Dal Regno Unito alla California e precisamente a Palo Alto, continua il viaggio della rubrica #SoLongItaly, dedicata agli italiani che abbandonano lo stivale bucato…

Chi sei, quanti anni hai, da dove vieni, cosa fai nella vita?

Alessandro Mingione, 27 anni, nato e cresciuto a Cinecittà, Roma. Da piccolo volevo diventare un paleontologo, poi un architetto, poi un grafico. Ora sono product designer a Palantir. Creo applicazioni usate da aziende e organizzazioni per analizzare e sfruttare al massimo i dati di cui dispongono, combattendo problemi come l’insider trading, migliorando la cibersicurezza, e limitando i danni dovuti a catastrofi naturali.

Attualmente dove ti trovi e da quanto hai lasciato l’Italia?

Ho lasciato l’Italia grazie al progetto Erasmus per studiare type design alla Hochschule für Grafik und Buchkunst di Lipsia, Germania, nella classe di Fred Smeijers e Stephan Müller. Dovevo rimanere tre mesi, che poi sono diventati sei, e poi nove. Dopo la Germania sono tornato in Italia per studiare interaction design allo IUAV di Venezia, ma ho mollato dopo un semestre per uno stage a Palantir che si è trasformato in un posto fisso prima a Londra e ora a Palo Alto.

Cosa ti ha spinto ad abbandonare l’Italia? (leggi: cosa manca nel nostro Paese che invece hai trovato dove ti trovi ora?)

Qui nella Silicon Valley se sei bravo e ambizioso ti vengono dati tutti gli strumenti per avere successo, poi è il tuo turno per dimostrare che avevano ragione a credere in te. In Italia se sei bravo e ambizioso sei un peso. Bravo senza ambizione va bene perché sei vulnerabile, mentre di gente con ambizione e senza bravura ce ne è a iosa. Alla fine hai due opzioni: andartene o provare a cambiare il sistema. La seconda ti rende automaticamente un martire, e i martiri sono sopravvalutati. Educare le nuove generazioni mentre si aspetta che quelle oggi al potere muoiano (letteralmente) è la via più celere per il cambiamento ed è un miglior uso di energie che lottare contro il presente. Nel mio piccolo ho contribuito fondando insieme alla curatrice Maria Rosa Sossai e ad un gruppo di studenti ALA, una non-profit per l’educazione attraverso l’arte contemporanea. Credo che piccole iniziative come la nostra possano contribuire al cambiamento nel lungo termine.

Qual è la maggiore differenza che hai riscontrato, in ambito professionale, tra il modo di lavorare nel Paese in cui ti trovi e l’Italia?

Vista la grande competizione per acquisire talenti fra le compagnie della Silicon Valley, qui si investe molto nel rapporto manageriale uno a uno: le aziende sanno che un bravo dipendente che non si sente valorizzato o, peggio, che si annoia e smette di crescere può andarsene e ricevere offerte da altre mille compagnie. Per quanto riguarda il talento non ci sono particolari differenze. Designer e sviluppatori italiani non hanno niente a che invidiare ai colleghi oltre oceano, se non un contesto che li valorizza e agevola qualsiasi iniziativa imprenditoriale vogliano intraprendere.

E la differenza “non professionale” (vale tutto: clima, cibo, abitudini, atteggiamento delle persone)?

Avendo vissuto in paesi che non hanno una forte cultura culinaria nazionale come l’Inghilterra, la Germania, e gli Stati Uniti (al contrario di Francia, Cina, e Giappone, ad esempio) mi ha sorpreso come il cibo sia un veicolo di integrazione sociale. In Germania più della metà della popolazione straniera è turca, e puoi mangiare il miglior cibo medio-orientale di Europa. Negli Stati Uniti il 10% della popolazione è di origini messicane e le due cucine si fondono fino a creare cibo fusion come il tex-mex o varianti super locali come il Mission Burrito di San Francisco. In questi paesi il cibo etnico è trattato con la dignità e il rispetto che un tale elemento culturale merita, non ridotto all’idea di un qualcosa di veloce ed economico che causa mal di stomaco.

Quali sono le maggiori difficoltà “operative” che si riscontrano quando si lascia l’Italia per andare all’estero?

Per vivere e lavorare negli Stati Uniti hai bisogno di un visto (VISA) la cui assegnazione è, in questo momento, letteralmente una lotteria. Arrivare alla lotteria è semplice se si ha una laurea o un diploma equiparato (altrimenti è quasi impossibile ottenere il visto), ma essendoci più applicanti che posti disponibili bisogna decidere in qualche modo chi passa e chi non, e viene fatto con un’estrazione casuale. L’anno in cui partecipai le mie chance erano del 33%! Un’altra difficoltà sono le spedizioni oltreoceano. Per me è stata una buona occasione per fermarmi e pensare a quali oggetti mi stiano veramente a cuore. Ho tirato fuori ogni singolo libro, capo di abbigliamento, e articolo di cancelleria in mio possesso e preso il tempo di decidere se fosse qualcosa che valeva la pena spedire e possedere in un altro continente, in una nuova vita, o se ormai avesse esaurito la sua funzione. È stato un esercizio divertente e strappalacrime che mi ha fatto realizzare quanta “roba” accumuliamo e quanto sia meglio possedere meno cose ma di migliore qualità.

C’è qualcosa nel Paese in cui ti trovi che non è come te lo immaginavi prima di viverci?

Come italiano sono cresciuto con dei forti stereotipi americani: l’obesità, l’aria condizionata a palla, le porzioni gigantesche, Rambo, il succo di arancia venduto nelle taniche da benzina, la pizza con l’ananas, le pistole in casa… Ero piuttosto scettico all’idea di venire qui e osservare tutto questo proprio come lo ho conosciuto nei film, ma devo dire che è tutto vero. Una cosa che ho realizzato solo vivendo qui è la vastità di questo paese: alcune strade di città sarebbero considerate autostrade in Italia, e nella maggior parte della nazione non è possibile vivere senza possedere un’automobile. Ancora mi stupisco pensando a quanto siano sconfinati gli Stati Uniti e quanto cambino la popolazione e le abitudini spostandosi di stato in stato. In America molte culture riescono a vivere sotto uno stesso nome, pur essendo fondamentalmente in contrasto.

Cosa ti spingerebbe a ritornare in Italia?

Probabilmente solo un’iniziativa “tech avengers” che miri a snellire e ad aumentare la trasparenza della burocrazia del governo italiano. Qui negli Stati Uniti ci sono riusciti con healthcare.gov e Nava (e in parte Palantir). Ogni anno il governo italiano spende milioni in appalti per soluzioni IT che continuano a fallire, mentre credo che cervelli in auto-esilio sarebbero disposti a tornare e lavorare direttamente per il governo. Anche con stipendi del livello della Silicon Valley sarebbe una soluzione più economica, e porterebbe gente più competente e più motivata a risolvere problemi che contano e che affliggono direttamente il popolo italiano.

Che consiglio daresti ad una persona più giovane di te che volesse intraprendere la tua stessa professione?

A costo di suonare retorico, saper leggere, ascoltare, e parlare inglese (in ordine di importanza) apre tantissime porte. Anche se si vuole rimanere in Italia, per diventare un buon designer bisogna leggere materiale che non viene tradotto e guardare conferenze che non vengono sottotitolate, bisogna essere curiosi, avere fame, e se ci si limita a materiale italiano si rischia di imparare in una bolla che più si diventa vecchi e più è difficile scoppiare.

Ultima domanda: consiglia, motivandolo, un film/libro/gioco/disco ai nostri lettori (uno in assoluto, non uno per categoria!)

Impro di Keith Johnstone è uno dei libri che ho letto recentemente che più mi ha cambiato nel profondo. Sebbene tratti principalmente di improvvisazione teatrale, molte delle tematiche affrontate possono essere applicate anche in altri campi. L’autore non ha paura di esplorare gli angoli più oscuri dell’animo umano—come dimostrato nel capitolo sulle maschere—e allo stesso tempo di spiegare come approcci terapeutici e tecniche di narrazione “positive” possano incoraggiare e rendere più efficace la collaborazione all’interno di un team. I miei riferimenti sono qui e qui.

Previously, on #SoLongItaly

1-COME DIVENTARE SPACECRAFT ANALYST A DARMSTADT
2-COME DIVENTARE INSEGNANTE DI VIDEOGIOCHI A SINGAPORE
3-COME DIVENTARE UN CREATIVO A LOS ANGELES
4-COME DIVENTARE FOTOGRAFO A MELBOURNE
5-COME DIVENTARE CURIOSO AD AMSTERDAM
6-COME FARE IL VISUAL DESIGNER A NEW YORK
7–COME DIVENTARE IMPRENDITORE A HOLLYWOOD
8-COME ANDARE A FARE IL PROGRAMMATORE ALLA WETA A WELLINGTON
9-COME DIVENTARE MEDIEVISTA A LEEDS
10-COME LAVORARE NEI VIDEOGIOCHI A LONDRA
11-COME DIVENTARE PRODUCT DESIGNER A PALO ALTO
12-COME INSEGNARE CULTURA ITALIANA A NEW YORK
13-COME FARE IL DESIGNER A LOS ANGELES
14-COME DIVENTARE ATTORE A LOCARNO
15-COME FARE IL FILOSOFO A SAN FRANCISCO (E UN PO’ OVUNQUE)



Players è un progetto gratuito.

Se ti piace quello che facciamo, puoi supportarci (o offrirci una birra) comprando musica, giochi, libri e film tramite i link Amazon che trovi negli articoli, senza nessun costo aggiuntivo.

Grazie!
, , , , , ,
Andrea Chirichelli

Classe '73. Giornalista da tre anni, ha offerto il suo talento a riviste quali Wired, Metro, Capital, Traveller, Jack, Colonne Sonore, Game Republic e a decine di siti che ovviamente lo hanno evitato con anguillesca agilità. Ha in forte antipatia i fancazzisti, i politici, i medici, i giornalisti e soprattutto quelli che gli chiedono foto.

Similar Posts
Latest Posts from Players