Questo articolo parla del finale di Metal Gear Solid V; si sconsiglia la lettura a chi ha intenzione di finire il gioco e non l’ha ancora fatto. Per una panoramica più generale al gioco, abbiamo pubblicato questo articolo di Flavio Del Prete.

V has come to.

Metal Gear Solid V – The Phantom Pain è finalmente arrivato nei negozi, dopo mesi di drammi legati al peggioramento del rapporto tra la casa produttrice, Konami, e il creatore della saga, Hideo Kojima. Che il titolo sia uscito e sia ottimo è un mezzo miracolo, considerando che Kojima e Konami hanno ormai tagliato i rapporti e che il colosso del videogioco giapponese ha deciso di abbandonare la produzione di videogiochi ambiziosi e grossi come la serie Metal Gear, o Silent Hill.

Nonostante questo Metal Gear Solid V è un capolavoro sotto molti punti di vista. Per la prima volta nella serie la struttura del gioco è aperta, non lineare, e permette al giocatore di visitare diversi, larghi scenari per intraprendere centinaia di missioni; allo stesso tempo una parte dell’esperienza si basa sulla costruzione e la gestione di un gruppo paramilitare, e richiede al giocatore di reclutare soldati, di recuperare risorse, e anche di infiltrare basi nemiche in una componente online che ricorda le dinamiche di Dark Souls. The Phantom Pain può essere giocato per un buon centinaio di ore prima di esaurire tutti i contenuti che offre. Nonostante questo è anche, senza dubbio, un lavoro incompleto.

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Il racconto di questo episodio, iniziato con il “prologo” Ground Zeroes, e ancora prima dal capitolo per PSP, Peace Walker, è diviso in due capitoli: il primo è compreso da una trentina di episodi, mentre il secondo si conclude in più o meno dopo sole cinque missioni, delle quali un paio sono assai striminzite. Il racconto mette il giocatore nei panni del leggendario soldato Big Boss mentre cerca di ricostruire il suo idillio militare, Outer Heaven, una specie di nazione indipendente creata da militari per militari, praticamente l’idea del vigilante estesa ad un’organizzazione piuttosto che ad un individuo. La figura di Big Boss è un simbolo per molti nell’universo di Metal Gear, l’idea di un leader capace di far trovare un equilibrio ad un mondo al costante vertice dell’autodistruzione nucleare. L’avventura di Big Boss è iniziata in Metal Gear Solid 3, uno dei più riusciti giochi della serie. Uno degli aspetti più importanti del personaggio è la consapevolezza del suo percorso da eroe a “cattivo”: Big Boss è il nemico dell’eroico Solid Snake nei primi due giochi della serie.

Ma nel finale scopriamo che il personaggio che stiamo controllando non è Big Boss, ma un suo commilitone, anche lui finito in un coma dopo gli eventi di Ground Zeroes, la cui identità è stata modificata via via fino a farlo diventare un sosia di Big Boss, il suo avatar agli occhi nel mondo: non a caso Ocelot e Miller, i suoi consiglieri, lo incoraggiano ad agire in maniera più umana di come Big Boss ha agito fino a quel momento (in particolare nel caso di bambini guerriglieri recuperati nel campo di battaglia che vengono protetti, quando il “vero” Big Boss non aveva molti scrupoli a farli crescere dentro campi di battaglia). Questo personaggio, Venom Snake, è comunque parte fondamentale della mitologia della serie. È lui che combatte contro Solid Snake nel primo episodio della serie. È anche il cuore dell’ennesimo colpo di scena in una serie che ha costruito la sua reputazione e il suo fascino nel saper allestire una mitologia fatta di segreti, rivelazioni, sorprese e inganni.

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Nel rivelare la sua vera natura, il gioco rivela anche di essere di fatto un capitolo “minore” della serie. Kojima non ha mai esplicitamente parlato di Metal Gear Solid V come il quinto capitolo ufficiale della serie, che fino a questo momento non ha mai usato la numerazione romana per indicare i propri progressi. Ha detto che la V rappresenta il simbolo della vittoria, e ora sappiamo che rappresenta Venom Snake. A molti questo è sembrato un tradimento, visto e considerato che il materiale promozionale che ha preceduto il gioco lo ha fatto sembrare come il link mancante che avrebbe finalmente dato coerenza alla serie.

Di fatto, Metal Gear Solid V riesce in questo obiettivo, anche se in maniera non molto elegante, con uno stratagemma che un giocatore distratto può ignorare del tutto. The Phantom Pain mette infatti da parte le lunghe conversazioni via codec che hanno caratterizzato la serie fino a questo momento, sostituendole con delle musicassette che raccontano parti della storia di cui non facciamo esperienza diretta. Le registrazioni che troviamo dopo la fine del gioco, in particolare, rivelano i motivi dietro le azioni del misterioso Commander Zero, e riescono nell’opera discretamente incredibile di dare coerenza ad una serie che ha dato vita ad una decina di giochi in 28 anni di durata. Grazie a questi elementi,l’opera di mitopoiesi acquisisce un respiro molto più ampio, le motivazioni dei suoi protagonisti rivelano una complessità inedita in precedenza, e la coerenza tematica dell’intera epopea acquista un peso ben maggiore.

Nonostante tutto questo, però, Metal Gear Solid V ha dei notevoli buchi narrativi. Nell’edizione speciale del gioco è rivelato che il team aveva pianificato e cominciato a costruire una missione che avrebbe visto Naked Snake rintracciare Eli (il futuro Liquid Snake) per recuperare il Metal Gear rubato durante il secondo capitolo. Questa sequenza è stata abbandonata, per motivi ancora poco chiari (ufficialmente perché è stata considerata poco utile al racconto, una versione poco credibile ora che sappiamo delle tensioni interne tra Kojima e Konami). I fan hanno anche scoperto che dentro al codice di gioco è presente la schermata di introduzione di un terzo capitolo in realtà non presente nella versione venduta nei negozi. E non è tutto: grazie al lavoro di ricerca degli appassionati sono emersi molti altri elementi, indizi che non vengono mai risolti, conversazioni che sembrano suggerire colpi di scena che non arrivano ma: una lunga serie di segnali che suggeriscono come The Phantom Pain dovesse in realtà essere essere un prodotto (molto?) diverso da quello che è arrivato negli scaffali quest’anno. Eppure, paradossalmente, questo potrebbe rinforzare uno dei temi più importanti del gioco.

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Kojima ha dichiarato di voler far sentire al giocatore un vero senso di perdita, uno degli aspetti centrali della storia, quel “dolore fantasma” che dà nome al gioco. E in effetti arrivare alla fine dell’avventura è un’esperienza melanconica, che lascia un senso di insoddisfazione, soprattutto per coloro che hanno deciso di dedicare molto tempo al titolo. Questo è particolarmente evidente nell’arco narrativo di Quiet, uno dei personaggi più importanti dell’avventura. Quiet viene introdotta nella sequenza iniziale del gioco, dove cerca di uccidere Big Boss e Venom Snake. Ma dopo aver rischiato di morire carbonizzata per mano di Big Boss viene riportata in vita dal suo “datore di lavoro”, il diabolico Skull Face, con delle iniezioni di parassiti che le permettono di continuare a vivere respirando tramite l’epidermide e nutrendosi come una pianta, con la fotosintesi (se questo vi sembra strano, non avete giocato abbastanza Metal Gear). Rincontriamo Quiet in una missione opzionale dove ci è chiesto di sconfiggerla in una battaglia tra cecchini. Una volta finita la sfida, è possibile ucciderla o graziarla. Nel secondo caso la procace e taciturna fanciulla diventa uno dei personaggi principali, nonché uno dei quattro possibili “alleati” da portare nel campo di battaglia per assistere le nostre missioni. Quiet è forse l’alleato più potente, e mano a mano che la si sceglie per accompagnarci nelle diverse missioni, la sua fiducia verso Venom Snake aumenta. Nelle fasi finali è possibile portarla nel campo di battaglia con un fucile da cecchino così potente e silenzioso da potere eliminare (o, meglio, sedare), interi plotoni di nemici da distanze siderali senza essere notata. Con Quiet le missioni diventano più semplici mentre e nello stesso tempo le vicissitudini avvicinano lei e Venom una a l’altro. Sotto molto punti di vista Quiet è l’unico personaggio del gioco che instaura un vero rapporto con Venom Snake.

Tuttavia verso la fine, dopo una missione in cui Snake rimane quasi ucciso, Quiet scompare per evitare che il parassita letale a cui lei fa da portatrice possa infettare il mondo. Da quel momento non è più possibile sceglierla come compagna per le missioni: semplicemente Quiet sparisce. Non solo nel racconto, ma anche dal gioco stesso. Questa scelta sorprende: toglie a Metal Gear Solid V un elemento fondamentale, così da limitarne l’esperienza, rendendola di colpo più difficile, meno piacevole. Ma questo senso di perdita, e di insoddisfazione, è lo stesso che viene spesso descritto dai protagonisti, il dolore fantasma, la sensazione di un qualcosa (o un qualcuno) mancante, che per quanto si possa provare a sostituirlo, resterà vivo nella nostra memoria, nel nostro presente.

La scomparsa di Quiet è una scelta molto coraggiosa in un medium che difficilmente altera l’esperienza del gioco in maniera così radicale per il solo obiettivo di aumentare l’immedesimazione del giocatore con il suo avatar. Ma non è la prima volta che Kojima gioca con le convenzioni del medium per provocare reazioni intense nel giocatore. Questo è solo un altro esempio della sua determinazione nello sfidare i limiti del videogioco come forma narrativa. È talmente riuscita da far pensare che anche altri elementi lasciati in sospeso possano essere scelte deliberate, non semplici problemi di tempo e budget. E anche nel caso che queste siano semplici coincidenze, si tratterebbe di coincidenze estremamente fortunate, che permettono persino di dare al gioco un senso, anche nei suoi buchi.

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Kojima ha anche aggiunto che questo sarebbe stato il suo ultimo Metal Gear, dichiarazione fatta con costanza dopo l’uscita degli ultimi 4 capitoli della serie. Ma al termine di questo quinto capitolo è lecito pensare che l’idea dietro a creare The Phantom Pain potesse essere quella di portare ad un vero Metal Gear Solid 5  in cui inserire ancora nuovi elementi per dare senso alla serie. I prossimi mesi potrebbero rivelare nuove informazioni sul progetto: e ultimamente alcuni pensano che Kojima possa avere in serbo una sorpresa per i fan, magari terzo capitolo che potrebbe manifestarsi in un’espansione scaricabile (a pagamento?). Konami stessa potrebbe infine riconsiderare la sua scelta di abbandonare la produzione di videogiochi blockbuster adesso che The Phantom Pain ha avuto un cosìenorme successo di vendite.

Ma non è impossibile che Kojima volesse concludere il suo lavoro lasciando il giocatore con una ferita al cuore: per dare il senso che la guerra non può essere mai vinta, che è perdita ancora più che vittoria, che è dolore prima di divertimento.



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Emilio Bellu

Scrittore, cineasta, giornalista, fotografo, musicista e organizzatore di cose. In pratica è come Prince, solo leggermente più alto e sardo. Al momento è di base a Praga, Repubblica Ceca, tra le altre cose perché gli piace l'Europa.

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1 Comment

  1. Spero con tutto il mio cuore che esca un aggiornamento, o anche un DLC a pagamento (un po’ meno ma vabbè), ma dopo tutta la questione Kojima-KONAMI non ci credo molto.
    Più probabile invece che tutto il materiale inserito nel gioco “completo” che fa riferimento a un continuo della trama non sia stato rimosso sí per creare un reale “phantom pain”, ma solo dopo non aver avuto la possibilità di finire lo sviluppo.
    Si sarebbe potuto infatti evitare di mostrare la missione 51, cosí come la fuga di Eli, senza creare alcun inutile cliffhanger.

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