C’è un’evidente qualità materica, in Mud, che si riflette nel titolo del film e nel suo eroe eponimo. Affiora in ogni macchia di fango, in ogni alone d’umidità, in ogni manciata di terra che imbratta gli stivali e gli abiti dei personaggi: sono le impronte lasciate dal fiume, quel leggendario Mississippi che ha scavato solchi indelebili nell’immaginario americano, grembo materno di un’umanità precaria, fragile e ondivaga come le case galleggianti in cui vive. È lo stesso fiume di Mark Twain, e Jeff Nichols cammina sulle sue tracce, inseguendo gli scenari di Tom Sawyer e Huckleberry Finn negli occhi acerbi di Ellis, non più bambino e non ancora adulto, che nel Mississippi vede la soglia della sua imminente adolescenza.

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Non a caso, la storia di Mud parte proprio da uno sconfinamento: Ellis e il suo amico Neckbone s‘inoltrano nelle acque del grande fiume per appropriarsi di una barca rimasta incastrata fra i rami di un albero, al centro di un’isoletta dimenticata dal mondo, ma scoprono che l’imbarcazione è abitata dall’enigmatico Mud (Matthew McConaughey, in uno dei ruoli su cui ha costruito il rilancio della sua carriera), che vuole utilizzarla per scappare con la sua ragazza, Juniper, mentre una banda di gangster dà loro la caccia.

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La storia di questo fuggiasco, insieme all’intreccio thriller che si trascina dietro, non è però centrale quanto quella di Ellis, ragazzino diviso tra la propulsione al cambiamento della madre – che vorrebbe lasciare il fiume per trasferirsi in città – e le reminiscenze nostalgiche del padre, in quella delicata fase di passaggio che lo conduce a sperimentare le dinamiche della virilità e le prime sofferenze amorose. Perché il film di Nichols è soprattutto un racconto di formazione: nell’incontro con Mud, Ellis vive l’esaltazione illusoria dell’ignoto, l’eccitazione utopistica del romanticismo adolescenziale, ma scopre anche la frustrazione del disincanto, generato dal contrasto dualistico tra i poli del maschile e del femminile; e se i personaggi maschili si fanno paladini dell’idealismo romantico, il cui sguardo è inevitabilmente rivolto al passato, i personaggi femminili sono invece l’emblema della concretezza pragmatica, focalizzata sull’hic et nunc del presente.

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L’abbandono del fiume coincide quindi con l’addio all’infanzia, ultima fase dell’esistenza in cui l’avventura sia ancora possibile, fedelmente a una tradizione che coinvolge non solo Twain, ma anche il Bradbury di L’estate incantata e Addio all’estate, oltre ovviamente a classici cinematografici come La Morte Corre Sul Fiume.

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D’altra parte, Nichols è il più classico tra i nuovi registi americani, e il suo cinema passa per la rielaborazione di alcuni capisaldi del retaggio culturale statunitense, come il southern gothic (in Shotgun Stories) e il millenarismo apocalittico (in Take Shelter), filtrati però attraverso uno sguardo di lucida consapevolezza rappresentativa che non si limita a riprodurre pedissequamente i suoi modelli, ma li declina in forme spiazzanti che sembrano tradire le premesse iniziali. Anche Mud attinge al southern gothic: c’è tutto un universo di simbolismi arcaici e superstizioni popolari che orbita attorno al personaggio di McConaughey, ed Ellis ne subisce la fascinazione, trascinato verso il gorgo dell’irrazionale come i detriti nella corrente del Mississippi.

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Il processo di avvicinamento si svolge attraverso i rituali della condivisione (il pasto a base di fagioli consumato davanti al fuoco), in cui il ragazzino tenta di emulare il suo “mentore” persino nella gestualità e nella postura, pur mantenendo una fortissima individualità che deflagra nell’ultimo atto, di fronte al crollo delle sue certezze infantili, quando la verità dei sentimenti – tra Mud e Juniper, lo stesso Ellis e la cotta per May Pearl, sua madre e suo padre – si rivela ben poco idilliaca. Il ragazzino e il fuggiasco si ritrovano però a condividere una sorte molto simile, quasi un passaggio di caratteri ereditari dall’uno all’altro, e il riavvicinamento è facilitato dall’ombra di un dramma che appiana i conflitti e restaura la solidarietà reciproca, fino a una sparatoria risolutiva che, sul piano della messa in scena, non potrebbe essere più classica di così.

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La raffinatezza di Nichols emerge dall’impasto di white trash e lirismo naturalistico, degrado sociale e meraviglia, dove la spinta “civilizzatrice” del progresso tende a privilegiare contesti abitativi stabili e sicuri, contrapposti alla mutevole imprevedibilità del fiume. Ma la natura si fa strada in ogni inquadratura, merito di una fotografia che ne valorizza l’impatto elegiaco, concentrando l’attenzione sul dettaglio degli insetti e di altri animali, sul frangersi delle onde contro la riva, e sul bagliore del sole che si affaccia costantemente alle spalle dei personaggi. Figli di questo paesaggio aspro ma seducente, temprati dalle sue insidie e cullati dalle sue bellezze, Mud ed Ellis percorrono un itinerario di consapevolezza che li riscatta dai sogni infantili, ma senza precludersi l’opportunità di esplorare nuovi orizzonti, che si spalancano davanti a loro come la visione inaspettata e sublime del mare aperto: il Mississippi, guardiano della fanciullezza, è una porta per l’altrove.



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