Atteso al varco con lo champagne in mano, Metal Gear Rising: Revengeance non è, come le più rosee aspettative lasciavano sperare, l’erede formale di Bayonetta. Non ne ripercorre la perfezione stilistica, né la completezza e la pulizia. Si è scelto invero un approccio differente, che ricostruisce le basi dell’action attorno a una singola idea di design: il Blade Mode. Sebbene stravisto in fase di preview, anticipazioni e quant’altro, non se ne comprende l’efficacia se non con il pad in mano. Nel variegato ma un po’ stantio panorama degli action, si tratta dell’idea più interessante della generazione; a parimerito forse con la Steel on Bone di Ninja Gaiden 3, ma senza possibilità di fraintendimento e meglio fusa nel gameplay. Com’è noto, si tratta di una tecnica che congela il movimento dei nemici, e che ci lascia controllare la lama di Raiden con lo stick sinistro, ottenendo tagli di grande precisione e di devastante potenza.

Metal Gear Rising p2

Correlata a questa facoltà, che è suscettibile di essere attivata tramite il riempimento di una barra apposita – che a sua volta sale in conseguenza dei colpi “standard” inferti ai nemici – c’è la Zandatsu, ulteriore tecnica offensiva. Una volta attivato il Blade Mode è possibile colpire un punto debole del nemico – contrassegnato da un quadrato rosso – e risucchiarne l’energia, che andrà a ripristinare sia la salute di Raiden, che la barra del Blade Mode, dando quindi il via a lunghe catene di negoziazioni istantanee, trasformando Raiden in un novello Goemon cibernetico. Va da sé che se per i nemici più deboli basta attivare la tecnica e colpire il bersaglio, per tutti gli altri occorre indebolirli con combo “normali”, abbondanti come in ogni produzione Platinum, finché il corpo non diverrà di colore blu. Se la zona interessata non è quella centrale, sarà comunque permesso di mutilarla. Il bestiario nemico esalta queste facoltà di taglio componendosi di avversari protetti da armature a strati (o a cipolla, se preferite): umani con scudo e coperture pesanti, elicotteri, ragni meccanici, carrarmati antropomorfi; anche i boss vanno terminati a suon di fendenti in Blade Mode, momento che moltiplica la soddisfazione data dall’impresa, solitamente molto impegnativa, con una catartica pioggia di carne e metallo.

Attorno a questa tecnica, i restanti elementi di gameplay spingono in due direzioni: complessità e offesa a oltranza. Il primo punto riguarda l’inizialmente problematica gestione di controlli tanto eterogenei; stupisce innanzitutto l’assenza della parata, sostituita dalla classica parry, così come la presenza di un tasto per la corsa, qui ribattezzata Ninja Run. Oltre a velocizzare la deambulazione, permette di deflettere colpi deboli come proiettili e di scavalcare agilmente gli ostacoli fisici. Una volta ottenuta la schivata, ci si ritrova un sistema di controllo che mischia alcuni elementi di Devil May Cry/Bayonetta con alcuni di Ninja Gaiden, aggiungendovi ulteriori varianti. L’insieme di parry, schivata, corsa e Ripper Modeuna sorta di Devil Trigger – rende inizialmente macchinoso il controllo di Raiden; anche più avanti, una volta addomesticate le basi, la sensazione di fondo rimane quella di pilotare un robot, che per quanto rapidissimo, mantiene una certa rigidità di fondo, e a cui non è richiesto né un attimo di respiro, né una condotta difensiva.

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A ben guardare una difesa vera è propria è del tutto assente: la schivata è accompagnata da un fendente; la corsa va quasi sempre sfruttata per avvicinarsi al nemico in mezzo a piogge di proiettili; e la parry, se eseguita con tempismo, permette l’uccisione con un singolo colpo di quasi tutte le tipologie nemiche. L’articolazione di questi elementi funziona molto bene, e sebbene le fila avversarie siano numericamente molto inferiori allo standard dei concorrenti, la particolare struttura ludica, che incastona il Blade Mode al termine di qualunque strategia offensiva che vada a buon fine, titilla continuamente i riflessi del giocatore e il ritmo di gioco. L’unico grosso neo è la regia virtuale piuttosto lenta e ravvicinata, che molto spesso rende illeggibili gli scontri, e ostacola quel senso di pulizia e perfezione a cui Platinum ci ha abituati. Questo difetto è particolarmente evidente negli spazi stretti, e implica l’impossibilità di vedere la provenienza degli attacchi. Quando l’ambiente si fa più generoso, cosa che per fortuna avviene abbastanza spesso, tutti gli ingranaggi della macchina girano invece per il verso giusto.

L’esigua durata del titolo, circa otto ore alla prima tornata – e da molti vista come un difetto – è invece un invito ad affrontare ulteriori run a livelli di difficoltà superiori, sia per affinare le proprie tecniche, che per sprigionare l’enorme potenziale ludico del pacchetto. Tre armi secondarie, fila nemiche infoltite e potenziamenti da acquisire progressivamente: nulla di nuovo sul fronte action game. Il risultato è un gioco innovativo e ipnotico: nonostante i difetti e le incertezze, Metal Gear Rising: Revengeance ribadisce ancora una volta il cristallino talento di Platinum Games, un team che tiene ben salda la sua posizione in cima alla classifica dei migliori sviluppatori nipponici, e che alza l’asticella del genere action di un’ulteriore e inaspettata manciata di spanne.

 



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2 Comments

  1. Ho provato la demo e non mi ha colpito molto, ne a livello visivo ne come gameplay…sembra un ninja gaiden con personaggi di MGS, troppo poco.
    Mi riservo di giudicare il gioco completo…speriamo sia come scritto nella rece.

  2. Dipende da quanto ti stimola l’idea di tagliuzzare i nemici, che è un po’ il cuore del gioco :)

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