Tenzin, dopo la morte della madre, lascia la città in cui ha vissuto fino a quel momento per andare a vivere con suo padre in una sperduta località sull’altopiano del Tibet. Qui si scontra con un genitore che conosce poco e con una vita spartana e difficile. Un giorno è testimone di una lotta fra alcuni cani da guardia tibetani ed incontra un molosso caratterizzato dalla pelliccia dorata, che in breve tempo diventa il suo migliore amico. Ma una grave minaccia incombe…

The_Tibetan_Dog

Classica storia di formazione, The Tibetan Dog è un racconto convenzionale ma non per questo disprezzabile: un Lassie in salsa anime, caratterizzato da quel tanto di realismo e violenza in più rispetto alla media, da elevarlo ben sopra le classiche pellicole “con animali” cui ci ha abituato il cinema americano e occidentale. Niente facili morali, grandi scene d’azione, bei dialoghi, ottimi twist e un climax finale che, per quanto prevedibile, riesce ad appassionare e coinvolgere.

Che i talenti dietro alla produzione non manchino è palese: il film è diretto dal regista Masayuki Kojima (Monster), disegnato nientepopodimenoche da Naoki Urasawa (20th Century Boys, Pluto) e animato da Shigeru Fujita (Summer Wars, La ragazza che saltava nel tempo), con la direzione artistica di Yuji Ikeda (Ninja Scroll). Insomma la qualità c’è, e molto spesso si vede.

Quello che parzialmente delude è l’originalità dello script che, se da una lato è efficace nel mettere in scena e raccontare il rapporto simbiotico che si instaura tra il bambino e l’animale, difetta quando cerca di allargarsi ad altre situazioni e personaggi. Molti, troppi dei soggetti (umani, i cani sembrano avere quasi maggiore personalità) che gravitano attorno al protagonista appaiono sbiaditi e bidimensionali. Piccoli dettagli surclassati dagli eccelsi valori produttivi messi in campo da Madhouse e da China Film Group Corporation, peraltro primo esempio di collaborazione fattiva a livello cinematografico animato tra Giappone e Cina.



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Andrea Chirichelli

Classe '73. Giornalista da tre anni, ha offerto il suo talento a riviste quali Wired, Metro, Capital, Traveller, Jack, Colonne Sonore, Game Republic e a decine di siti che ovviamente lo hanno evitato con anguillesca agilità. Ha in forte antipatia i fancazzisti, i politici, i medici, i giornalisti e soprattutto quelli che gli chiedono foto.

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3 Comments

  1. Mi hai un poco smorzatol’hype! ;-(
    Considero Urasawa il più grande mangaka vivente e il suo monster un capolavoro senza pari (la serie animata ancora più del manga) è speravo in un altro prodotto di eccellenza…

    1. Esteticamente è molto bello. Ma la storia è abbastanza noiosa, infatti non credo che l’abbia scritta lui.

  2. Infatti, la storia non è di Urasawa.

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