Nuovo appuntamento con la rubrica #SoLongItaly, dedicata agli italiani in fuga dallo stivale bucato. Stavolta andiamo dall’altra parte del mondo, nella Terra di Mezzo, in Nuova Zelanda e precisamente a Wellington, dove ha sede la Weta…

Chi sei, quanti anni hai, da dove vieni, cosa fai nella vita?

Mi chiamo Paolo Emilio Selva, ho 37 anni e sono cresciuto a Nettuno in provincia di Roma. Da sempre appassionato di computers e per lavoro faccio quello che ho sempre fatto anche per passione, il programmatore.

Attualmente dove ti trovi e da quanto hai lasciato l’Italia?

Vivo a Wellington in Nuova Zelanda da quasi 8 anni ormai.

Cosa ti ha spinto ad abbandonare l’Italia? (leggi: cosa manca nel nostro Paese che invece hai trovato dove ti trovi ora?)

Come programmatore con la passione per la computer grafica, volevo trovare un lavoro che unisse le due cose. Molti colleghi, dopo la laurea, trovarono lavoro in varie compagnie come consulenti, come tecnici di laboratorio, sistemisti in banca, etc. Io non avevo proprio intenzione di fare quel genere di lavoro, volevo qualcosa di piu’ creativo. 
Nel mio caso dopo la laurea ho lavorato all’universita’ come docente e tutor. Ho scoperto che insegnare mi piaceva molto, la parte piu’ stimolante per me era creare gli esami di programmazione, sfide per gli studenti con componenti grafiche, non i soliti algoritmi e basta. 
Durante questi anni ho cercato vari lavori da affiancare a quello di docente. Mi sono imbattuto in tutte piccole compagnie che cercavano la figura mitologica del “generalist”, che in realta’ assumeva piu il significato di tutto-fare, andando a spaziare in troppi campi lontani tra loro e spesso al di fuori della computer grafica. Questo perche’ nessuna compagnia voleva investire un impiegato programmatore a tempo pieno, era molto piu semplice appoggiarsi a soluzioni gia’ esistenti, tools gia conosciuti e in uso, in modo da avere in pochi giorni il prodotto pronto ma uguale a tanti altri. 
Era completamente assente l’idea di sperimentare e ricercare nuove soluzioni migliori e all’avanguardia. Dopo anni passati a fare il generalist cercando sempre pero’ di aggiungere un pizzico di creativita’ in quel sistema stantio, alla fine ho deciso di provare a guardare fuori dall’Italia e come tanti ho pensato a Londra, ho quindi deciso drasticamente di andarmene da Roma, senza un contratto di lavoro in tasca. 
Dopo un paio di mesi ho trovato il mio primo lavoro e dopo quasi un anno mi e’ capitata l’occasione di provare a fare domanda in Weta. Ed e’ andata bene. Senza “spinte” senza raccomandazioni ma presentando semplicemente il mio CV.  Non posso averne la certezza ma credo che avrei potuto trovare lo stesso tipo di lavoro e stessa soddisfazione anche nelle compagnie di Londra, ma decisamente, al tempo, non in Italia. Quello che ho trovato qui e che reputo manchi nel mio settore in Italia sia la voglia di sperimentare, le risorse economiche impiegate nella ricerca, la stimolazione alla creativita’, il riconoscimento   (sia economico che morale) della propria conoscenza e delle proprie attitudini e qualita’, in poche parole il rispetto per la figura del lavoratore come risorsa per la compagnia e di riflesso per la comunita’ e la nazione.
Il concetto che si respira qui e’ che il tuo lavoro, qualunque esso sia, porta lustro all’intera Nuova Zelanda, facendoti sentire parte integrante di un sistema che lavora insieme.

Qual è la maggiore differenza che hai riscontrato, in ambito professionale, tra il modo di lavorare nel Paese in cui ti trovi e l’Italia?

Mi trovo in un ambito lavorativo abbastanza particolare. Non solo perche’ siamo circa mille persone da almeno 40 paesi diversi, ma anche perche’ la vita lavorativa e’ vissuta in   maniera naturale. Come in altre compagnie simili e come non sembra essere ovvio in Italia, conta quello che fai e cio’ che produci e non importa come sei vestito, che capelli hai, se sei tatuato, se vai in giro scalzo o con le ciabatte di spiderman. E anche se si creano delle amici e confidenze, quando si tratta di lavoro, si rimane sempre nei regolamenti. E quando si parla di straordinari, te lo chiedono per favore e ben pagato. Non faccio ovviamente un discorso generalizzato per ogni posto di lavoro in Italia come non lo faccio per ogni posto di lavoro in Nuova Zelanda, parlo esclusivamente del mio settore e del posto dove lavoro io.

E la differenza “non professionale” (vale tutto: clima, cibo, abitudini, atteggiamento delle persone)?

Ovviamente e’ tutto abbastanza diverso. Siamo al capo opposto del Pianeta e clima, cibo e abitudini sono diverse. Il clima e’ particolare in Nuova Zelanda, qui si hanno quattro stagioni in una giornata sola. Non e’ mai troppo caldo e mai troppo freddo. Ci si veste a strati per poter togliere o mettere uno strato in base a zone d’ombra, vento freddo (dal polo sud) e come tutte le isole risente del forte vento ma soprattutto Wellington (tra due isole, affacciata al Sud). Si vive molto la natura, ce n’e’ molta e si tende a rispettarla anche se sembra che i neozelandesi in alcuni casi non vogliano imparare dagli errori delle altre nazioni in materia di riciclaggio e   inquinamento.

La societa’ e’ multietnica quindi si riesce ad incontrare e confrontarsi con realta e abitudini molto diverse con tutte le difficolta’ del caso. L’immigrazione pero’ e’ strettamente controllata, cosa resa facile dalla geografia della NZ, e i requisiti per entrare sono molto restrittivi. Si ha l’idea che questa nazione viva 40 anni indietro nel passato rispetto al resto del mondo. si ha la sensazione di vivere in un grosso paese di campagnoli, dove tutti si conoscono, dove si ringrazia ancora l’autista dell’autobus prima di scendere. Il ritmo frenetico di una metropoli non e’ assolutamente una realta’ neozelandese, i ritmi qui sono lenti e dettati ancora dal sole.Un grosso problema e’ invece l’educazione scolastica dai 10 anni fino all’universita’, molto carente. Il numero di suicidi tra i giovani e’ molto alto anche se sembra stia diminuendo. Il problema e’ soprattutto legato alla comunita’ maori, popolo meraviglioso ma che porta ancora i segni di una colonizzazione brutale che 150 anni non hanno ancora cancellato.

La Nuova Zelanda non e’ solo lontana, e’ anche un isola con un ecosistema unico, un’economia molto fragile se esposta alle multinazionali e una popolazione talmente piccola quindi c’e’ uno stretto controllo sulle materie d’importazione, molte restrizioni e speciali accordi con la Cina. Questo comporta la mancanza di varieta’ di prodotti, una vera concorrenza che porterebbe ad una diversificazione e una diminuzione del prezzo di acquisto. Una grande mancanza, da italiano che si rispetti, e’ il cibo. Il cibo aihme’ e’ il primo nella classifica dei prodotti regolati dalla legge. Nonostante l’impegno dei neozelandesi che si spacciano per gli intenditori di buona cucina nel mondo anglosassone (ed e’ vero) il cibo non raggiunge livelli alti. Ci sono prodotti “simili” ma non sono accettabili da alcun italiano che si rispetti. La qualita’ del prodotto e’ molto alta, sara’ che qui le mucche sono felici e i polli (non tutti purtroppo) scorrazzano ancora liberi nelle aie. Cosa manca di piu? La mozzarella, quella buona. Qui si potrebbe produrla senza diossina, che peccato!

Quali sono le maggiori difficoltà “operative” che si riscontrano quando si lascia l’Italia per andare all’estero?

Una delle difficolta piu grandi nel vivere qui e’ la distanza dal proprio paese d’origine. 
Vivere a Londra mi permetteva di tornare in Italia nel weekend.  Qui, per tornare, bisogna deciderlo con mesi di anticipo: due giorni di viaggio minimo; migliaia di euro a biglietto; almeno una settimana per riprendersi dal jetlag. Ogni volta che torniamo (una volta ogni due anni circa) e’ almeno per un mese. 
Ci sono vari modi di vivere all’estero. C’e’ chi la vive come un momento di passaggio, anche di un anno o due, per poi andare da un altra parte o tornare a casa. In quel caso “traslocare” e’ facile, basta uno zaino, si cerca una sistemazione veloce ed economica per dormire, ci si sposta agevolmente tra i vari camping, ostelli o   studio flat da prendere in affitto. Ci si muove da una citta’ all’atra in cerca di lavoro o di posti incantevoli da vedere.
C’e’ poi chi vive l’esperienza all’estero come la propria nuova casa e questa e’ la mia esperienza. E le difficolta’ che si hanno in queste situazioni sono assicurarsi che i documenti siano apposto (tra residenza e patente, siamo immigrati, meglio essere in regola), comprare casa e chiedere un mutuo, comprare una macchina, trovare il proprio meccanico di fiducia, trovare il General practicioner (il medico della mutua),ecc ecc   e’ un po’ come ripartire da zero.

Noi pero’ siamo una categoria di fortunati, chi lavora per Weta ha molte agevolazioni e sconti. Appena arrivati avevamo un ragazzo che si e’ occupato di noi, ci ha portato in albergo (pagato), ci ha aiutato a trovare una casa in affitto nel giro di 1 settimana, ci ha dato le prime dritte su Wellington. E’ stato tutto molto facile. Anche chiedere un mutuo e’ stato piu facile, lavorare per Weta e’ un buon biglietto da visita per la banca che accetta volentieri la tua richiesta di mutuo.Gli Italiani che arrivano in NZ trovano molto utile per esempio la pagina Facebook di “italiani a Welligton”, sembra essere un mezzo molto utilizzato per chiedere aiuto, consigli, informazioni e scambi di esperienze e a volte anche annunci di lavoro.

Altra piccola difficolta che per quanto banale assolutramente non di poco conto e’ l’abitudine ai “supermercati locali” e alle marche di prodotti locali. La Nuova Zelanda e’ un isola e per noi, nonostante siamo aperti alle novita’ e curiosi di cucina estera, il cibo e’ stato un problema; sbagliando confezioni, scambiando prodotti per altri, affinando il palato a nuovi sapori alla fine ci siamo ambientati, anche se non abbiamo accettato mai il pane inglese tanto da iniziare a farlo in casa. Una volta entrati nel ritmo, qui si vive come in un paesino, con il mercato la domenica, il supermercato dietro casa la sera, sempre le stesse facce che incontri ovunque, due chiacchiere con altri italiani che incontri nei soliti posti. Insomma se arrivi da una metropoli all’inizio “ci si sta un po’ stretti” ma poi si comincia ad apprezzare la pace e la tranquillita’ di vivere in comunita’ di poche migliaglia di persone. Per quello che riguarda bollette e tasse, e’ tutto molto snello, faccio tutto online, non vado mai in banca o alla posta , ogni pagamento e’ automatico sul conto, e lo stipendio arriva settimanalmente.Burocrazia snella. 
L’unico problema e’ che se per qualche motivo c’e’ qualche intoppo di qualunque genere, i kiwi(neozelandesi) vanno nel pallone, non hanno le capacita’ di risolvere problemi, cosa che noi italiani, avendocene a che fare tutti i giorni, invece sappiamo fare benissimo.

C’è qualcosa nel Paese in cui ti trovi che non è come te lo immaginavi prima di viverci?

Praticamente tutto. Non riuscivo proprio ad immaginarmela anche perche’ anni fa non conoscevo benissimo la Nuova Zelanda. Solo vivendoci ci si accorge delle cose belle che ti propone, la qualita’ della vita’, la vastita’ di aeree verdi, il clima che cambia spesso e soprattutto la forza del vento, il silenzio della sera quando vai a dormire.

Cosa ti spingerebbe a ritornare in Italia?

Non tornerei in Italia se non per le nostre famiglie e gli amici piu stretti e il cibo buono.
Se volessi tornare, sceglierei comunque di tornare in Europa.

Che consiglio daresti ad una persona più giovane di te che volesse intraprendere la tua stessa professione?

Se sei sotto i 30 anni, richiedi la working holiday visa, la permettono una volta nella vita, e ti consente di lavorare per chi vuoi, per un anno, permettendoti di girare anche la Nuova Zelanda. Per cui se sei interessato a Weta ma non hai il contratto di lavoro gia’ in mano quando arrivi, hai tempo un anno per continuare a tentare
Se invece hai sopra 30 anni, prova a far domanda lo stesso a Weta, tanto non si perde nulla a provare. 
Consiglio comunque di venire qui e vedere se l’aria che si respira sa di buono, non a tutti e’ piaciuta, la NZ e’ un posto molto particolare per cui prima di decidere se spostarsi o no consiglio una bella vacanza ( se si e’ nelle condizioni anche di 3 mesi, la durata massima del visto da turista)
E se poi non ti e’ piaciuta, pazienza, e’ qualcosa che metti nella “valigia dell’esperienza”.

Ultima domanda: consiglia, motivandolo, un film/libro/gioco/disco ai nostri lettori (uno in assoluto, non uno per categoria!)

“Safety not guaranteed”, non fermarsi di fronte all’apparente irrealizzabilita di un progetto, per quanto assurdo possa sembrare.

Se hai un porfolio, blog, sito, pagina social, campagna kickstarter che avresti piacere fosse pubblicata, posta il link qui sotto

Penso che per rimanere in tema, vorrei solo che visitaste questo:  http://www.newzealand.com/
Non e’ solo il piacere di lavorare in un settore che e’ fortunatamente anche la mia passione, e’ soprattutto il piacere di farlo in un posto come la Nuova Zelanda che lo rende ancora piu bello.

Previously, on #SoLongItaly

1-COME DIVENTARE SPACECRAFT ANALYST A DARMSTADT
2-COME DIVENTARE INSEGNANTE DI VIDEOGIOCHI A SINGAPORE
3-COME DIVENTARE UN CREATIVO A LOS ANGELES
4-COME DIVENTARE FOTOGRAFO A MELBOURNE
5-COME DIVENTARE CURIOSO AD AMSTERDAM
6-COME FARE IL VISUAL DESIGNER A NEW YORK
7–COME DIVENTARE IMPRENDITORE A HOLLYWOOD
8-COME ANDARE A FARE IL PROGRAMMATORE ALLA WETA A WELLINGTON
9-COME DIVENTARE MEDIEVISTA A LEEDS
10-COME LAVORARE NEI VIDEOGIOCHI A LONDRA
11-COME DIVENTARE PRODUCT DESIGNER A PALO ALTO
12-COME INSEGNARE CULTURA ITALIANA A NEW YORK
13-COME FARE IL DESIGNER A LOS ANGELES
14-COME DIVENTARE ATTORE A LOCARNO
15-COME FARE IL FILOSOFO A SAN FRANCISCO (E UN PO’ OVUNQUE)



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Andrea Chirichelli

Classe '73. Giornalista da tre anni, ha offerto il suo talento a riviste quali Wired, Metro, Capital, Traveller, Jack, Colonne Sonore, Game Republic e a decine di siti che ovviamente lo hanno evitato con anguillesca agilità. Ha in forte antipatia i fancazzisti, i politici, i medici, i giornalisti e soprattutto quelli che gli chiedono foto.

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