Se si guarda la Terra dalla Luna, la prima cosa che si scorge distintamente è l’ego smisurato di Tomonobu Itagaki. Il game designer nipponico è noto per la schietta strafottenza con cui demolisce il lavoro dei suoi concorrenti, ma non gli può essere negato il merito di aver rivoluzionato i giochi d’azione. Attraverso i due episodi-reboot della serie Ninja Gaiden, Itagaki ha consegnato alla comunità videoludica il personaggio di Ryu Hayabusa, un guerriero virtuale talmente poliedrico che, per essere padroneggiato, richiedeva al giocatore d’integrare al meglio strategia, abilità e riflessi, come in una sessione di chess boxing. Dopo le dimissioni del game designer dal team di sviluppo, quest’ultimo si è trovato a sostenere da solo la gestazione di Ninja Gaiden 3 e ha deciso di deviare dal percorso tracciato in precedenza, a partire proprio dall’approccio ai contenuti marziali.

Con Ninja Gaiden 3, il baricentro del combat system si è drasticamente spostato dal confronto tattico contro un numero ridotto di rivali, assai eterogenei per tipologie e ben differenziati sul piano ludico, a un massacro da mischia ragionato, con molti nemici contemporaneamente, i quali, però, mancano di spessore e varietà. In sostanza, la sfida è ora relazionata alla quantità di avversari, piuttosto che all’arguzia mostrata dagli stessi nel mettere in atto schemi d’attacco articolati, difficili da prevedere e, quindi, da controbattere, vanificare o anticipare.

Di conseguenza, il ninja Hayabusa risulta meno frastagliato sul frangente bellico, presentando un arsenale costituito da una sola arma principale non potenziabile (sebbene altre due siano disponibili sottoforma di DLC), il che riduce sensibilmente sia il ventaglio di combo, sia le opportunità difensive e offensive. In merito a queste ultime, l’unica aggiunta di rilievo è lo “steel on bone”. Si tratta di una tecnica attivabile dopo aver fiaccato un nemico e che permette di giustiziare il malcapitato in un sol colpo, consentendo, inoltre, di avviare una serie concatenata di affondi, i quali, se mandati a segno, uccidono all’istante gli avversari circostanti.

In altre parole, infierendo sull’anello debole di un’ondata di nemici, è possibile, con un po’ di pratica e altrettanta fortuna, generare una combo in grado di trasformare l’intero gruppo di avversari in una moquette di cadaveri. Indubbiamente, questa feature apre interessanti spiragli verso l’approfondimento del combat system, ma non offre una robustezza paragonabile alle varianti tattiche sperimentate nei prequel. Le possibilità di massimizzare gli effetti della tecnica, infatti, sono in una certa misura dettate dal caso, facendo sì che lo steel on bone risulti una risorsa piuttosto difficile da sfruttare con assoluto raziocinio.

Il principale elemento di rottura con i passati episodi sta, però, nell’annullamento dell’interazione strategica del protagonista con lo sfondo, che conferiva ulteriore profondità ai combattimenti e costituiva uno degli elementi più interessanti introdotti da Itagaki nel mondo dei giochi d’azione. Così, non c’è più traccia di quel rapporto deliziosamente dinamico tra Hayabusa e l’ambiente circostante, trasmesso per mezzo di un moto inerziale talmente realistico da far sembrare il ninja un praticante di parkour.

Il tutto viene ora risolto in maniera scriptata, tramite quick time events, come le arrampicate con i pugnali kunai, da effettuare in momenti prestabiliti, alternando la pressione dei tasti dorsali destro e sinistro del pad. Questo cambiamento di rotta si riflette sul level design, il quale abbandona la strutturazione organica degli ambienti, caratteristica della serie, in favore di un assemblaggio modulare di corridoi e stanze, che fanno da cornice passiva all’azione e non offrono varianti esplorative o platform.

L’estetica delle location e dei personaggi è altrettanto arida, monotona e poco ispirata. Le architetture barocche e le orde di demoni bizzarri à la Devilman, che coloravano i primi due episodi, sono ormai un ricordo. Ninja Gaiden 3  si consuma per lo più all’interno di telai scenografici asettici e ordinari, mentre il ridotto assortimento di avversari si risolve in una manciata di tipi differenti di militari, qualche veicolo da guerra futuristico e negli ZOIDS, sì gli ZOIDS… proprio questi ZOIDS! Solo l’occasionale presenza di alcuni mutanti-cyborg e di un paio di ambientazioni ispirate lasciano riaffiorare un’ombra di quell’estroso design visto nelle iterazioni del franchise griffate da Itagaki.

Va detto che, anche nella trilogia originale per NES, Ninja Gaiden III era l’episodio dal look più tecnologico e meno “mistico”, ma è pur vero che nella versione a 8 bit c’erano persino dei mercenari con una zucca di Halloween al posto della testa, quindi è meglio lasciar perdere qualsiasi retro-confronto sul piano estetico.

A inspessire ulteriormente l’aura di grigiore che avvolge il gioco c’è una trama invasiva, tanto carente di atmosfera quanto priva di credibilità. La sobria epica d’Itagaki lascia il posto a un polpettone noioso e a tratti confuso, sovraccarico di pretestuosi ammiccamenti agli episodi precedenti, sia recenti che vintage (come l’inutile cameo di Robert T. Sturgeon, il militare statunitense che faceva da spalla ad Hayabusa in alcuni dei giochi per NES).

La sovraesposizione del protagonista in un contesto così grottesco fa regredire la figura del ninja a quella di un imbarazzante eroe da B movie, talmente “ruvido fuori e tenero dentro” da sembrare uno schizofrenico allo stadio terminale. Per esempio, prima vediamo Hayabusa massacrare a sangue freddo un nemico inerme, che supplica di essere risparmiato per potere abbracciare di nuovo i suoi figli, e poi lo troviamo a prendersi cura di una bimba, con stucchevole savoir faire paterno.

Nel complesso, Ninja Gaiden 3 è la pecorella smarrita del gregge d’Itagaki, che, orfana del suo pastore, si aggira allo stato brado, abbandonando la filosofia del branco. Il gameplay non approssimativo ma spartano, che agisce principalmente in maniera sottrattiva nei confronti della struttura dei prequel, fa sì che questo capitolo si riveli come il peggior Ninja Gaiden della trilogia moderna. Se preso come action game a se stante, però, il prodotto risulta godibile e di discreta profondità, ideale per chi cerca una sfida impegnativa ma non eccessivamente tecnica. In ogni caso, purtroppo, l’appeal del gioco viene smorzato dall’estetica anonima, inferiore a quella di titoli già poco brillanti sotto questo aspetto, come Ninja Blade.

In definitiva, Ninja Gaiden 3 è un brutto sogno per la maggior parte dei fan della serie, un action game spinoso per i casual gamer,  un buon compromesso per i giocatori più smaliziati, che si accontentano di guardare il bicchiere mezzo pieno. Certo è che il tracotante Itagaki se la starà ridendo alle spalle dei suoi ex colleghi.



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Piero Ciccioli

Coniuga da anni la sua professione di ricercatore scientifico a quella di articolista e saggista specializzato in videogiochi, cinema d’exploitation, horror, fumetti e nei più disparati prodotti di entertainment d’origine nipponica. Nutre una viscerale predilezione per tutto ciò che è weird e sogna di radere al suolo una riproduzione in cartapesta di Tokyo, vestito da Godzilla.

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