WARNING: In questo articolo sono presenti alcuni spoiler sull’ultima puntata di MadMen.

La conclusione delle vicende di Don Draper ha portato con sé un clima da “dopo di me il diluvio”: Mad Men è finito e con la sua ultima puntata è stata quasi unanimemente proclamata la fine dell’età dell’oro televisiva, quella età dell’oro – per alcuni la seconda, se non la terza, ma questa è un’altra storia – che viene fatta risalire al 1999, al momento in cui Tony Soprano fa il suo ingresso nell’universo seriale dagli schermi HBO. Non vanno dimenticati altri serial notevoli quali Deadwood cancellato alla terza stagione, Six Feet Under e Boardwalk Empire sempre a marchio HBO, o The Shield, serie originale di FX, solo per nominarne alcuni, ma a far compagnia a The Sopranos nei discorsi intorno alla Golden Age sono soprattutto The Wire, HBO, e i più recenti Breaking Bad e Mad Men di AMC.

Ad accomunare Tony Soprano, tutti i protagonisti di The Wire, Walter White e Don Draper è la capacità di incarnare l’antieroe ovvero un personaggio dalla psicologia complessa, dalla morale ambigua, spesso egoista e manipolatore ma sempre dotato di carisma unitamente al coraggio, o alla costante debolezza, di indulgere in quei comportamenti che le brave oneste persone tentano quotidianamente di reprimere. Figure, dunque, che mettono lo spettatore nella scomoda posizione di subire il fascino del protagonista a cui spesso vengono accordate più giustificazioni e attenuanti di quante non solo la morale dovrebbe vietare, ma anche il buon senso: Walter White inizialmente conquista comprensibilmente la nostra simpatia umana – è in fin dei conti un onesto e dimesso professore di chimica umiliato e battuto dalla vita – ma via via che la storia prosegue, il buon padre di famiglia si evolve nella principale minaccia alle esistenze delle persone che voleva proteggere, quelle stesse persone il cui benessere diventa infine un paravento dietro il quale nascondere il desiderio di proseguire nella carriera di drug lord per continuare a nutrire il suo ego.

walter white

“Antieroe” è dunque una delle parole chiavi della golden age televisiva a cui dobbiamo aggiungere anche la nozione di “cable network”: l’ultima decade televisiva ha coccolato lo spettatore in termini di qualità chiedendo contestualmente una partecipazione attiva alla visione, nei limiti in cui il mezzo può prestarsi all’interattività. Questo è avvenuto grazie alla libertà creativa della quale autori quali Chase, Simon, Milch e Weiner hanno potuto godere, libertà che non sarebbe stata concessa loro su reti generaliste impegnate a intrattenere un pubblico da non turbare: The Good Wife e Person of Interest, entrambe sulla CBS ed entrambe tra le migliori serie in onda, hanno avuto il loro bel da fare nel nascondere, a un’occhio distratto, la struttura complessa sotto le spoglie del procedurale, e schermare tematiche controverse dietro i casi della settimana.

I cable network hanno optato per show intorno ai quali, e sui quali, fondare un’identità, crescere in prestigio: The Walking Dead guadagna alla AMC ascolti prima ipotizzabili solo per grandi eventi sportivi, ma sono Breaking Bad e Mad Men, serie originali, irripetibili e non replicabili, a rendere prestigioso il nome del cable.

Certo con Mad Men non termina l’era del cable, né il pubblico resterà senza altri grandi show: The Americans, Hannibal, i già citati Person of Interest e The Good Wife, le serie antologiche True Detective e Fargo. Per esempio. Quello che è giunto al capolinea è il racconto di un personaggio gigantesco che più che antieroe preferisco chiamare anti-dottor Greene (ER). Ma Don Draper è un grande protagonista anche grazie alla sua abilità di sentire e leggere il mutamento dei tempi ed esserne interprete. La sequenza finale dell’ultima puntata di Mad Men suggerisce lui quale ideatore di uno spot che cozza completamente con il personaggio che conosciamo: ombroso, alcolizzato, amareggiato nei confronti di un universo che valuta “indifferente”. Eppure uno spot così pieno di gioia e amore per la vita è precisamente il genere di commercial che un uomo in grado di avvertire il passaggio di consegne da un’era all’altra può concepire: l’advertising si basa sul vendere l’idea di felicità, ma il concetto stesso di felicità cambia con il mutare dei tempi e a inizio degli anni ’70 l’idea di felicità può essere rappresentata da una grande famiglia che, parafrasando lo spot, include chiunque voglia vivere e condividere idee di pace e armonia.

Adesso sono i “tempi” televisivi a mutare, così come la soglia di attenzione del pubblico televisivo. L’arrivo di Netflix – e quindi la realtà del binge watching – dei servizi di streaming, la visione tramite second screen, il diverso modo di fruire delle serie televisive che per i cosiddetti millenials sono prodotti sempre più svincolati dall’idea stessa di televisione, porteranno – stanno già portando – inevitabilmente a un cambiamento. La golden age televisiva forse è finita, ma è terminata anche un certo tipo di fruizione televisiva. Quello che verrà non necessariamente sarà inferiore o meno nobile rispetto all’ultima decade, serve solo che i Network siano altrettanto brillanti come Don Draper nel produrre, senza ricalcare il passato, qualcosa che resti nel tempo.



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Mara Ricci

Serie tv, Joss Whedon, Jane Austen, Sherlock Holmes, Carl Sagan, BBC: unite i puntini e avrete la mia bio. Autore e redattore per Serialmente, per tenermi in esercizio ho dedicato un blog a The Good Wife.

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2 Comments

  1. Per quanto possa valere io sono assolutamente d’accordo coni ll fatto che quella segnalata sia la golden age della serialità americana, a prescindere dalle preferenze personali di genere o stile. In quegli anni c’era una fase di ascesa e consolidamento del medium “serie tv” ed i canali via cavo seppero intuire la necessità di distinguersi, di creare qualcosa che fosse smaccatamente diverso, qualcosa che portasse a fare un abbonamento in quanto non concepibile poter vedere nulla di paragonabile nelle tv tradizionali. Questo diede una libertà espressiva inconsueta ed una possibilità di addentrarsi in tematiche prima di allora a malapena sfiorate, fu come se l’intoccabile diventasse necessariamente da toccare. In quel periodo si è formata la vera figura dell’autore televisivo, qualcuno che ragionasse autorialmente nell’ottica di uno sviluppo narrativo denso e sfaccettato, capace di agire verticalmente ed orizzontalmente, creare un intrattenimento ad uso e consumo dei 50 minuti ma anche sviluppabile negli anni. Una scrittura quasi letteraria ma con ben in mente il potenziale audiovisivo che rimase però sempre sullo sfondo, curato ma non determinante. Oggi accade l’opposto, è l’immagine in primo piano, la regia televisiva vive uno sviluppo estremo e la tv sta diventando una frontiera di esplorazione estetica ed avanguardia insspettabile fino a pochi anni fa (The Knick è solo l’esempio più lampante) forse però prendendo troppo dal cinema, non solo in termini di forza lavoro ma soprattutto di linguaggi espressivi, cosa che nella golden age non avvenne mai, era tv, il cinema era un’altra cosa. Sono sviluppi e mutamenti interessanti e stimolanti ma, prescindendo da gusti personali, credo che chiunque sia dotato di un giudizio critico obbiettivo e ponderato ed uno sguardo d’insieme sufficientemente ampio, non possa non concordare che The Wire, Six Feet Under, The Shield, The Sopranos, Oz etc. etc ebbero un fervore pionieristico ed un coraggio da esplorazione di una frontiera sconosciuta dell’intrattenimento che le eleva ed eleverà per sempre, anche di fronte all’ottima produzione contemporanea.

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