Gomorra – La Serie, ispirata dal best seller Gomorra di Roberto Saviano, uscita dopo anni di tentativi e false partenze, ha avuto un enorme successo, è stata vista e apprezzata da moltissimi spettatori, e ha ricevuto ottime critiche. Era dall’uscita di Boris che una serie italiana non metteva d’accordo così tanta gente. Ma il tono della serie, cupo e violento, ha sollevato molte polemiche: sono le stesse polemiche che avevano per molto tempo messo in pericolo la possibilità stessa che la serie esistesse. La paura che mostrare i lati negativi di Napoli sia pericoloso e ingiusto, che porti al mondo una visione distorta della città e del nostro paese, e promuova una visione del mondo cinica, priva di speranza.

Michele Serra, in una delle sue “amache”, pur difendendo l’importanza del raccontare i lati oscuri della società di serie come Gomorra, si chiede se violenza televisiva sia orma diventatai di maniera. Dal successo de I Soprano in poi moltissime serie hanno deciso di puntare sulla violenza per dare “peso” alle loro storie: le serie via cavo, non dovendo preoccuparsi dei desideri degli inserzionisti, possono calcare la mano su sesso e sangue. E il successo di serie come Game of Thrones e The Walking Dead ha fatto capire che uccidere i personaggi principali in una serie può dare vita a momenti memorabili, la morte nelle serie TV è diventata sempre più presente, anche in serie che puntano meno sulla violenza, come The Good Wife; è difficile non pensare che l’uso continuo di momenti shock possa stancare; e se non è il caso nelle serie fino ad esso citate, in altri casi, come il recente Penny Dreadful o The Leftovers, la possibilità si manifesta con più forza. È lo stesso fenomeno che ha caratterizzato il successo dell’horror porn al cinema il decennio scorso, quando molti autori hanno capito che calcare l’acceleratore sulla brutalità può attirare molti sguardi, per esaurire presto il filone.

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Ma questo non è il caso di Gomorra – La Serie. Dire che sia eccessivamente cupa o violenta significa non capire la storia che cerca di raccontare, che per quanto sia stata associata a The Wire o ai Soprano per qualità, ha dei connotati molto diversi, se pure con qualche similitudine: come The Wire, Gomorra racconta con precisione un sistema criminale da dentro e da fuori; ma al contrario di The Wire non racconta coloro che cercano di fermarlo, ma solo quelli che cercano di conquistarlo. Come ha fatto I Soprano, dove il 90% dei protagonisti fa parte del mondo del crimine, ma dove i protagonisti-criminali cercavano di mimetizzarsi tra i civili, con un minimo di pudore rispetto ai connotati della loro professione. In Gomorra c’è solo l’orgoglio di uno stile di vita basato sul combattimento e sulla voglia di potere.

Se I Soprano è una riflessione complessa su quel tipo specifico di familismo amorale che caratterizza la cultura italiana e, in senso più ampio, quella cattolica, Gomorra parla di un mondo diverso, le cui regole sono completamente separate da quelle che dominano la società occidentale, che nonostante tutto riesce ad influenzare con enorme forza. Non è semplicemente mancanza di morale: è mancanza di umanità, della coscienza degli aspetti di civiltà più basilari, quelli che abbiamo deciso collettivamente dopo secoli di storia per evitare di scannarci a vicenda per qualunque conflitto. Si dice che in amore e guerra non ci sono regole: la vita dei camorristi raccontati dalla serie si basa su una guerra perpetua il cui motore è l’amore del potere. Qualunque altra considerazione è secondaria, anche la vita. Questo non succede nella vita dei Soprano, il cui dilemma tra far convivere il quotidiano e il crimine porta dallo psicoanalista. È invece presente in The Wire, che racconta sistemi più vicini a quelli della camorra, ma raccontati da una prospettiva più ottimista, che dà spazio alla speranza. David Simon, un sindacalista solo in parte disilluso, crede nelle istituzioni, nel potere del contratto sociale, e, con personaggi come Omar, in un senso romantico della dignità e delle regole, che ogni uomo dovrebbe avere per sé stesso anche quando disprezza le istituzioni.

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Il mondo di Gomorra è invece dominato da un cinismo esasperato portato avanti da uomini e donne che non sanno guardare oltre al loro territorio, ciechi rispetto alla loro dipendenza dal sistema che hanno creato. La camorra è più importante dei suoi soldati, che muoiono in continuazione. Il potere cambia mano, ma coloro che lo inseguono non si fermano a riflettere su quanto sia illusorio ed effimero: si illudono di essere quelli che decidono di prenderlo in mano, quando ne sono schiavi, burattini in una giostra creata da troppo tempo perché coloro che ci sono dentro ne possano riconoscere i meccanismi. La scelta di Saviano, Sollima e degli altri autori è quella di farci entrare nella giostra senza nessuna possibilità di guardare fuori, così da costringerci a capire la mentalità di coloro che ne fanno parte. Per capirne l’orrore e, ancora di più, il potere seduttivo.

Uno degli aspetti più forti del libro di Saviano era la realizzazione che per tutti i suoi orrori, la camorra sembra spesso più “viva” del mondo che la circonda. L’Italia istituzionale, anemica e compromessa da anni e anni di scandali che ne hanno dato un’immagine negativa, corrotta e pavida, non è un’alternativa per chi dà importanza capitale alla voglia di vincere. E la voglia di vincere è una caratteristica umana fondamentale, uno dei connotati dietro al nostro desiderio di conoscere, esplorare, conquistare il mondo, creare. È un aspetto vitale dell’essere umano, che può essere declinato in maniera virtuosa, ma che quando viene a mancare nelle “anime buone”, diventa troppo facilmente dominio dei criminali, che tutto ad un tratto sembrano più veri, più forti, più dignitosi di una classe politica ed istituzionale che fa della mancanza di rischi e del mantenimento di uno status quo oligarchico la sua ragione di vita.

Di fronte a questa desolante alternativa la vita criminale sembra acquistare un velo di dignità seducente quanto illusorio. È lo stesso potere seduttivo di tutti i rivoluzionari più radicali, dei pensatori più nichilisti: di fronte ad un mondo senza dignità, che senso ha provare a fare di meglio? Non è meglio distruggere tutto?

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Lo spettatore di Gomorra è catapulatato dentro questa realtà senza possibilità di uscirne. È un test di Roscharch per l’anima, una montagna russa di orrore, violenza e desiderio nel quale la violenza non è mai gratuita, ma è il motore stesso della vita dei protagonisti, è una religione e un automatismo, un sintomo di mancanza di idee, di un mondo ottuso e piccolo, la cui capacità di alienarsi dal resto del pianeta gli ha permesso di infettarlo molto più di quanto solitamente ammettiamo. Per questo è una serie unica, non solo, come era Romanzo Criminale – La Serie, un’opera solida e ben fatta, ma il primo vero contributo italiano all'”epoca d’oro” delle serie TV, un prodotto del tutto unico e fondamentale, fatto con confidenza e grande maestria tecnica.

Il paradosso, che dispiace che commentatori come Serra non sottolineino, è che la creazione di questa serie è una dimostrazione di generosità e voglia di costruire tra le più importanti degli ultimi decenni in Italia. Per quanto i suoi protagonisti possano essere cinici, la creazione di un prodotto della qualità di questa serie è un atto di amore, dimostrazione di quanto sia importante creare, raccontare, guardare senza paura alla realtà, di quanto questo sia vitale e fondamentale per una democrazia. Non ha senso lamentarsi del dominio della violenza in TV quando questa è fatta con intelligenza e passione. Piuttosto c’è da lamentarsi per la terrificante assenza di serie di qualità nella nostra televisione, di serie che possano raccontare altri mondi, siano positivi o negativi; la speranza è che l’esempio di Gomorra possa dimostrare anche nel nostro paese che puntare in alto paga.



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Emilio Bellu

Scrittore, cineasta, giornalista, fotografo, musicista e organizzatore di cose. In pratica è come Prince, solo leggermente più alto e sardo. Al momento è di base a Praga, Repubblica Ceca, tra le altre cose perché gli piace l'Europa.

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