Quella che sta andando a terminare in questi giorni, verrà probabilmente ricordata come una delle “estati americane” qualitativamente più deprimenti della storia del cinema a stelle e strisce. Giusto per dare un’idea della pochezza di quella trascorsa e della bontà di quelle passate, basterebbe stilare un breve elenco di pellicole uscite nelle estati degli ultimi 30 anni: Ghostbusters, Ritorno al Futuro, Cocoon, Batman, Gli Intoccabili, Chi ha incastrato Roger Rabbit, Forrest Gump, Salvate il soldato Ryan, tutti film non solo “campioni d’incasso” ma capaci anche di farsi ricordare nel tempo da pubblico e critica. Per tacere di quelle pellicole “medie”, magari imperfette e ingenue (specie se di genere sci-fi), ma impresse indelebilmente nella memoria collettiva e magnificamente rappresentative del particolare periodo in cui uscirono nelle sale: Tron, War Games, Gremlins, I Goonies, Stand By Me, Una pazza giornata di vacanza, Robocop… è solo questione di nostalgia canaglia o effettivamente la qualità media dei film a largo budget americani sta peggiorando sensibilmente?

Pensiamoci. Quest’anno cosa ci resta impresso nella memoria? Quali sequenze, quali battute o dialoghi, quali storie? Solo un quantitativo industriale di pellicole di animazione tutte e sempre “gradevoli” ma a tasso zero di innovazione (e non solo…), la oramai abituale vagonata di super-eroi, occasioni mancate o deludenti (Pacific Rim) e una serie agghiacciante di pellicole cretine, senza capo né coda, pensate (male) negli uffici marketing (R.I.P.D., The Lone Ranger, The Hangover 3) e realizzate (peggio) da registi inetti e cast svogliati. I film “medi” paiono essere spariti dai radar.

Il brutto della faccenda è che, a parte casi clamorosi come quello di The Lone Ranger, ennesimo bagno di sangue per Disney che bissa il flop di John Carter dell’anno scorso, quasi tutti i blockbuster americani, alla fine, vanno (almeno) in pareggio.
Per colpa di chi? Dei cinesi e dei russi.
Curiosamente, pare i gusti degli spettatori dei paesi “emergenti” siano quasi peggiori rispetto a quelli del pubblico yankee, visto che porcherie come l’ultimo Die Hard lì sono state premiate in misura molto maggiore che dal pubblico casalingo. Pacific Rim, ignorato in patria e ancor di più nel Paese culla del mech e dei “robottoni”, il Giappone (poco più di 10 milioni incassati a fronte degli oltre 60 raccolti dall’ultimo Miyazaki e da Monsters University), ha fatto cassa solo in Cina, riuscendo miracolosamente ad andare in pareggio.

Esemplare, giusto per coinvolgere anche il nostro Belpaese nell’analisi, il risultato del mediocrissimo Una Notte da leoni 3, campione d’incassi in Italia e snobbato negli States. Oramai quasi tutte le pellicole a largo budget americane devono fare affidamento sui mercati esteri per pareggiare gli ignobili costi di produzione e marketing. Persino l’inutile 3D, che in America è morto da un pezzo (quest’anno nessun film uscito in quel formato ha ottenuto più del 40% degli incassi nella sua versione in tre dimensioni), viene tenuto in vita dal pubblico dei mercati asiatici ed europei.

A cosa e a chi imputare il crollo qualitativo dei blockbuster americani? Tanto per cominciare, al pubblico. Finchè filmetti esilissimi (sceneggiatura ridicola, regia inesistente) ma gonfiati con steroidi (effetti speciali, 3D) verranno premiati acriticamente, ci sarà poco da fare. Il pubblico si sta rincoglionendo anno dopo anno (basti pensare a quello italiano che, non pago dei cinepanettoni, è riuscito a fare incassare più di 10 milioni a I Soliti Idioti, che sta al cinema come una metastasi ad un organo), ogni stagione va sempre peggio e l’asticella si è abbassata a tal punto da toccare terra.

Detto ciò, la maggiore responsabilità, ovviamente, va a chi i film li produce. La serializzazione forzata delle saghe di maggior successo, ha portato ad una tale proliferazione di prequel, sequel, “divisione di ultimi episodi”, spin-off e cloni, da rendere ogni film un potenziale “Episodio 1” (anzi, per essere corretti dovremmo dire un “Episodio IV”…). Non che la prassi sia recente, chiaro, che di singoli film maldestramente “allungati” a trilogia ne è pieno il mondo, ma il trend degli ultimi anni è diventato preoccupante. La serializzazione, che Hollywood ha sempre provato ad attuare, è diventata selvaggia a partire dal 2000, allorquando sono stati trasposte in pellicola due saghe letterarie milionarie (Harry Potter e Il Signore degli Anelli) ed è ufficialmente scoppiata la mania dei Marvel-movies, fenomeno quest’ultimo che portato al ripescaggio da parte della concorrenza, di quasi ogni eroe da fumetto nato nel secolo scorso. Con esiti disastrosi (vedi alla voce Green Lantern, Jonah Hex o The Green Hornet). Il fatto che quest’anno abbiano sbroccato persino Lucas (che dovrebbe tacere per ovvie ragioni…) e Spielberg, la dice lunga sullo stato delle cose.

C’è poi da stigmatizzare la prassi che vede i blockbuster sceneggiati sempre dalle stesse persone. Difficile quantificare i danni arrecati all’industria cinematografica dalla temibile coppia Orci/Kurtzman, da Damon Lindelof o dal sopravvalutatissimo Steve Kloves. Anche la figura del regista – produttore ha assunto un potere esagerato, frutto di un familismo “all’italiana” che ha portato alla creazione di vere e proprie lobby di intoccabili, basti pensare alla factory messa in piedi dal medriocre Judd Apatow, stolido capo di vere e proprie cordate di attori e sceneggiatori sempre identici a se stessi, incapaci di sviare dall’unica strada che sono capaci di percorrere, che propongono film sempre uguali, con le stesse battute, le stesse (e poche) idee.

Una fabbrica che produce pezzi difettosi, insomma, che ha azzerato quasi completamente la creatività a favore, questo va detto, degli indie movie, che reggono in piedi la macchina cinema su tutti i generi e fronti (ad iniziare da quello sci-fi). Se notate una certa assonanza con il mondo videoludico, non è sbagliata, anche se a ben vedere in questo ultimo ambito i programmatori indie spesso non fanno altro che ripescare meccaniche ludiche del passato remoto dei videogiochi, attingendo da quei generi che, popolari una volta, oggi non sono più mainstream in quanto poco “cinematografici” (ed il dualismo si ripete).

In ogni caso coraggio, anche quest’estate, per fortuna, è finita: inizia l’autunno dei festival, l’inverno dei “candidabili” ai premi che contano e la stagione, si spera, dei bei film. Buone visioni…



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Andrea Chirichelli

Classe '73. Giornalista da tre anni, ha offerto il suo talento a riviste quali Wired, Metro, Capital, Traveller, Jack, Colonne Sonore, Game Republic e a decine di siti che ovviamente lo hanno evitato con anguillesca agilità. Ha in forte antipatia i fancazzisti, i politici, i medici, i giornalisti e soprattutto quelli che gli chiedono foto.

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9 Comments

  1. Ci aggiungerei anche David S. Goyer tra gli sceneggiatori deleteri. Invece quando possono metterci mano scrittori veri come Chabon su Spiderman 2, i risultati sono notevoli.

  2. Magnifico articolo. Infatti è da tempo che ogni volta che esco dal cinema, ho la sensazione di aver visto sempre lo stesso film.

  3. l’articolo è interessante, ma penso inciampi su un problemino logico. se da una parte è vero che la maggior parte dei film blockbuster sono pessimi, dall’altra credo che bisognerà aspettare una ventina d’anni per vedere chi e cosa resterà nell’immaginario collettivo. Le icone pop ci sono state (negli anni novanta, ad esempio) e ci sono anche oggi(lo dico da diciannovenne!), si tratterà solo di farle maturare.

    1. aggiungo che, sempre considerando che è l’osservazione di una persona cresciuta negli anni 90 e 00, le “icone” sono più da ricercare nei telefilm (una roba come malcolm in the middle è nel cuore di tutti noi cresciuti in questi anni qui, ed ha la stessa profondità di un stand by me :) )

    2. Vero, però ho la sensazione che resterà poco. Mi spiego: quasi nessuno dei blockbuster recenti ha quei, uhm, “momenti topici” che caratterizzavano le produzioni degli anni passati. Uno potrebbe pensare che in realtà sia appunto solo questione di nostalgia, ma a volte mi capita di avere a che fare con persone di una generazione più giovane e i loro feedback rispetto a “scene madri” o anche alla scrittura/sceneggiatura/dialoghi/situazioni comico-drammatiche sono identici a quelli che provai io ai tempi. Esempi classici: I predatori dell’arca perduta, Ghostbusters, Robocop. Una volta “fatto l’occhio” all’arretratezza dell’effettistica speciale, emergono e persistono battute e situazioni che suscitano immediata empatia anche a trent’anni di distanza. Il “ti amo” “lo so” di Empire Strikes Back trascende il tempo e così via…

      1. Leila e Han… Accidenti che bacio! Poi ci penso bene e mi ricordo che The Return of the Jedi mostrava un esercito di peluches fare a pezzi un plotone imperiale… Ci sono anche film moderni che rimarranno nella storia. Penso a Inception, Star Wars ep. 3, the Departed, Prometheus, The Social Network, Avatar, Inglorious Basterds, Star Trek…

  4. Articolo molto interessante. La tua analisi apre diversi
    spunti di riflessione, Andrea. Condivido le considerazioni amare sui
    blockbuster moderni e lo faccio al netto dell’effetto nostalgia.
    Il fenomeno che hai affrescato, però, mi porta a pensare che forse è in primo luogo il
    cinema come struttura, come “luogo pop-sociale”, a essere in declino.
    Sino agli anni Ottanta, tutto ciò che veniva realizzato su celluloide passava nelle sale
    cinematografiche, dal B-movie più ardito alla pellicola d’autore pluripremiata
    nei festival maggiormente selettivi. In poche parole, il cinema, come struttura
    fisica, era il veicolo principe per la diffusione di una magmatica categoria di
    prodotti. Era poi l’utenza popolare a coagularsi attorno a determinate
    pellicole, nate talvolta senza l’intenzione di essere dei blockbuster,
    facendole diventare icone pop.
    Già negli anni Novanta, con la diffusione dell’home video e delle pellicole direct-to-video, si sono avvertite le prime avvisaglie della disgregazione del “popolo del cinema”, che ha colpito in primis la scena dei film a basso-medio budget. Chiudevano i drive-in (o le sale dedite ai film
    di genere, ché ce n’erano anche in Italia) e aprivano i videonoleggi. Il
    fenomeno si è evoluto, colpendo anche il settore mainstream, durante anni Zero,
    quando da casa ognuno poteva accedere attraverso gli store online all’intera
    produzione filmica mondiale, selezionando i prodotti di proprio interesse da un
    catalogo praticamente infinito.
    Oggi, con l’avanzare del digital delivery, andiamo verso un’ulteriore parcellizzazione del pubblico, verso l’era dello “spettatore on demand”. Ognuno vede da casa il film che gli piace e non mi stupisce (anche se comunque mi rattrista) il fatto che chi vuole far cassa con una pellicola ad alto budget da far passare nelle sale si sforzi di compiacere un pubblico più generico possibile, con conseguente appiattimento dell’offerta. Il punto, a mio avviso,
    è proprio che l’utenza è passata dall’essere vasta ed eterogenea al risultare
    ai fatti indecifrabile (almeno ragionando sui grandi numeri). Pare che il “film
    per tutti” abbia perso la sua ragion d’essere stessa, in quanto non esiste più
    il “tutti”.
    Gli affezionati del grande schermo maggiormente curiosi e/o
    esigenti si rivolgono ai festival minori (che sono cresciuti verticalmente in
    numero e qualità durante l’ultimo lustro), mentre lo “spettatore medio” sazia
    la sua curiosità da casa, a costi minori, relegando l’esperienza al cinema a
    mera distrazione occasionale, un divertissment da affrontare a cuor leggero,
    senza grandi aspettative.
    In tal senso, viene anche a me un paragone videoludico, giacché lo scenario attuale mi fa ripensare alla crisi delle sale giochi, durante l’affermazione definitiva delle home console. Il 3D e gli atri gimmick cinematografici mi sembrano simili ai super-cabinati, dotati di light
    gun o di tappeti per rhythm game, con cui i produttori di giochi arcade
    tentavano disperatamente di stupire gli utenti e frenare la migrazione di massa
    verso il videogame casalingo.

    1. Videogame casalingo che comunque, a ben guardare, adesso sta benissimo a tutti con buona pace del “momento nostalgia” per “la sala” che viene a tutti almeno un paio di volte l’anno. Senza contare che il cambio di fruizione ha portato a prodotti molto diversi e sicuramente più interessanti.

    2. Ottima disamina. Sarà interessante negli anni a venire vedere come crescerà il pubblico dei “paesi emergenti” (Cina in primis), che ora pare accettare tutto acriticamente ma i cui gusti potrebbero affinarsi parecchio e in tempi brevi. Mi aspetto molta Cina nei prossimi blockbuster americani, il peso economico di quella parte dell’oriente diventa sempre maggiore, mi ricorda (vagamente) l’invasione “nipponica” degli anni ’80 e ’90…

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