Mutando gli attori della prima serie in nuovi personaggi, aggiungendo una nuova ambientazione, una sigla con un nuovo montaggio video e persino un nuovo titolo, torna American Horror Story, proponendosi, con il sostantivo Asylum, con un pilot decisamente anomalo.

La struttura dell’intreccio è invariata, composta come nel predecessore da vicende avvenute in epoche differenti, anche se qui quelle principali sono ambientate negli anni ’60, periodo interessante per la larga diffusione delle case di cura, per i primi viaggi nello spazio e per la proliferazione di dubbi avvistamenti alieni, tutti elementi presentati a cascata in questo episodio.

L’incipit è invece al presente, sebbene sia probabilmente una sorta di “adolescent fanservice”, perlomeno vedendo come una neo moglie prometta al proprio marito, mentre visita i ruderi del manicomio, ultima tappa della loro “Horror Honeymoon”, performance orali e anali per convincerlo a fare cose che in quel contesto narrativo sono del tutto normali.

La sezione successiva, che ci porta finalmente ai Sessanta, è molto più interessante, sia per gli interpreti, sia per le ambientazioni, che per i temi che derivano dal loro legame. L’opposizione tra scienza e religione, rappresentata da una Jessica Lange decisamente a suo agio nel ruolo della suora crudele, e idealmente (ma non solo) opposta a James Cromwell, qui nel ruolo di dottore dedito a strane sperimentazioni, fa da contraltare a quella più generica tra tradizione e tolleranza.

Due situazioni in particolare – una moglie di colore da nascondere e una relazione omosessuale con cui uno dei partner viene ricattato – illustrano le problematiche del credere sociale, a cui si aggiunge una quantità di carne al fuoco – questa volta legata al “credere” in genere – forse persino eccessiva.

La fede ambiziosa e contraddittoria di Sister Jude, segretamente innamorata di Monsignor Timothy Howard (Joseph Fiennes), perfettamente rappresentata dal vezzo di indossare intimi rossi decisamente poco casti; gli esperimenti su cervelli umani alla ricerca di nuove possibilità; addirittura fascinazioni aliene: tutte tematiche che spingeranno verso sicuri twist, e la cui forza narrativa è già molto evidente.

Sotto questo punto di vista, se un pilot deve incuriosire e solleticare il pubblico con una lunga serie di stimoli e aspettative, allora American Horror Story: Asylum riesce nel suo intento, inanellando una lunga serie di interessanti situazioni, peraltro tempestate da un numero considerevole di segreti.

Incidentalmente, questa caratteristica potrebbe trasformarsi – da chiaro punto forte, assieme alla bravura degli interpreti e al fascino invincibile dell’ambientazione – nel suo peggior difetto: l’equilibrio narrativo della serie dovrà dosarsi nello sviluppo di tutte le vicende qui presentate, e sebbene gli autori abbiano dimostrato nella prima stagione di saper gestire situazioni anche molto caotiche, il rischio che ne esca un’accozzaglia indifferenziata e pacchiana non è del tutto assente.



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