I due film di Guy Ritchie, gli omaggi espliciti e insistiti in House M.D., l’ottima rivisitazione britannica (Sherlock), e ora anche Elementary, più una mezza vagonata di narrativa: basta dare un’occhiata alla produzione mediale recente, anche quella degli ultimi cinque anni, per ribadire come il personaggio di Conan Doyle abbia ancora un’attrattiva considerevole presso il grande pubblico.
Il serial di CBS s’inserisce nella scia della controparte BBC, tentando di portare ai giorni nostri le gesta dell’investigatore londinese. Due differenze sostanziali, oltre all’assenza di licenze ufficiali che permettano lo sfruttamento delle storie originali, contraddistinguono questa nuova uscita; per prima cosa, l’ambientazione americana, qui rappresentata da una invero fin troppo europea Brooklyn che per il momento, tolte alcune inquadrature aeree, non incide più di tanto nell’economia narrativa.

Più radicale la scelta di sostituire l’assistente di Sherlock con una donna, in questo caso Lucy Liu, ribattezzata per l’occasione Joan Watson. Il suo arrivo nella residenza di Holmes ci rivela il background dei rispettivi personaggi: per quanto riguarda il detective, ha appena abbandonato Londra, città in cui si era contraddistinto per una collaborazione non meglio specificata con Scotland Yard, approdando negli States per curare la sua dipendenza. Quanto a Joan, è nient’altro che la sua “partner sobria”, mandata dal padre di Holmes per aiutarlo a disintossicarsi.

Inutile dire che la personalità del detective sposterà subito il fulcro delle vicende dalla dipendenza da stupefacenti alla consueta risoluzione di crimini a base di argute osservazioni e conseguenti deduzioni. Al di là del delitto del caso, la cui risoluzione segue il classico andamento del genere poliziesco e si conclude al termine dell’episodio, il successo della serie dipenderà probabilmente dall’alchimia che si verrà a creare tra i due comprimari.

A livello di personalità generale, infatti, il pacchetto paga pegno rispetto al prodotto televisivo britannico; attori più quadrati, scelte visive al passo con i tempi e una colonna sonora particolarmente azzeccata – oltre a una spalla che si limita a fare davvero la spalla, contribuendo in maniera esponenziale a far risaltare il protagonista – restituiscono un quadro generale più convincente.

La somiglianza del contesto è d’altronde un altro punto a sfavore, e sebbene l’accento sull’antipatia del personaggio e sulla pervasività delle nuove tecnologie è meno marcato, entrambi gli aspetti sono ben rappresentati, spesso anzi centrali per la riuscita di alcune gag. Ne deriva che l’originalità e il successo della serie dovrà misurarsi proprio sulle componenti che potrebbero far storcere il naso ai fan più intransigenti del canone doyliano.

Della prima – la città di Brooklyn – si è già detta la non fondamentale influenza nella progressione narrativa, perlomeno nel caso di questo pilot; per quanto riguarda la nuova spalla, invece, già l’approfondimento che svela il suo insuccesso come chirurgo, professione abbandonata a causa di un errore mortale, e il suo efficace stemperare i toni del partner in più di un’occasione, ribadiscono che si tratta di un punto su cui i produttori indubbiamente contano molto. D’altronde il pur bravo Jonny Lee Miller rischia di essere adombrato dalla più nota attrice statunitense; l’equilibrio tra i due personaggi, difficile da misurare nell’arco dei soli 43 minuti iniziali, sarà probabilmente il terreno privilegiato su cui verificare la riuscita complessiva dell’operazione.



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