“Davidù, inzignatillo buono, una volta che fai la scommessa, tu non c’entri più nulla. C’è scritto pure nel Vangelo: prima valutare, poi scommettere, quindi fottersene.”

È quando finisci di leggere l’ultima riga che capisci che non li rivedrai più, che la loro vita resterà impressa sulla carta – o sullo schermo del Kindle, nel nostro caso – e che loro resteranno eterni mentre noi non potremmo fare altro che lasciarci cogliere dalla nostalgia. Questo è quello che accade terminando Così in terra, romanzo d’esordio di Davide Enia, attore, regista e drammaturgo prestato con indubbio successo al romanzo. È uscita da poco la sua seconda opera, ma può attendere. Sì, perché il modo di raccontare di Enia – forse perché si è fatto le ossa in teatro con spettacoli notevoli e vincitori di diversi premi – non è fatto per chi vuole restare in disparte e limitarsi ad osservare una storia da lontano, perché l’autore strattona il lettore all’interno del racconto con la forza e la potenza di un gancio ben assestato e, in un modo o nell’altro, lo convince a prestare attenzione.

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Niente spoiler: mi limiterò a dire che c’è un pugile bambino e una bambina che sembra non aver paura di nulla e suo cugino che invece è disposto a tutto pur di farsi accettare. Si potrebbe pensare che Davidù, il suddetto ragazzino che ovviamente poi cresce e vive e colpisce e viene colpito, sia il protagonista del romanzo, ma non è così. Ci sono altri personaggi – che sarebbe offensivo definire “minori” – che hanno una potenza inaspettata e che costruiscono un complesso affresco familiare che si dipana in diverse epoche, tanto che alcune parti potrebbero avere vita propria in forma di racconti brevi; racconti che però finiscono per intrecciarsi e riaprirsi quando uno meno se l’aspetta, affrontando una molteplicità di temi tra cui la seconda guerra mondiale e la mafia in maniera per nulla scontata e mai banale.

Ci sono scene memorabili che lasciano senza fiato, e scene altrettanto potenti capaci di far ridere fino alle lacrime. E per chi non ha nulla a che fare con la Sicilia e con il suo dialetto e soprattutto vive di corsa, questo libro è un’occasione in più per prendersi una pausa, perché il fatto di non conoscere il significato di molte espressioni è un’opportunità per leggerlo con lentezza, per gustare ogni dettaglio e ogni movimento. Sia chiaro, non è un libro impossibile da leggere per un milanese, ma l’uso del dialetto siciliano è presente e può essere percepito – forse – come uno scoglio, ma connota l’opera mirabilmente e senza di esso il libro perderebbe parte del suo fascino.

La nonna insegnava le parolacce pure agli alunni, di nascosto, per meglio prepararli alla vita che “non è solo verbi e matematica, ma anche fango e màle parole, e una cosa è sempre meglio conoscerla che ignorarla”.

Segnalato dal New York Times tra i migliori debutti del 2014 – è uscito quest’anno in lingua inglese – Così in terra ha la potenza del romanzo di formazione prestato al cuore pulsante di molteplici passioni, una su tutte quella per il pugilato, che diventa vita e sostanza e fede. È un libro che ti lascia esausto al tappeto, felice di aver accettato la sfida.



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