Prima di cominciare, vorrei ricordarvi che a) se vi siete persi il primo episodio di Looking at things dedicato a Phil Fish potete trovarlo QUI e che b) questa rubrica non si propone di parlare solo di videogiochi, ma per il momento ho voglia di discutere principalmente di quelli e quindi vi dovete accontentare.

Il pensierino di oggi riguarda la mia relazione di amore e odio con Nintendo. Ai tempi di Ring, la rivista che venne prima di Babel, che a sua volta venne prima di Players, gestivo una rubrica chiamata Me Nintendo, dove decantavo le lodi della casa di Kyoto con tutto il fervore del peggior talebano Nintendo. Nel corso degli anni, la “magia Nintendo” ha progressivamente smesso di annebbiarmi il cervello, non so nemmeno bene io perché. Un po’ dev’essere stata la depressione post-GameCube, una buona macchina con un parco giochi di qualità ma troppo ristretto per rivaleggiare con PS2. Molto è sicuramente dovuto al Wii, console acquistata al Day 1 e rivenduta nello sconforto più totale da appassionato tradito appena un anno dopo. Non è che abbia mai deciso consciamente di sabotare Nintendo, è solo che Nintendo sembrava non amarmi più. Vedevo ancora belle idee, qui e lì, accompagnate da un sacco di decisioni stupide o semplicamente insensate, software per un pubblico di famiglie ricoglionite, hardware riusciti a metà e una disgraziata avversione all’aggiornamento tecnologico di servizi e infrastrutture. La santà trinità – che se non sapete qual’è andate a nascondervi – mi è sempre mancata, e sono sicuro di essermi perso titoli fondamentali sia su DS che su Wii, ma non ho mai trovato motivazioni sufficienti per riaprire il portafoglio.

Fino a quest’estate.
Deciso a rinfocolare una relazione per troppo tempo trascurata ho deciso di fare un salto nel buio e comprarmi un Nintendo 3DS XL. L’offerta ludica su Nintendo 3DS, diversamente da quello che sta accandendo su WiiU, è cresciuta bene nel tempo. Non solo sul mercato sono già a disposizione nuovi capitoli delle maggiori IP Nintendo, ma molti altri titoli sono in arrivo e non sempre si tratta di roba scontata: il seguito di Luigi’s Mansion è un miracolo in cui avevamo smesso di sperare in parecchi, senza contare i rischiosissimi sequel di A Link to the Past e Yoshi’s Island in arrivo fra la fine del 2013 e l’inizio del 2014 (dico rischiosissimi perché non vedo come possano sopravvivere al loro stesso hype). In più 3DS gode anche di un ottimo supporto terze parti, generalmente in secondo piano sulle piattaforme Nintendo, ma mai di troppo.

Insomma, tutta questa filippica per dirvi che qualche settimana fa, andando contro ad ogni nozione di buon senso e gusto personale, fra un Kinder Fetta al Latte e l’altro mi son comprato Animal Crossing: New Leaf. Un gioco che sapevo non essere per me, ma che ho comprato lo stesso. Un po’ per curiosità – ho amici insospettabili che ci han passato centinaia di ore – un po’ per un prezzo civetta che non mi ha lasciato scampo.

animalcrossing

Nonostante le perplessità, mi scoccia ammettere che da quando ho messo dentro la cartuccia non sono più riuscito a toglierla. Perché Animal Crossing è così: un gioco dove sostanzialmente non succede niente, e dove qualsiasi azione richiede almeno 7 passaggi di troppo, ma che diabolicamente riesce a instillarti quel desiderio giornaliero di vedere se il cappello mandarino è tornato in vendita o se la raccolta fondi per costruire quel cazzo di idrante è andata a buon fine.

Scuotere gli alberi per raccogliere ciliegie, parlare con gli abitanti, raccogliere erbacce, diseppellire fossili: nessuna di queste azioni è di per sè divertente, e il tedio è peggiorato da un’avversione tutta giapponese alla praticità, con dialoghi interminabili e strani loop di gameplay per abilitare la più insignificante delle opzioni (fra i più nefasti vorrei ricordare l’apertura dei cancelli alla ferrovia per il gioco online). Alla lunga però i rituali giornalieri diventano non tanto un’abitudine quanto una dipendenza. Un po’ come leggere il feed twitter in ogni momento morto sullo smartphone: non lo fai perché devi, lo fai perché non puoi farne a meno.

Dopo aver scrutato la follia umana sottoforma di casette di passanti random nel quartiere Sbirciacase (due giapponesi e un mio collega al lavoro che sono arrivati con StreetPass: facevano prima a dirmi di non aver mai avuto una vita sociale), ho capito che Animal Crossing non è un gioco alla mia portata. Continuerò a lanciarlo ogni giorno, a parlare con gli stupidi abitanti di RingLand e a inseguire il mio sogno di addobbare il mio personaggino come un gondoliere. Oltre a quello c’è solo la pazzia e il sospetto che sotto ad un gioco brutto e con la flemma di un bradipo morto si celi qualcosa di bellissimo.



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Tommaso De Benetti

Guadagnatosi di recente il sarcastico soprannome di "Caro Leader", Tommaso vive e lavora ad Helsinki. Come è facile intuire, per circa 10 mesi all'anno vive sepolto nella neve, circondato da donne bellissime. Tutto il tempo che gli rimane lo passa ad abbaiare ordini e a prendersi cura di vari progetti, fra cui Players, RingCast e icolleghi.tumblr.com.

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2 Comments

  1. Vorrei ricordare il crimine contro l’umanità delle ordinanze a 20.000 stelline l’una. E’ come se in un altro gioco ti chiedessero una microtransazione per abbassare il volume dalle opzioni.

  2. Son d’accordo praticamente su tutto, ecco.

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