“In un altro tempo e luogo, un uomo dorme e sogna.”

Ci sono storie che non esistono, decantava un celebre trailer di Maccio Capatonda. Questa stramba definizione si applica alla perfezione alle opere di Lavie Tidhar, scrittore israeliano vincitore del prestigioso World Fantasy Award per Osama, romanzo sul terrorismo e su Bin Laden dove scompaiono gli attentati alle Torri Gemelle e l’undici settembre rimane un giorno come tanti altri*.

Una premessa identica dà l’avvio anche a Wolf, la nuova ucronia di Tidhar. Qui a svanire è l’Olocausto, sventato da una tornata elettorale che diventa la Caduta anticipata di Hitler, consegnando la Germania al partito comunista, cancellando la Seconda guerra mondiale e proiettando un mondo con milioni di ebrei europei ancora vivi e liberi verso una Guerra Fredda anticipata tra blocco occidentale e orientale, di cui stavolta fa parte l’intera Germania.

Serve circa metà romanzo per dare un senso a quello che può sembrare un puro esercizio di stile storiografico e che invece cancellando la macchia atrocemente indelebile del Novecento è capace di cogliere le ombre striscianti e inquiete che tingevano anche le nazioni che poi avrebbero combattuto e sconfitto il nazismo. Ombre scure che si allungano sul Regno Unito, meta dei profughi austrotedeschi scampati al pericolo rosso in Germania, in una dinamica di migranti clandestini e disprezzati che rende questa ucronia più reale e attuale del vero.

Osama
La cover di Osama, precedente romanzo di Lavie Tidhar edito in Italia da Gargoyle.

Esule e privato del suo potere dall’aver perso la guida della sua nazione alle elezioni, il dittatore mancato ripara a Londra e si mette a fare il detective usando la traduzione inglese del suo nome, Wolf, diventando protagonista di una storiaccia pulp luridissima, di quelle popolate da brutti ceffi picchiatori, ricchi magnati sadici, sorelle scomparse, prostitute schiave e una femme fatale bellissima, malvagia ed ebrea.
L’autore sembra voler fare espiare al dittatore mancato tutto il male compiuto dalla sua controparte reale, facendolo passare da una rissa a una sevizia, umiliandolo nel suo orgoglio d’intellettuale, irridendo i suoi gusti sessuali masochisti, costringendolo a desiderare donne ebree che odia, coprendolo di piscio, sangue e merda, facendogli ripercorrere a ritroso la scala dell’umanità fino a toccarne il fondo.

Questa fantasia di morte scaturisce da un altro luogo, uno dolorosamente reale, in cui un uomo dorme e sogna. L’intera storia di A man lies dreaming – titolo in originale di Wolf – infatti è frutto di un internato in un campo di concentramento, uno scrittore ebreo che sopravvive così, estraniandosi dalla realtà di morte che lo circonda. Ogni giorno procede nella propria mente alla stesura del romanzo che lo salva dalla disperazione e gli permette di rivalersi su un’infinita galleria di gerarchi nazisti, politici europei compiacenti, figure culturali del Vecchio Continente. Figure che inserisce e rielabora in una fantasia pulp che filtra la sua realtà dallo strazio quotidiano, consegnandogli una sorta di dolce vendetta privata. Anche ad Auschwitz, la cornice di un Decameron ebraico con i protagonisti rapiti dal mondo, costretti a lavorare e morire, si susseguono i camei, stavolta reali, di giganti come Primo Levi e Ka-Tzenik, posti di fronte al problema di come descrivere l’indescrivibile.

A man lies dreaming

Attraverso il suo protagonista, a sua volta rielaborazione dello scrittore internato Shomer Aleichem, Tidhar fornisce la sua risposta, quella più attuale per un genere che comincia a fare i conti con l’assottigliarsi del numero dei testimoni ancora viventi e con il peso schiacciante di decenni di retorica. Una corrente che parte da Roberto Benigni e approda a Quentin Tarantino, unendo il tedesco Timur Vermes (autore di Lui è tornato) e l’istraeliano Lavie Tidhar. Dalla risata gentile all’umorismo più nero e iconoclasta, tutto è lecito per assaltare il nazismo e la sua ideologia, deturpandone le idee attraverso il corpo del suo fondatore, e pazienza se sul terreno rimane l’approccio elegiaco con cui si è raccontato per decenni l’eccidio degli ebrei.

Se quel führer trivellato di colpi dal genio ilare di Tarantino si è stampano nelle menti di tutti, Lavie Tindhar raffina il calvario a cui sottopone Wolf fino al geniale, cattivissimo ribaltamento finale, coronato da un climax da brividi** che è pugnalata nell’ideologia e nel mito di una figura che, sin da Il Grande Dittatore, al primo colpetto d’ironia collassa miseramente, diventando ridicola.
Tidhar insomma non pecca certo di ambizione ed è strepitoso nel coniugare precisione storiografica (per chi avesse qualche lacuna, c’è sempre una puntuale spiegazione alla fine del volume tradotto da Alfredo Colitto e pubblicato in Italia da Frassinelli) alle rielaborazioni più fantasiose e iconoclaste. Anzi, in questo processo creativo sfrenato finisce per farsi prendere troppo la mano e scrive un vero romanzo pulp che condivide col genere i suoi enormi limiti: una certa ripetitività della narrazione, un’escalation mal gestita di violenza e sesso, un narratore forse persino troppo compiaciuto nel puntare a scioccare il lettore e spingersi oltre. Pur tenendo bene a mente che il romanzo è filtrato attraverso lo sguardo contraddittorio, antisemita e misogino di Hitler, ci sono davvero un po’ troppe bellezze pronte a comprenderne e soddisfarne gli appetiti sessuali, sbattendogliela in faccia (letteralmente e reiteratamente) con l’unica motivazione del suo fascino, mai scalfitto dai pestaggi e dalla rapida decadenza della sua condizione.

Wolf insomma è un romanzo fornito di grande forza iconoclasta, di una scena assolutamente strepitosa e di un finale perfetto, giocato con un ribaltamento narrativo che evidenzia come il germe dell’odio sia stato trascinato dal vento nella Germania nazista, ma avrebbe potuto (e potrebbe) facilmente attecchire in altri terreni europei. Per trasformarsi da una lettura sorprendente a un volume imperdibile manca però una gestione più sapiente e mediata del romanzo, che lasci sempre intravedere l’intento dell’autore e la sua presenza vigile. In Wolf invece l’effetto di mimesi con il genere pulp è spesso fin troppo perfetto.

Wolf

*in attesa che nello stesso giorno del 2077 un asteroide si schianti sulla Pianura Padana spazzandola via, come avviene nelle prime righe di Incontro con Rama di Arthur C. Clarke.

**non posso resistere alla tentazione di mettervi a parte di questo colpo di genio, ma essendo un’anticipazione rilevante nell’economia del romanzo, lo faccio in questa nota, che tra poche parole diventerà un consistente SPOILER, perciò proseguite a vostro rischio e pericolo: un ricco magnate ebreo rifugiatosi a Londra intima a Wolf di stare lontano da sua figlia e, conoscendo i suoi trascorsi, lo punisce praticandogli la circoncisione del pene.



Players è un progetto gratuito.

Se ti piace quello che facciamo, puoi supportarci (o offrirci una birra) comprando musica, giochi, libri e film tramite i link Amazon che trovi negli articoli, senza nessun costo aggiuntivo.

Grazie!
, , , ,
Similar Posts
Latest Posts from Players