Lasciato volutamente a decantare per qualche tempo come si fa servendo il vino buono appena stappato, è arrivata l’ora di riconoscere ai lettori di Players che l’ultimo album di inediti di Daniele Silvestri, Acrobati – che arriva a cinque anni di distanza dal comunque interessante S.c.o.t.c.h. – è il lavoro più maturo e il migliore dell’intera carriera dell’artista romano.

Forte del successo che la collaborazione con Fabi e Gazzè gli ha giustamente tributato, Silvestri ha confezionato un album di ben diciotto brani, assolutamente eterogenei e, per certi versi, decisamente originali, anche per un’artista anticonformista e “coraggioso” come si è sempre dimostrato.

Nato da spunti, idee ed appunti musicali prima travasati su iPhone e poi elaborati live in sala di registrazione, va precisato che Acrobati è il risultato non soltanto della variegata sensibilità musicale di Daniele, ma anche delle numerose collaborazioni (particolarmente azzeccate) che costellano questo disco, impreziosendolo e affinandolo. Da Roberto Dellera (Afterhours) a Diodato, da Caparezza a Diego Mancino, da Roy Paci fino ai Funky Pushertz, tutti contribuiscono alle suggestioni musicali e ai differenti mood che il cantautore romano, ex “uomo col megafono”, ha deciso di assemblare in questa sua funambolica fantasia musicale.

Molto riuscito, ad esempio, il brano con Caparezza La guerra del sale, un bel rock sorretto da un testo incalzante e fortemente politicizzato che permette a Silvestri, acrobata della parola, di competere con chi, come il “Capa” (cazzaro della musica per autodefinizione…) ha fatto del gioco di parole e del doppio senso il suo marchio di fabbrica.

Altro pezzo forte è Quali Alibi, singolo molto efficace, che ci ricorda (in maniera solo apparentemente scanzonata) l’impegno e la tipica vis polemica dell’artista, che ha il coraggio di denunciare la mancata consacrazione popolare dell’attuale leader di governo e le “pastette” tipiche della nostra politica nazionale.

Sorprende anche La Verità, brano dall’andatura jazz che ha molte suggestioni Contiane e che Silvestri canta senza pretese da crooner, che risulterebbero poco confacenti alla sua vocalità sussurrata e molto spesso parlata. A dispetto dei pronostici, invece, forse omaggia De Gregori, sia per le sonorità da ballata popolare sia per la tematica antimilitaresca che ne traspare.

In Acrobati, dunque, accanto a canzoni musicalmente più strutturate (La mia casa, Bio boogie, La mia routine) troviamo anche brani minimali, ma comunque intensi, come Pensieri, che affronta tematiche difficili e scomode all’interno del rapporto di coppia e dei sentimenti, oltre a semplici divertissement come Tuttosport o L’Orologio, che seppur non del tutto convincenti, ben si inseriscono in un album di quasi un’ora e un quarto di musica e parole, sorprendente per freschezza, originalità e maturità artistica.

Un ottimo disco, insomma… che, nonostante certe matrici “populariste” che ostinatamente alcuni circuiti radiofonici ed intellighenzie finto-sinistroidi si ostinano ad affibbiargli, considero il miglior disco italiano dall’inizio di questo 2016.
Non a caso Daniele Silvestri lo ha dedicato idealmente ad uno dei suoi grandi idoli musicali di sempre, Lucio Dalla,  il quale da lassù non credo affatto disdegnerà di ascoltare queste canzoni, più simili ad un flusso magmatico che a un progetto musicale costruito a tavolino e, quindi, molto in sintonia con le convinzioni musicali del grande artista scomparso.

Chi sono dunque gli Acrobati che fanno da filo conduttore dell’intero album? Ce lo spiega lo stesso Silvestri: “Via via che le storie prendevano piede il titolo mi sembrava perfetto. Il funambolismo, l’acrobazia, l’essere in equilibrio è qualcosa che fa parte dell’arte in generale: è meraviglioso quando chi ti ascolta o ti guarda, ha lo sguardo con la bocca aperta, di sospensione, ammirazione fanciulla. E poi nel nostro tempo, siamo tutti un po’ funamboli, per quanto retorico è anche vero, cerchiamo tutti un equilibrio nella vita”.

Acrobati Daniele Silvestri



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