Qualcuno ha deciso che il 2015 dovrà essere ricordato come l’anno delle trasposizioni cinematografiche (apparentemente) impossibili. Dopo il mezzo miracolo avvenuto coi Peanuts, ad essere portato sullo schermo è il romanzo di formazione per eccellenza, Il Piccolo Principe, scritto e illustrato da Antoine de Saint-Exupéry, pubblicato per la prima volta il 6 aprile 1943.

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Esistono opere che trascendono il tempo e su cui andrebbe applicato per legge un bollino con su scritto “maneggiare con cura”, data la loro importanza. Libri così densi e ricchi di segni, significati, allegorie e metafore da necessitare anni e plurime riletture per la loro completa comprensione. Come portare l’essenziale sul grande schermo?

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Mark Osborne, regista del primo Kung Fu Panda, e i suoi sceneggiatori Irena Brignull e Bob Persichetti decidono di utilizzare le vicende narrate nel libro come volano per raccontare una storia originale: quella di una bambina (di cui non conosciamo il nome) che, trasferitasi in nuovo quartiere di una grande città, trascorre l’estate seguendo un rigido protocollo che dovrebbe permetterle di essere accettata in una scuola prestigiosa per diventare “donna in carriera” come la madre. Suo vicino di casa è un anziano e strampalato aviatore che un giorno inizia a raccontarle la storia dei suoi viaggi e del suo incontro con un piccolo principe che abitava su un lontano asteroide…

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Il film, così impostato, procede su un doppio binario per quasi tutta la sua durata. Da un lato ci sono le avventure e gli incontri del Piccolo Principe (tutti o quasi: la volpe, il serpente, la rosa, il Re solitario che dà ordini a sé stesso, l’uomo che conta le stelle e ovviamente l’aviatore) dall’altro le vicende della ragazzina, che trova nell’anziano amico una via di fuga dalla sua noiosa quotidianità.

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La doppia narrazione viene enfatizzata anche dal registro stilistico scelto: mentre il presente della bambina è rappresentato con un animazione tridimensionale (oramai) classica, per le vicende del Principe si punta su un meraviglioso stop motion (a-la Coraline, per intenderci), caratterizzato da colori super saturi e tonalità calde e avvolgenti, un vero spettacolo per gli occhi. Occasionalmente compaiono, in modo non dissimile da quanto avvenuto coi Peanuts o il Tin Tin di Spielberg, anche i disegni originali di Antoine de Saint-Exupéry, silenziosi testimoni di un’iconografia storica.

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Il Piccolo Principe del 2015 è un inno all’escapismo lucido e ben motivato, perfettamente coerente con lo spirito dell’opera originale. La convergenza tra le due storie, frutto di un twist originale piuttosto coraggioso (da non spoilerare) enfatizza l’importanza di continuare a coltivare la capacità di usare la fantasia e divertirsi, anche quando si è diventati adulti. Difficile, in un mondo in cui di “aviatori” ne sono rimasti pochissimi, mentre proliferano le “madri” che, seppur in buona fede, trasformano i propri figli in robot orientati al successo a tutti i costi.

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Nella versione originale il cast vocale è mostruoso (Bridges, Cotillard, Franco, Mc Adams, Gervais, Brooks, Del Toro). Alle orecchie degli italiani arriveranno invece i soavi gorgheggi della Ramazzotti, Pif, Cortellesi e Siani: come dire che, oggi come oggi, conoscere l’inglese è un’ancora di salvezza anche in contesti non lavorativi.

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Un altro miracolo compiuto, quindi? Decisamente sì. Il Piccolo Principe non tradisce l’originale, attualizzandolo ed inserendolo in un contesto emozionante e dolcemente malinconico, offrendo al tempo stesso un grandioso spettacolo per gli occhi e la mente. Un film essenziale e, stavolta, visibile!



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Andrea Chirichelli

Classe '73. Giornalista da tre anni, ha offerto il suo talento a riviste quali Wired, Metro, Capital, Traveller, Jack, Colonne Sonore, Game Republic e a decine di siti che ovviamente lo hanno evitato con anguillesca agilità. Ha in forte antipatia i fancazzisti, i politici, i medici, i giornalisti e soprattutto quelli che gli chiedono foto.

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