Dopo Silent Hill, Alan Wake, The Killing – solo per citarne alcuni – la folta schiera degli omaggi a Twin Peaks ha un ennesimo esponente. Se il titolo Konami, e la relativa pellicola su licenza, si accontentano di assorbire solo alcune suggestioni, mentre i successivi esperimenti americani ne ricalcano alcuni misteri e luoghi, Deadly Premonition si spinge ben oltre la semplice ispirazione.

Il calco giapponese raccoglie il pout pourry stilistico dell’originale mischiando love story con allucinazioni, colorando il noir con tinte demenziali, miscelando indagini federali con il paranormale. Bastano pochi minuti per accorgersi della minuziosa somiglianza: il caso attorno cui ruotano tutte le vicende è lo stesso del serial lynchano.

Una giovane teenager viene brutalmente uccisa in una cittadina della provincia americana, gli abitanti sono scossi da questa inusuale brutalità, e un detective dell’FBI, Francis York Morgan, assume il comando delle indagini. Che l’intenzione di Hidetaka “SWERY” Suehiro, director del titolo, fosse quella di imitare fedelmente l’originale, lo conferma ogni dialogo della sceneggiatura, in special modo l’ossessione del protagonista col cibo e il caffè, l’atmosfera dei bar e dei locali notturni, i segreti tradimenti di molti comprimari.

Queste somiglianze tramutano il prodotto televisivo in un videogioco sandbox. Deambulare liberamente per la cittadina offre il miraggio di poter abitare i luoghi degli omicidi, ma l’impianto rimane forzatamente orientato alla progressione narrativa, unica vera attrattiva del pacchetto, confermata da molte sezioni in stile avventura grafica. Le fasi di combattimento, quando l’inevitabile dimensione mostruosa riempie gli spazi virtuali di zombie, sono talmente macchinose da stancare fin da subito.

Anche il comparto tecnico, sebbene si affidi a soluzioni cromatiche molto evocative, funziona per il solo fatto di richiamare l’immaginario televisivo degli anni ’90, che spesso sfocia in volontaria (?) ricerca del kitsch. Nonostante questi problemi, Deadly Premonition riesce nell’intento di coinvolgere ed appassionare. Ciò è dovuto innanzitutto alla sua trama, che sa raccogliere le ispirazioni e svilupparle toccando le corde giuste, sposando i registri dell’horror, del popcorn movie e del poliziesco; e in secondo luogo, ad una riuscita strategia meta-referenziale.

Oltre al riferimento al lavoro di David Lynch, già una finestra aperta verso la cultura televisiva, il nevrotico protagonista sotto il nostro controllo sposta sempre l’orizzonte oltre il videogioco: nei lunghi tragitti in macchina, prima di ogni momento “allucinato” e in molte altre occasioni, dialoga con un personaggio inesistente, di nome Zach. Non è un mistero che questo personaggio alluda al giocatore stesso, dati anche i frequenti sguardi in camera.

Tuttavia, questo espediente apre la porta verso un tipo di immedesimazione particolare: più che sentirci protagonisti, abbiamo l’impressione di accompagnare il detective, venendo continuamente interpellati, ora con cenni di implicita intesa, poi con richieste di aiuto, e infine con dialoghi che trattano esplicitamente di noi.

Particolarmente interessanti i monologhi in automobile, nel quale il detective si rivolge a Zack descrivendogli i suoi dischi e film preferiti. Da Lo Squalo di Spielberg, fino ad arrivare alla musica punk dei Ramones, il titolo si specchia continuamente nella cultura contemporanea, moltiplicando le suggestioni e le prospettive di lettura, infoltite di simboli pop.

Lo stesso finale sorprende per come risolve queste suggestioni referenziali, rimischiando le carte in tavola senza snaturare lo spirito provinciale-paranormale di tutto il pacchetto. Ne risulta un prodotto imperfetto, un compromesso tecnico e ludico, ma dentro cui brilla un cuore post-moderno, intessuto tramite una fitta ragnatela di riferimenti, un riuscito mix di immaginari consolidati, ma di cui per la prima volta ci si sente parte integrante, controller alla mano.



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