttarlo nella Londra del 2010, risulta un’idea più brillante di quanto non potesse sembrare.

Costruito su tre film da novanta minuti, la prima serie di Sherlock colpisce nel segno guadagnandone subito una seconda (attualmente in lavorazione) e lasciando in ricordo un sorriso compiaciuto e composto come quello dell’impagabile Benedict Cumberbatch, interprete del geniale investigatore britannico.

Il suo Holmes, così come quello cinematografico di Robert Downey Jr., è profondo debitore dell’acclamato Dr. House che, di suo, prendeva a piene mani dal personaggio ideato da Sir Conan Doyle. Questo Sherlock è geniale, cinico, affilato e soprattutto annoiato.

La noia della mente geniale è la molla che muove l’investigatore, più della ricerca della verità e, di certo, più del bisogno di giustizia, che è solo un effetto collaterale delle sue indagini. Indispensabile, per la costruzione del personaggio, è anche la presenza del nostro Watson, riletto come reduce dalle guerre moderne e non solo avvezzo all’azione, ma addirittura bisognoso di emozioni estreme. Un altro uomo fuori posto che funziona da perfetto compagno di scorribande per l’irriverente Sherlock.

SHERLOCK

Il primo fra i tre episodi, A Study in Pink, oltre a richiamare la prima avventura letteraria del prode investigatore (A Study in Scarlet/Uno Studio in Rosso), introduce tutte le caratteristiche della serie: battute taglienti, casi aggrovigliati, delitti inesplicabili e personaggi ambigui che sguazzano fra emozioni, aspirazioni e ruoli (vedere la fuorviante presentazione del primo ‘arcinemico’). L’episodio, inoltre, presenta da subito il taglio registico ‘urbano’ e le sequenze in tilt-shift, ossia l’espediente visivo che trasforma la scena in un piccolo diorama in movimento.
Questo caso ha uno sviluppo brillante ma, probabilmente appesantito dalla necessità di introdurre il mondo e i personaggi, si chiude in maniera affrettata e vagamente insoddisfacente.

Il secondo episodio, The Blind Banker, si muove con toni più action, forse abusando e fraintendendo quello che ci si aspetterebbe essere il mood di un personaggio simile. Seppure graziato da momenti di puro divertimento derivanti dai siparietti del petulante Sherlock, è questo l’episodio più debole del trittico.

È affidato all’ultimo episodio, The Great Game, l’esplosione di tutto il potenziale della serie. In una puntata che, in sostanza, racchiude in sé gli spunti di altre cinque. Sherlock si trova ad affrontare il suo nemico storico, Moriarty, anch’egli aggiornato ai nostri giorni. È la sfida fra due menti superiori fatte l’una per l’altra e capaci, vicendevolmente, di affievolire la noia cosmica che alberga il loro genio. L’apice della serie si raggiunge, infatti, non nello scontro concreto fra i due avversari, ma nel momento della tensione “ludica” che unisce i loro spiriti affini: Sherlock è costretto a risolvere una serie ravvicinata di enigmi posti dalle stesse vittime di Moriarty. È una discesa a rotta di collo, un countdown continuo che ispira e diverte l’investigatore, pago delle emozioni che cerca, temporaneamente mondato dalla noia che lo affligge.

Di sicuro intrattenimento, la serie va segnalata per la sua formula atipica. A fronte dell’ennesimo possibile serial, si è preferito il modello del film che, giustamente, valorizza storia e personaggi, senza costringere finanziatori e spettatori a ingenti investimenti (di soldi i primi, di tempo i secondi). Se a questo si aggiunge un cast azzeccatissimo, trovate registiche peculiari (il tilt-shift, la resa dei processi mentali deduttivi di Sherlock) e lo humor velenoso della serie, il suggerimento non può che essere di vederne almeno il primo episodio. Gli altri due seguiranno di conseguenza, garantito.

Questa recensione è tratta da Players 02, che potete scaricare gratuitamente dal nostro Archivio.



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