In un’intervista di Giuseppe Sedia nell’ottobre del 2006 e pubblicata sul sito Asiaexpress, il regista e sceneggiatore Kiyoshi Kurosawa ricordava così gli anni della sua formazione universitaria ed in particolare gli insegnamenti del prof. Hasumi Shigehiko, critico e studioso del cinema praticamente sconosciuto in occidente: «Ci chiedeva di riconoscere le forme geometriche ricorrenti nelle pellicole di Hitchcock per esempio. Ma era soprattutto un grande esperto del cinema di Ozu Yasujiro: una volta ci fece notare come Ozu non inquadrasse mai le scale per descrivere in un ambiente interno il passaggio da una stanza all’altra». Insegnamenti e studi che hanno fortemente influenzato il regista nipponico, convincendolo che «[…] più che dalle viscere di un corpo che si materializzano nel loro orrore, mi sento piuttosto attratto dalla rappresentazione di quella “morte invisibile” e trascendente che incombe nella sua attesa come minaccia inevitabile per i personaggi».

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Una caratteristica che si ripresenta continuamente nel corso della filmografia di Kurosawa e che sarebbe emersa anche in Sweet Home, pellicola del 1989 in cui si racconta la sorte di una troupe televisiva che si addentra nella villa abbandonata di un famoso pittore, Ichirō Mamiya, misteriosamente scomparso, allo scopo di recuperarne alcuni dipinti e girare un documentario dedicato alla sua opera. Pur partendo da un plot non originale e rientrando nei canoni degli horror dedicati alle case infestate, Sweet Home ha goduto di un discreto successo che spinse Capcom a realizzarne, nel dicembre del 1989, un videogioco per NES. Il gioco, omonimo del film, fu realizzato da Kurosawa in collaborazione con Tokuro Fujiwara (Ghost ‘n Goblins, Bionic Commando ed il primo episodio di Tombi): le meccaniche di gioco di Sweet Home combinavano alcuni esperimenti narrativi, come l’uso di diari che fornissero maggiori particolari sulla storia, con un’audace rielaborazione delle meccaniche dei JRPG, presentando cinque personaggi con skill specifiche ed il rischio della “permadeath”, e un ruolo fondamentale dato alla risoluzione di enigmi e da un approccio cauto al combattimento. Sweet Home si sarebbe affermato, almeno in Giappone, come uno dei più interessanti esperimenti nell’allora nascente genere dei survival horror. Tre anni dopo l’uscita di Sweet Home sarebbe stata pubblicata, a partire dall’Europa, l’edizione DOS di Alone in the Dark. Sviluppato e distribuito da Infogrames Entertainment a partire dal mercato europeo e diretto da Frédérick Raynal, Alone in the Dark è considerato universalmente il progenitore dei survival horror.

Nel frattempo, nel 1996, Capcom ritiene che i tempi siano maturi per sviluppare e distribuire internazionalmente un remake per PlayStation di Sweet Home: l’opera è affidata a Shinji Mikami, trentunenne sviluppatore che aveva dimostrato la sua abilità lavorando a tre giochi su licenza Disney. Si trattava di titoli minori, come i giochi d’azione con elementi puzzle Who framed Roger Rabbit (Game Boy, 1991) e Goof Troop (SNES, 1993) e l’edizione per Super Nintendo di Disney’s Aladdin (pubblicato nel novembre del 1993, poi portato su Game Boy Advance nel 2004) che si contrappose al tie-in sviluppato da Dave Perry e Virgin Games per Sega Mega Drive (anch’esso fu pubblicato nel novembre 1993, per poi essere riproposto su svariate piattaforme negli anni successivi).

L’uscita contemporanea e le somiglianze tra i due prodotti avrebbero dato frutto a una lunga diatriba tra i supporter dell’una o dell’altra console, conclusasi solo nel 2014: «Se non avessi sviluppato il gioco per SNES – affermava Shinji Mikami in un’intervista su Polygon – Avrei probabilmente acquistato quello per Mega Drive. Le animazioni sono più belle, penso che la versione per Mega Drive sia migliore. Inoltre [Aladdin, ndR] aveva una spada. Anch’io avrei voluto avere una spada». A quest’apertura seguì, poco dopo, la risposta di Dave Perry: «Sono leggermente prevenuto, inoltre avemmo la collaborazione della Disney nel curare le animazioni. Direi che mi piacerebbe capovolgere la frase, dicendo che “se non avessi realizzato la versione per Mega Drive, probabilmente avrei acquistato quella per SNES”».

Shinji Mikami riprese alcuni degli elementi principali del gameplay di Sweet Home, come la casa infestata, gli enigmi, la gestione degli oggetti nell’inventario e la loro scarsità, l’uso narrativo di note appena abbozzate, i finali multipli, persino l’animazione delle porte adottata per mascherare i caricamenti. Queste caratteristiche sono calate in un immaginario horror che subì le influenze di Alone in the Dark, come si evince dal plot e da alcune soluzioni di gameplay simili, dovute anche alle limitazioni tecniche dell’hardware della PlayStation – inizialmente Mikami aveva sperimentato l’uso della telecamera in prima persona, abbandonandola perché «tecnicamente non era abbastanza buono».

Queste somiglianze sono però superate di fronte alla capacità di Shinji Mikami di realizzare un’opera indipendente, grazie alla sapiente combinazione di due caratteristiche: il sentimento di fragilità e di debolezza che pervade l’intera ambientazione ed è esaltato dalle meccaniche di gioco, come i movimenti lenti e sgraziati dei personaggi o la scelta di consentire un numero finito di salvataggi, e da un sapiente uso della telecamera, degli effetti sonori e di quelle possibilità offerte dal nuovo hardware che facevano tesoro di “maghi della cinepresa” e del thriller psicologico come i sopraccitati Kiyoshi Kurosawa, Ozu Yasujiro, Alfred Hitchcock e lo Stanley Kubrik di The Shining.

Sono queste caratteristiche che renderanno Resident Evil il vero padre del genere dei survival horror, dando vita ad uno dei primi franchise che, partendo dai videogiochi, è stato poi trasposto in film, fumetti e così via, e che soprattutto trasformerà Shinji Mikami in un vero “autore” dell’industria videoludica; un autore il cui stile si è poi evoluto nel corso degli anni, come dimostra la sua ultima opera (forse vera summa del suo stile): The Evil Within (PC, PlayStation 3, PlayStation 4, Xbox 360 e Xbox One, 2014).



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Dario Oropallo

Ho cominciato a leggere da bambino e, da allora, non ho mai smesso.

Anzi, sono diventato un appassionato anche di fumetti, videogiochi e cinema: tra i miei autori preferiti citerei M. Foucault, I. Calvino, S. Spielberg, T. Browning, Gipi, G. Delisle, M. Fior e S. Zizek.

Vivo a Napoli, studio filosofia e adoro scrivere. Inseguo il mio sogno: scrivere.

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