In una notte adolescenziale qualunque, raggomitolati sotto le coperte, con in mano una di quelle piccole torcette maneggevoli, non c’è mai stato amico migliore di uno dei Piccoli Brividi. Dal pupazzo parlante allo spaventoso blob, passando per i più classici – il lupo mannaro, la mummia, il ragazzo invisibile -, il caleidoscopio di mostriciattoli garanzia di spaventi innocui e rapidamente fruibili partoriti da R.L. Stine è uno dei punti fissi nell’immaginario di chiunque sia cresciuto negli anni ’90 (e non solo). Ma nessuno dei libri della collana era mai approdato sul grande schermo: oggi, Rob Letterman (reduce dal deludente I viaggi di Gulliver) al cinema li porta tutti in una volta sola, inserendo la mattanza di creature spaventose in una cornice young adult.

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Protagonista è infatti il giovane Zach (Dylan Minnette), che si trasferisce con la madre in un quartiere di periferia poco dopo la morte del padre. La sua attenzione è, ovviamente, catalizzata dalla bella ragazza della porta accanto (Odeya Rush), che però ha un padre particolarmente arcigno e – per usare un eufemismo – ultraprotettivo. Il babbo altri non è che R.L. Stine stesso (un divertito Jack Black), che tiene rinchiusi da tempo immemore i mostri da lui creati per placare la solitudine e vendicarsi dei bulli che lo torchiavano (l’idea più carina del film).

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Ma quando per errore i romanzi vengono aperti da Zach e dal nuovo amico Champ (Ryan Lee, che ha le battute più riuscite: “Sai quel detto secondo cui gli adolescenti non hanno paura della morte? Non vale per me, io sono nato col dono della paura“) si scatena l’inferno. La città viene invasa e Piccoli brividi diventa una sorta di Jumanji delle generazioni anni ’10, tra adulti che imparano ad accettare le proprie paure e romantici twist finali.

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Divertissement ammiccante e senza pretese, dopo una prima parte che fatica a ingranare la pellicola di Letterman si fa più godibile, ma paradossalmente non sfrutta a pieno le potenzialità del suo circo di mostri, che fanno giusto qualche comparsata (la più simpatica è quella dei nani da giardino). Niente paura, comunque: questo è solo il primo capitolo di una trilogia, come da trend dominante del cinema d’oggi che impone franchise a manetta. Alla prossima puntata, dunque.



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