Facciamo un esperimento. Prendiamo l’intera filmografia degli ultimi vent’anni di Woody Allen e giudichiamola dimenticandoci che sia di Woody Allen.
Terribile, vero? La bulimia del resto è una patologia riconosciuta e potenzialmente letale. Certo, ogni film è sempre quanto meno godibile e ha una o due buone idee o battute di quelle che si ricordano e strappano il sorriso e ti fanno pensare che “lui ne sa”. Però. Guardare Io e Annie, Manhattan, Zelig, Hannah e le sue sorelle, Radio Days e pensare che vengono dalla stessa mano dietro a questo To Rome with Love, beh, un po’ deprime.

L’ultima fatica di Allen viaggia a due velocità e racconta quattro storie non connesse fra loro. Nel primo episodio Woody Allen (che torna davanti alla telecamera dopo più di un lustro) e Judy Davis sono una coppia in viaggio a Roma per conoscere i futuri suoceri, dato che la figlia ha deciso di sposare un italiano. Nel secondo capitolo Roberto Benigni è un uomo che, per errore, viene scambiato per una star e si ritrova costretto a correre e rifugiarsi per tutta la capitale; nel terzo Alec Baldwin è un architetto californiano, in visita a Roma con alcuni amici mentre nel quarto e ultimo episodio Alessandro Tiberi e Alessandra Mastronardi (oggesùcristo) sono una giovane coppia in visita ai membri delle loro rispettive famiglie, alcuni dei quali si sono persi tra i vicoli della città.

Ci credereste? I segmenti con attori americani funzionano, quelli con gli italiani molto meno. Letteralmente ammazzato dal doppiaggio, che annulla e pialla senza pietà ogni diversità linguistica (che sarebbe invece fondamentale, specie nell’episodio “misto”, quello con Allen protagonista) To Rome with Love brilla di puro genio alleniano quando racconta l’innamoramento del giovane Eisenberg per la surreale Ellen Page, con Alec Baldwin a fare da mentore e maestro nella complicata arte dei sentimenti. Qui c’è Woody al 100%: dialoghi colti, intelligenti, interpretati alla perfezione dal fantastico ensemble (occhio anche a Greta Gerwig, “indie” di professione). La ragione per vedere il film.

Gli episodi italiani sono innanzitutto un inno al casting selvaggio. Immaginiamo attori pronti a uccidere e attrici a darla via (o viceversa) pur di apparire in un film del Maestro, ove anche una sola posa senza battute può permettere di rifarsi una verginità artistica per gli anni a venire. Il capitolo con Benigni è ovviamente costruito attorno a lui ed il comico toscano se la cava egregiamente (bellissima la chiosa finale, che esplicita un’amara verità). Piuttosto inutile invece la pochade sentimentale che ruota attorno a Alessandro Tiberi e Alessandra Mastronardi: script pessimo, recitazione da parrocchia, camei oggettivamente incomprensibili (Scamarcio…). Il tutto diretto con la mano sinistra. Bendato. Stando in piedi su una gamba sola.

Che dire quindi? Alla fine il bilancio è tutto sommato positivo, ma siamo lontanissimi dai capolavori di un tempo; questo è un tenersi occupato divertendosi e con la consapevolezza di aver più nulla da dimostrare. Woody si appropinqua, come tutti, alla morte, e ogni battuta riuscita e divertente la evoca più o meno indirettamente. Lui ci ha insegnato che il trapasso non va temuto, in quanto foriero di un drastico taglio alle spese e quindi, finchè vorrà andare a spasso per l’Europa a girare film inutili ma godibili, noi lo sosterremo ed ameremo lo stesso.



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Andrea Chirichelli

Classe '73. Giornalista da tre anni, ha offerto il suo talento a riviste quali Wired, Metro, Capital, Traveller, Jack, Colonne Sonore, Game Republic e a decine di siti che ovviamente lo hanno evitato con anguillesca agilità. Ha in forte antipatia i fancazzisti, i politici, i medici, i giornalisti e soprattutto quelli che gli chiedono foto.

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9 Comments

  1. Io devo dire che Whatever Works mi ha fatto ammazzare dal ridere (ma immagino sia più per Larry David) e che Vicky Christina Barcelona comunque mi ha preso a cazzotti in faccia. Non è tutta brutta l’ultima roba, dai. 

  2. Diciamo che considerando la “media” del valore degli ultimi film, sono d’accordo con te… ma devi ammettere che ci sono le eccezioni. Il sopra citato Vicky Christina Barcelona, ma anche Basta che Funzioni e ci metterei anche l’insolito ma ben costruito Match Point. Ok non hanno lo smalto dei vecchi film di Allen ma non mi hanno deluso, al contrario di molti dei recenti altri.

  3. Sì, ma oggettivamente non c’è storia. Poi ribadisco, i guizzi non mancano, ma se sforni un film all’anno è evidente che le idee non possono essere sempre fresche e brillanti. Mi si dirà: ma Allen ne fa uno all’anno da quando ha iniziato la sua carriera…appunto. Oramai “la botte è rimasta aperta troppo a lungo e la memoria è evaporata”. Aggiungo inoltre che mi sento sempre a disagio quando vedo attori italiani alle prese con registi stranieri e altri attori stranieri/americani, c’è proprio un gap incomparabile con quelli di altra nazionalità. Il confronto Page/Mastronardi è imbarazzante. 

  4. Onestamente, dopo la bimbominkiata girata con instagram (Parigi senza persone di colore?!), dove owen wilson (che per anni ci hanno mostrato come un figo) recita la parte di woody allen, che ormai da ultracentenario non può più fare quello che si sposa le 30enni, risparmierò i miei soldi e vomiterò tutto il mio disprezzo aprioristicamente 

    1. Mah, secondo me Owen Wilson come alterego di Woody ci può anche stare.
      Di certo non è un nome associabile ad action movie tout court: vado a
      memoria, ma l’unico “blockbuster” in cui ha recitato è stato Armageddon,
      quando era poco noto. Quanto alla figosità…ehm, sì, in Zoolander :-)

      Inoltre il fatto che frequenti da anni gli strizzacervelli e abbia
      tentato il suicidio una volta (quasi riuscendoci), lomette almeno sul
      piano delle mere nevrosi, almeno “vicino” ad Allen. In Midnight in Paris
      non sfigurava, chiaro che poi dipende dallo script che si usa: la combo Larry David/Boris Yellnikoff è forse la più felice in assoluto nella filmografia di Allen senza Allen. 

      1.  si ma uno è un nano ebreo che se soffi cade l’altro è una specie di prototipo di surfista (http://dianeschneiderhairstylist.blogspot.it/2010/05/surfs-up-dude.html) biondo, mascella quadrata.. non mi sembrano esattamente la stessa cosa. 

  5. Larry David è un signor comedian. E’ stato perfetto come alter ego di Allen… ma anche lui veleggia verso i 70 e non credo sia molto interessato a faticare sui set cinematografici, visto che è una delle star più ricche del mondo (e sconsciutissima in Italia) e si considera più autore che attore!

  6. Non dobbiamo fare l’errore di cui parla proprio Midnight in Paris, valutare ogni cosa con la bilancia del passato. Negli anni ’90 Allen ha girato dei gioielli, tra cui Ombre e Nebbia e il geniale Harry a Pezzi, oltre ai divertentissimi Misterioso omicidio a Manhattan e La dea dell’amore (con delle fantastiche trovate sul teatro greco). E anche gli anni 2000 hanno riservato gioielli come Anything Else (sottovalutatissimo) e Whatever Works, oltre al godibilissimo Vicky Christina Barcelona e all’intelligentissimo Melinda & Melinda. Dobbiamo ammettere che siamo molto influenzati dalla fama che alcuni film hanno rispetto ad altri, e quindi si finisce sempre per parlare di Io e Annie e Manhattan, ma credo che bisogni giudicare ogni film per il suo valore. To  Rome with Love è quattro film in un uno, una mitragliata corale frizzante e colorata, piacevolissima e con tante frecciate al giornalismo e al finto moralismo che cela il sottobosco di giri di escort e quant’altro. La leggerezza di Woody nasconde sempre intelligenza. Il fatto che faccia un film all’anno non vuol dire che si stia svendendo, ma che ha tante idee e una voglia inesauribile di raccontare storie, e questo film è emblematico a tal proposito. Ps. Ho avuto l’impressione che Tiberi, Mastronardi e Scamarcio non avessero mai recitato così bene. Li avete mai visti in altri film o prodotti televisivi? Non credo ci sia alcun paragone, la direzione degli attori è forte negli episodi italiani come in quelli americani (anche se ovviamente Baldwin è Baldwin e così vale per Page e Eisemberg)

    1. Il fatto è che Tiberi, Mastronardi e Scamarcio recitano (quest’ultimo malissimo mentre il primo rifà sostanzialmente la parte che ha in Boris) , mentre Page, Eisenberg e Gerwig “sono”. La sequenza in cui la Page racconta di essere stata a letto con una donna mentre Einsenberg si fa i viaggi mentali è di una naturalezza sconcertante (se non la guardi doppiata, of course), mentre gli attori nostrani sono quasi tutti “impostati” con forse la sola eccezione di Albanese che però proprio non riesce a rinunciare a certe sue movenze classiche. Cmq il livello degli attori che abbiamo oggi in Italia è quel che è, si vede benissimo che non mettono quasi mai il naso fuori dai patrii confini, appaiono davvero dei provincialotti rispetto ai pari età americani, per mille ragioni diverse. 

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