Se siete cresciuti passando ore e ore davanti ad un episodio di Final Fantasy o di Dragon Quest, gli ultimi anni potrebbero non essere stati rose e fiori, ludicamente parlando. Alla crescita dilagante del mercato (internazionale) dei videogiochi, è corrisposta la crisi profonda di quello dello specifico settore dei jrpg. Curioso, visto che quello dei giochi di ruolo orientali è stato per due decenni uno dei mercati più floridi dell’intera industria.

Nati storicamente nel 1984, con l’ormai ingiocabile (per gli standard odierni) Black Onyx e resi celebri un paio di anni più tardi dal primo capitolo della serie di Dragon Quest, ben presto i jrpg divennero campioni di vendite indiscussi, almeno sul suolo giapponese, con milioni di copie vendute per singolo titolo, un dato impressionante, vista la relativa scarsa grandezza del mercato videoludico a quei tempi.

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Black Onyx e più in generale i primi giochi del genere erano molto più vicini ai loro cugini europei di quanto possiamo pensare oggi. Innanzitutto, gli scenari fantasy classici che li caratterizzavano erano dichiarati tentativi di ricreare ambientazioni tipiche di giochi come Ultima e Wizardry e la gestione dei personaggi giocanti si ispirava a quella dei giochi di ruolo occidentali. Nel giro di pochi anni però, nell’ ottica di un avvicinamento verso un pubblico più giovane, molte meccaniche, specie quelle più legate alla tradizione occidentale, ad esempio relative allo sviluppo dei personaggi, furono modificate e rese più semplici. Questo, unito ad un character design spesso ispiratissimo (grazie anche a collaborazioni di prestigio come quella di Akira Toryama) decretò il successo planetario dei jrpg.

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Nel corso degli anni 90′ si assistette ad un vero e proprio boom, ben giustificato dall’enorme qualità media dei giochi rilasciati. Tanto per citarne solo alcuni (ed escluderne moltissimi) parliamo di titoli come Chrono Trigger, Suikoden, Shin Megami Tensei, Legend of Mana e i vari Dragon Quest, oltre ovviamente alla serie più famosa in assoluto nel genere, Final Fantasy.

Fu proprio l’uscita del settimo capitolo della saga Square, che aprì le porte dell’occidente ai jrpg che fino ad allora erano rimasti in sostanza un fenomeno quasi esclusivamente nipponico.
Intendiamoci, in proporzione, fuori dal Giappone questi giochi non avrebbero mai avuto il successo ottenuto in patria, pur ottenendo numeri ragguardevoli, ma il nuovo mercato contribuì ad aumentare ancora di più il successo del genere e appassionare moltissimi giocatori anche al di fuori della terra del sol levante.

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Il successo di Final Fantasy fu così travolgente da farlo divenire una sorta di simbolo dell’intero genere. Fino a non molto tempo fa, dire Final Fantasy significava, un po’ impropriamente, riferirsi all’intera categoria dei jrpg. Non è quindi un caso che il declino del genere venga spesso associato e sovrapposto al declino della serie Square più famosa. Anzi, spesso si accusa proprio la Square Enix di essere una delle principali responsabili di questa crisi, identificando l’uscita del tredicesimo capitolo della saga e di tutti i suoi seguiti e spin-off, come il fattore scatenante del fenomeno. A ben vedere però, il fallimento di FFXIII fu il sintomo più grave ed evidente, piuttosto che la causa della crisi dei jrpg, che già da qualche anno dimostravano di far fatica a star dietro alle leggi del mercato e più in generale apparivano come un genere che aveva un gran bisogno di rinnovarsi.

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Gli scontri casuali, il level up automatico ed eccessivamente lento e le lunghe fasi di grinding necessarie per il prosieguo dell’avventura, unite ad una certa ripetitività di fondo nel gameplay, mal si sposavano con l’esigenze di un pubblico sempre più proiettato verso esperienze veloci e adrenaliniche. Inoltre, c’è da dire, che per quanto uno dei punti forti del genere sia sempre stato il comparto narrativo, le trame si sono fatte (con le dovute eccezioni) sempre più omologate e prive di pathos. Soprattutto le caratterizzazioni dei personaggi ricadono in troppi casi, in stilemi tipici dei personaggi dei manga, che spesso strappano un sorriso e uno sguardo al cielo esasperato a noi occidentali.

Se guardiamo i dati di vendita degli ultimi anni ci accorgeremo presto che ad esclusione dei giochi della serie Pokemon, che rappresentano ancora una roccaforte felice, nelle prime posizioni non c’è nemmeno un jrpg. Chi non ha saputo proporre identità molto forti, come appunto la serie Nintendo (che ha anche la fortuna di avere dalla sua una fan base enorme), ha visto sempre più sfumare la propria fortuna. Il mercato e i gusti delle persone sono cambiati e il mondo videoludico è molto meno giappo-centrico che negli anni ’90. Il declino dei jrpg è il sintomo di un fenomeno ancora più grande che è la crisi del mercato videoludico giapponese, adagiatosi troppo sugli allori e incapace di rinnovarsi adeguatamente aprendosi ai gusti del resto del mondo. Non avendo un pubblico in grado di giustificare grandi investimenti di budget, i jrpg hanno sofferto particolarmente la trasformazione del mercato e l’innalzamento del costo dei progetti “a tripla A”.

Esiste però un’ isola felice: il Nintendo 3DS.
La potenza di elaborazione della piccola console Nintendo, ovviamente inferiore rispetto alle console casalinghe, risolve il problema del dover avere a che fare con budget faraonici e questo, unito probabilmente al suo pubblico un po’ particolare ancora molto numeroso in Giappone, ha fatto sì che nel suo ciclo vitale (ancora piuttosto lontano dal finire, NX permettendo), venissero pubblicati un gran numero di nuovi jrpg di ottima qualità.

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I titoli da citare a tal proposito sarebbero numerosi, ma uno svetta su tutti: Bravely Default.
Tralasciando l’eccellente lavoro svolto da Akihiko Yoshida al design e l’ottima colonna sonora, ciò che rende il titolo dei Silicon Knights un capolavoro è un gameplay fresco e moderno. I combattimenti funzionano con un sistema a turni, basato sull’accumulo dei punti azione, che vengono distribuiti ai combattenti all’inizio di ogni turno e via via consumati, uno per ogni azione effettuata. Va da se che scegliendo di non fare niente, i punti si accumuleranno per poter essere utilizzati in seguito. La possibilità di spendere più punti azione nello stesso turno, fin dal primo, mandando anche il proprio contatore in negativo, fa si che le battaglie si risolvano molto più in fretta di quanto accade normalmente nei tradizionali jrpg, rendendo i tanto temuti combattimenti casuali più sopportabili. Il gioco è anche molto flessibile e permette al giocatore di aumentare la velocità delle animazioni in battaglia, regolare la difficoltà durante la partita e manipolare a piacimento la probabilità di essere coinvolti in scontri casuali. Scelte che forse non piaceranno troppo ai puristi, ma che hanno allargato la base di potenziali fruitori.

Nonostante questi timidi segnali di ripresa però, c’è un altro fenomeno piuttosto allarmante: il fatto che i jrpg siano quasi scomparsi dalle discussioni dei videogiocatori online se non in qualche forum di irriducibili appassionati. Più che la qualità non eccelsa e la quantità scarsa di prodotti, questo silenzio è il segno tangibile di quanto questo genere sia lontano oggi dai gusti dei giocatori mainstream. Un po’ come era successo per le avventure grafiche dopo la gloria degli anni ’90, il pubblico sembra essersi rassegnato al lento decadimento di questo tipo di prodotti.

In questo senso, l’uscita(e la riuscita) di Final Fantasy XV, appare un passaggio in prospettiva particolarmente delicato. Il quindicesimo capitolo della serie Square Enix riporterà per un po’ al centro dei dibattiti videoludici il genere dei jrpg e dal suo successo dipenderà molto del futuro di questo genere di produzioni…



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