Mr.Mercedes si dichiara un thriller invece di un horror: King è onesto nel suo esperimento e ci avvisa prima. Il re del brivido (questa volta senza brivido) prova ad allontanarsi dal suo genere principale e ci presenta un romanzo che si basa tutto sul paradigma del “classico che non stanca mai”, raccontandoci una caccia all’uomo condotta da un detective in pensione contro un assassino pericoloso e folle. La trama non brilla per originalità, ma questo non gli impedisce di custodire più di un tesoro.

La prima cosa che colpisce del libro è sicuramente la sua scorrevolezza e la capacità di tenerci con il fiato sospeso, incollati alle pagine a svoltarne una dietro l’altra, in barba alla vicenda narrativa fin troppo sfruttata. King ha alle spalle decenni di pratica e un’innata abilità di coinvolgere il suo pubblico con sottili espedienti e colpi di scena al momento giusto, e qui la sua bravura emerge con preponderanza. Grazie ad un mix di leggerezza, umorismo, cattiveria, dettaglio e crudezza, anche in questo contesto vince a mani basse la sfida per ottenere fin a subito tutta la nostra attenzione. Il ritmo narrativo non subisce infatti quasi mai flessioni o rallentamenti e, sebbene questo possa in alcuni casi andare a discapito dell’approfondimento e dell’interiorizzazione, la scelta si rivela azzeccata e pertinente nel contesto di un thriller senza pretese di eccessiva aulicità.

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La costruzione del protagonista, il detective Hodges, è ben fatta e degna del maestro. Il suo passato tutto sommato ordinario ma segnato da esperienze caratteristiche, il suo stato di vuoto e depressione per un pensionamento che gli ha svuotato di colpo la vita, le debolezze, le banalità, ma anche la forza e la prospettiva di un uomo maturo: tutto lo rende un modello credibile e completo, con cui non è difficile simpatizzare. Anche la costruzione di uno dei personaggi secondari è degna di nota: Holly Gibney è una quarantenne lievemente autistica che si ritrova a dar manforte ad Hodges nella sua caccia all’uomo. King tratteggia per lei i contorni di un personaggio complesso, bloccato nei propri limiti eppure desideroso di uscirne, capace di un’evoluzione credibile.

Ci sono poi momenti in cui la bravura del Re si fa sentire in tutta la sua forza, momenti di narrativa slegati dal genere o dalla vicenda, piccole perle di alcune pagine che rimangono nella mente, colpiscono. Il flashback sull’infanzia del killer, il suo contorto rapporto con la madre ed il fratello, il vissuto di dolore e rabbia così ben descritto in poche pagine. King riesce a colpire, commuovere, spiegare e coinvolgere. Lo fa con i dettagli, con l’incisiva precisione delle descrizioni. Lo fa come solo lui sa fare, e ci riesce. Ed è proprio per questo che il thriller alla fine funziona. Perché è una storia già sentita raccontata con maestria.



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