Players Magazine - Inondare le strade - Per una rivoluzione culturale

Gator’s Secret è un piccolo esperimento dello sviluppatore indipendente R Hill, un titolo che permette di arrivare a considerazioni sulla critica (videoludica, ma anche in generale) assolutamente non banali, come avremo modo di vedere. Nel gioco ci si trova costretti, di fatto, a collocare un certo numero di cabinati all’interno di due insiemi (e della loro intersezione), seguendo il parametro “segreto” di un alligatore, che fornisce indicazioni al giocatore sulla distribuzione dei videogiochi. L’alligatore appena citato vuole che il “giornalista” videoludico si impegni per rispettare criteri di oggettività: ciò significa disporre i vari titoli nella maniera più consona al parametro di cui sopra, che per tutta la durata del gioco rimane però un segreto. L’alligatore richiede obiettività e costruisce un’impalcatura pseudo-razionale che si spaccia per verità assoluta, quando è solo un “ingabbiamento” della realtà, una sterile “cristallizzazione” del reale. Infatti l’intersezione è riservata ai giochi che rispondono alla definizione di “Real Games”: è una categoria per gli unici titoli che è consentito chiamare “Giochi” con la “G” maiuscola. Per l’unico titolo che è consentito definire “Gioco”.

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Candy Crunch, un altro interessante gioco di R Hill, nato in occasione della Candy Jam. Una jam organizzata per “protesta” contro la King (Candy Crush Saga), che aveva intenzione di registrare le parole “candy” e “saga” come marchio esclusivo. Anche Molleindustria ha trattato il tema dei “trademark” con TradeMarkVille.

E da qui conviene partire per una riflessione sulla funzione della “critica”. Innanzi tutto, bisognerebbe mettere in discussione il valore della parola “critica” in sé, troppo spesso considerata come suddivisione dei prodotti culturali in classi numeriche dall’uno al dieci (irraggiungibile, si sa, perché altrimenti si diventa troppo permissivi). “Critica” affonda le proprie radici nel greco, più precisamente nel verbo “kríno”, che significa giudicare, ma anche distinguere, discernere. E purtroppo anche separare. Una parola critica, perché crisi ha in fondo la stessa identica radice. Dunque come comportarsi? Che significato dare alla riflessione sulle cose? Personalmente scelgo un’altra strada, una strada “nuova”, rispetto a quella dell’alligatore che rigidamente colloca, esclude e concede privilegi di ingresso nella cerchia dei pre-scelti (scelti in base a pre-giudizi). Una via differente è possibile, ed è quella della parola critica intesa come comprensione (ovvero l’opposto di esclusione). La comprensione del funzionamento degli oggetti con cui ci si relaziona. Uno sguardo attento alla realtà, prima che al giudizio sulla realtà.

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Si è da poco conclusa la Ruin Jam (a cui ha partecipato anche Gator’s Secret), interessante esperimento volto a offrire un altro punto di vista sul videogioco, senza paura di limitare le possibilità di interazione, di trattare temi difficili o semplicemente di proporre nuove vie ludiche. Senza timore di mettere in crisi il gioco.

Un occhio, quello proprio di questo modo di riflettere, che guarda le cose, prima di pensare a come guardarle, un occhio che si lascia guidare dalle cose per capirne l’intima struttura e comprenderne i meccanismi di funzionamento. Il discernimento, dunque, opera qui, sull’impalcatura di un prodotto culturale (nel caso del videogioco, tutti gli elementi che contribuiscono all’esperienza ludica: le dinamiche d’interazione, il ruolo della musica, la componente visiva e i suoi molteplici usi, i modi in cui determinate caratteristiche interattive vengono rese “comunicative”…) la cui analisi non è possibile se non con un’immersione nelle cose. Se non con l’interesse. Che significa appunto “stare in mezzo”, “partecipare”.

L’attività speculativa che si vuole delineare è una riflessione, ma una riflessione capace di mettere in crisi. Mettere in crisi il pensiero abituale e automatizzato sulle opere, un pensiero ormai meccanico di distinzione tra bello, brutto e così-così. È un’attività che va contro le suddivisioni in base al presunto valore delle creazioni, e che non istituisce sistemi gerarchici in cui il frutto di un lavoro creativo viene sterilizzato con votazioni numeriche, che talvolta differiscono da un’altra soltanto per un decimale. È una rivoluzione del pensiero, che diventa capace di destabilizzarsi e di mettersi in discussione.

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Si diceva dell’interesse: l’interesse è la qualità fondamentale, è la volontà di buttarsi nelle cose per scoprirle. In questo modo l’attività del “pensiero sulle cose” non sarà più disgiunta dal “pensiero delle cose”. Teoria e pratica potranno finalmente aiutarsi vicendevolmente, collaborare su un unico terreno. La teoria potrà finalmente trovare riscontro nella pratica, attraverso il dialogo. Il dialogo tra chi riflette (e come uno specchio permette di avere una visione più lucida e distante di sé) e chi crea, senza il bisogno di denigrare un prodotto soggettivamente non convincente, per scrivere un pezzo o girare un video di insulti al lavoro altrui. La forma perfetta di questa nuova teoria sarà l’intervista. Il dialogo, appunto.

E non avremo allora più bisogno di lunghi discorsi distruttivi su opere considerate poco convincenti. Personalmente rifiuto le recensioni negative, e non voglio scriverle: se qualcosa non ha elementi di interesse per chi scrive, perché sprecare tante parole che potrebbero essere spese a parlare di titoli magari meno conosciuti e/o più stimolanti? Basta non scrivere nulla e lasciare che sia qualcun altro a parlare, qualcuno che quegli elementi di interesse nell’opera li ha trovati. È davvero così importante esprimere un giudizio negativo sui lavori creativi? Ed è davvero così importante esprimere un giudizio? È possibile trovare elementi di interesse in titoli normalmente denigrati, relegati ai confini dalla “critica di settore”. C’è un altro modello possibile, un modello che dice di riempire le strade (più o meno digitali) di opere, un modello che si oppone alla pulizia culturale di Piazza Navona rivolta contro i “troppi” artisti di strada, a cui sottoporre un test per vedere chi ha il diritto di rimanere e chi no. C’è un pensiero che se ne frega della definizione di arte e di non-arte. Un pensiero vivo che spinge a inondare il mondo di creazioni e di possibilità.

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È una battaglia culturale contro la dittatura di un pensiero che crede di poter scegliere chi ha il diritto di restare in strada a “dipingere” e chi invece se ne deve andare, perché non è un artista. È una guerriglia contro chi vuole buttare fuori a calci in culo una fetta di realtà. Contro gli alligatori che vogliono liberarsi di quelli che chiamano “non-giochi”. E io mi libero degli alligatori. Sono fermamente convinto di ciò che Stefano Cecere, sviluppatore indipendente e autore di Tonzilla, ha affermato in una recente intervista: “Sono molto più contento di vedere diecimila giochi brutti, piuttosto che due giochi e basta”.

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Gabriele Raimondi

Mettere da parte il voto (numerico e di qualsiasi altra natura) e la critica distruttiva. Preoccuparsi di guardare le cose, piuttosto che giudicarle. Avvicinare universi ("virtuali", "reali", ...), con la curiosità della scoperta e un entusiasmo "bambino" rivolto al mondo. Vie piene di "artisti di strada". Rivoluzioni culturali.

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