Per chi come me ha speso infanzia e prima adolescenza in provincia, il cabinato negli anni ’80 incarnava un anomalia mal sopportata che stonava, anche visivamente, con l’opacità impolverata che allora come oggi imperversava nei bar di paese, collocato strategicamente lontano dai tavoli degli habituè delle carte per non arrecare troppo disturbo agli urlatori della scopa. Nelle sale giochi delle località di mare e quelle di città il discorso era invece completamente diverso, lì i cabinati più fortunati potevano addirittura godere di una loro dignità. Le sale della riviera erano facilmente riconoscibili dalla distanza a causa dei gruppi di genitori in attesa dei propri pargoli persi all’interno, saltuariamente risvegliati dalla repentina fuoriuscita di uno o due marmocchi disposti ad esporsi alla luce del giorno il tempo necessario per scroccare ai suoi creatori un’altra banconota da cambiare in monetine che sarebbero presto state fagocitate da Final Fight o Street Fighter 2.

In città le sale giochi erano invece luoghi profondamente diversi, oscuri e spesso sotterranei, ricettacoli di elementi più o meno impresentabili che coprivano l’intero spettro dell’emarginazione urbana, a cui nelle mattinate settimanali andava ad aggiungersi la fascia di emarginazione extraurbana catapultata in città dalla scuola e che questa riversava tra i coin-op attraverso il rito inderogabile della bigiata di gruppo. Anche se le metropoli italiane di quel decennio così preoccupate dell’apparenza tendevano a celarle alla vista, la sala giochi rappresentava lo slancio cittadino più futurista e votato all’internazionalità che potessimo vantare. Peccato che per scoprirlo si sia dovuto attendere il 2013, quando il libro L’invasione degli Space Invaders di Martin Amis – ormai esaurito e introvabile nel resto del mondo – è stato finalmente pubblicato qui da noi grazie a una casa editrice illuminata quale la milanese ISBN.

Space_Invaders_foglia

L’autore è Martin Amis, saggista inglese che nei primi anni ’80 aveva sviluppato una sanissima videodipendenza da cabinati. In buona compagnia, per altro, a dar retta alla sua descrizione degli ambienti in cui sfogava allora la sua ossessione tra Parigi e New York. Se da noi il fenomeno era considerato la solita moda giovanile di passaggio, nel reso del mondo portava uno come Spielberg a scrivere l’introduzione a un libro (quasi) interamente dedicato a Space Invaders. A ripensarci oggi – e viene molto più facile farlo dopo aver letto il libro di Amis, lo ammetto – mai titolo fu più profetico: venuti dallo spazio i videogiochi hanno davvero invaso la società, cambiato i costumi e dettato il ritmo dell’evoluzione tecnologica, e qualcuno se n’era accorto già nel ’82.

Più di 30 anni fa Amis aveva già raccolto tutti i dati necessari a dipingere la generazione videoludica, che si è sostanzialmente mantenuta identica da allora. Semplicemente non ci muoviamo più per strada come zombie, alla ricerca del coin-op più vicino con l’intenzione di spendere le ultime monete rimediate, ma sperperiamo stipendi in console da piazzare di fianco agli enormi televisori che troneggiano in salotto, la differenza è minima. Il futuro era lì fuori, a portata di mano, e nessuno se ne accorgeva.

Alcuni paladini del movimento pro-Invasori (consulenti didattici e simili) si spingono anche oltre. Per loro, l’avvento di Space Invaders è addirittura paragonabile a un progresso evolutivo. “Le nuove generazioni stanno acquisendo un’incredibile dimestichezza con i computer” dice un californiano. Nella nuova era dei microchip “questi ragazzi avranno l’opportunità di fare soldi”. I piccoli videogiocatori erediteranno la Terra! La prossima volta che vi capita di vedere una ragazzino di dieci anni indemoniato che impreca contro Mad Alien o Targ, ricordate che non si sta solo divertendo, non sta solo ammazzando il tempo e buttando via i soldi: sta imparando il linguaggio informatico.

Kids in a Video Game Arcade

L’immersione dell’autore è fresca e sincera, certo oggi pure un po’ ingenua a rileggere con quanta cura si premura di rendere chiaro ai pochi che ancora respingono l’invasione il significato delle tre lettere con cui si marchiava il proprio punteggio in classifica, e non si può non sorridere di fronte allo snobbismo progressista con cui bolla Pong come anticaglia., ma basta girare pagina per trovarsi di fronte a una spietata analisi dello stato comatoso dell’industria odierna stilata con un anticipo visionario per rimanere a bocca aperta.

Presi dalla foga del guadagno facile, i magnati dell’industria videoludica ha deciso di puntare sulle fantasie infantili più banali, sul cinema e sullo sport da guardare. Mi arrischio a prevedere che questi videogiochi non dureranno a lungo. Non dureranno perché sono noiosi. Rimane il fatto che gli imprenditori andranno sempre lì dove penseranno di trovare il denaro e seguiranno sempre le mode del momento. È una questione economica: non gliene importa un bel niente di re, terra, grano e contadini, conta solo che la gente infili le monetine nel cabinato.

È il culmine del percorso di Amis, iniziato in un bar francese mentre un affare grosso come un frigorifero suonava per la prima volta i suoi sintetici bip e conclusosi con i successori di Space Invaders, epigoni inadeguati nati da pure esigenze commerciali, che tuttavia non si ferma davanti alla prematura deriva dell’invasione. La sua voglia di scrivere di videogioco è così forte da tracimare in una seconda parte di libro articolata come una raccolta di guide ai cabinati più famosi di allora, preludio alla terza e ultima parte – battezzata profeticamente La sconfitta dei videogiochi – dove Amis passa in rassegna i frutti della deriva, console casalinghe e portatili, game’n’watch, simulatori di scacchi, seguiti da un breve excursus sulla programmazione e addirittura un’invettiva contro il Cubo di Rubik.

Oggi L’invasione degli Space Invaders è un documento prezioso per avere un assaggio del clima che respiravano i primi entusiasti del videogioco, per apprezzare il corposo apparato fotografico dell’epoca che impreziosisce il racconto di Amis, ma soprattutto per risalire alle origini delle linguaggio, necessariamente ancora acerbo nella penna di Amir, con cui il videogioco sarà narrato fino ai giorni nostri, perfettamente reso dall’impeccabile traduzione di Francesca Aceto.

 



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Claudio Magistrelli

Pessimista di stampo leopardiano, si fa pervadere da incauto ottimismo al momento di acquistare libri, film e videogiochi che non avrà il tempo di leggere, vedere e giocare. Quando l'ottimismo si rivela ben riposto ne scrive su Players.

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1 Comment

  1. Avendo vissuto in pieno l’età d’oro dei videogames, sono rimasto piacevolmente sconcertato dalle capacità previsionali di Amis che aveva azzeccato almeno l’80% di quello che sarebbe successo negli anni a venire.

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