L’assunto di The Rover è quanto di più basico ci si possa immaginare e scrivere su un pezzo di carta a caso da presentare a un produttore annoiato: c’è un uomo solo e ramingo, forse pericoloso e probabilmente disperato; tre uomini molto pericolosi e sicuramente disperati gli rubano l’auto e lui si mette alle loro calcagna, assieme al fratello problematico di uno dei tre, che il protagonista si ritrova fra capo e collo. Sullo sfondo, un afoso deserto australiano scarnificato dalla violenza, un mondo disossato e spopolato, con qualche anima persa qua e là ad aumentare la sensazione di follia, solitudine e alienazione che permeano un potenziale futuro prossimo (quale è l’ambientazione del film negli intenti dei suoi realizzatori, ma che somiglia molto semplicemente a una qualsiasi periferia di un vacuo e non identificato Terzo Mondo).

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Con queste premesse, in mano a un altro regista, ne sarebbe derivata un’odissea ferita e lacerante, un road movie astratto e asciugato, rovente di tensione emotiva e di rabbia in implosione. E con un nome come quello di David Michôd, autore quattro anni fa del folgorante e feroce Animal Kingdom, un esordio stellare, The Rover pareva partire con i migliori auspici.

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Ma le intenzioni di dipingere un’umanità allo stato brado in una pellicola dai silenti e mesti toni western si concretizzano nel modo peggiore: poco a poco, ma rapidamente, l’interesse verso il materiale narrativo cala vertiginosamente, complice una diffusa monoespressività degli interpreti (paradossalmente stavolta Pattinson è il male minore), una regia fin troppo statica e disincarnata, che produce non la bramata, malinconica inquietudine bensì un’infinita noia che porta a un collasso letargico degli spettatori, e una messinscena priva di forza aspra, semmai unicamente apatica e atarassica. Se erano la freddezza respingente e il cupo tramonto dell’essere umano lo scopo da raggiungere, lo si è raggiunto nel peggiore dei modi, con un prodotto finale che suscita soltanto il più totale e blando disinteresse.



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