I quattro elementi citati nel titolo non mancano di certo in Whiplash, straordinario esordio alla regia di Damien Chazelle, che qualche tempo fa si era fatto notare per la bizzarra (ma imperfetta) sceneggiatura de Il ricatto (il film in cui un pianista interpretato da Elijah Wood veniva tenuto sotto tiro, letteralmente, dal malvagio John Cusack). Il rapporto del regista con la musica dev’essere alquanto atipico e viscerale, visto che anche in questo caso questa oltre ad essere elevata ad assoluta protagonista, viene trasformata in un supplizio tantalico costellato di fatiche, trappole e umiliazioni.

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La strada verso la gloria assomiglia a quella che porta all’inferno ed è proprio questa che il giovane batterista Andrew decide di intraprendere presso la più celebre scuola newyorkese, il conservatorio Schaffer: il punto di svolta è rappresentato dal suo incontro col severissimo Terence Fletcher, tanto abile a scovare talenti e formarli, quanto oggettivamente incapace di mostrare la benchè minima pietà nei confronti dei suoi alunni.
Andrew è tosto e motivato, ma Fletcher, pignolo e paranoico, lo sottopone ad un autentico calvario, fatto di sfuriate, violenze fisiche e mentali, che mettono a dura prova il carattere del giovane, che diventa sempre più ossessionato dalla perfezione richiesta dal suo mentore e tende ad allontanarsi progressivamente da famiglia e affetti.

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Nonostante sia un film di crescita e musicale, i padri nobili di Whiplash si chiamano Full Metal Jacket (almeno la sua prima metà, quella dedicata all’addestramento) e Rocky (il tema del sacrificio profuso per compiere un’impresa apparentemente impossibile). Chezelle costruisce un’opera perfettamente circolare (il film si apre e si chiude con un assolo di batteria) ma che, per quanto “lineare”, riesce ad essere innovativa sia sotto il profilo dello script che sotto quello prettamente registico. Tutti i luoghi comuni (dal romance al rapporto con la famiglia) vengono ribaltati. Raramente poi, in opere di questo genere si parla di “colpi di scena”, ma in Whiplash questi abbondano e riescono sempre a spiazzare lo spettatore.

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La regia conferisce sostanza e tangibilità alle note e alla fatica fatta per riprodurle: sudore a fiumi, sangue che sgorga dalle dite martoriate, primi piani intensi, ambienti claustrofobici, raramente la “produzione” musicale è stata rappresentata in modo così vivido, realistico e adrenalinico.
Su tutto e tutti infine, svettano i due protagonisti: interpretazioni davvero straordinarie quelle di J. K. Simmons (Oscar praticamente certo in arrivo, specie dopo la vittoria ai Golden Globe a coronamento di una meravigliosa carriera da caratterista) e Miles Teller, uno tanti validi “teen” che dopo la dovuta gavetta è pronto ad affermarsi non solo come protagonista di saghe del genere “young adult”.

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Amabilmente eccessivo e sopra le righe, matto e disperatissimo, estenuante e travolgente, Whiplash riporta la musica al centro al mondo e ricorda a tutti che, se si vuole davvero raggiungere un obbiettivo, bisogna faticare molto per ottenerlo.



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Andrea Chirichelli

Classe '73. Giornalista da tre anni, ha offerto il suo talento a riviste quali Wired, Metro, Capital, Traveller, Jack, Colonne Sonore, Game Republic e a decine di siti che ovviamente lo hanno evitato con anguillesca agilità. Ha in forte antipatia i fancazzisti, i politici, i medici, i giornalisti e soprattutto quelli che gli chiedono foto.

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