Sono passati vent’ anni dall’invasione aliena che i terrestri, grazie ad un astuto stratagemma, sono riusciti a respingere, dopo essere stati ad un passo dall’annientamento. La tecnologia degli invasori è stata studiata e utilizzata per creare delle forze di difesa (la ESD, Earth Space Defense) apparentemente insuperabili e dislocate sulla Luna, su Marte e sulla Terra. Apparentemente, appunto, perchè quando gli invasori tornano a farsi vivi, lo fanno con una nave spaziale grande quasi quanto il nostro intero pianeta…

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No, non era necessario. Assolutamente. Non era proprio necessario creare un sequel (il ventesimo dell’anno solare 2016 e siamo solo a luglio) di Independence Day, un’opera qui amatissima ed epifanica di un certo modo di intendere il concetto di blockbuster nell’era pre-internet, pre-social e pre-effetti speciali digitali. Dovendo però dare una raddrizzata ad una carriera che negli ultimi anni gli ha portato più delusioni che successi, il Maestro della nobile arte della distruzione globale, Roland Ememrich, ha subito la diabolica tentazione di mettere mano alla sua opera forse più riuscita in assoluto. Pessima idea.

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Già, perchè al netto degli strepitosi, per quanto onestamente ridondanti, effetti speciali, Independence Day – Resurgence è una noia mortale, un’operazione a pathos zero il cui finale è già scritto prima ancora che partano i titoli di testa. Del resto, avendoli già battuti una volta per il rotto della cuffia, che gusto c’è ad incontrarli di nuovo, questi alieni rompiscatole? Così Emmerich richiama tutto il vecchio cast, a parte Will Smith, che onestamente l’ha proprio scampata bella, e s’inventa una storia che, non potendo replicare paro paro il primo film, attinge un po’ da Alien, un altro po’ da Transfomers e pesca a piene mani dall’immaginario catastrofista visto negli ultimi due decenni (e spesso proposto proprio da Emmerich).

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Il problema sono gli occhi degli spettatori, oramai assuefatti a vedere “roba che esplode” e i vent’anni trascorsi dal primo film non aiutano certo questo sequel. Il vecchio cast se la cava bene ed in particolare la coppia composta da Goldblum (sempre meraviglioso) e Pullman. Deludono parecchio i giovani, tutti bravi sulla carta (Liam Hemsworth, Jessie Usher e Maika Monroe, sugli schermi in questi giorni con It Follows) ma sullo schermo apatici e svogliati.

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Emmerich, si vede, le prova tutte per realizzare un film che possa riscuotere successo sui mercati globali e non avere scocciature dalla Rete: c’è la donna Presidente degli Usa, un paio di attori cinesi per strizzare l’occhio al secondo mercato del mondo, continui rimandi e citazioni del primo film per ingraziarsi gli appassionati che vent’anni fa spesero, solo in America, quasi 600 milioni di dollari per vedere il film, ma la storia inutilmente complessa e farraginosa non funziona e ricorda, nel suo incedere pesante e poco emozionante, più l’orrido 2012 che il primo Independence Day.

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Nonostante una migliore gestione delle sottotrame (anche se per l’ennesima volta Emmerich ne scrive almeno una totalmente inutile e assurda, che in questo caso è quella inerente Judd Hirsch/Julius Levinson, il padre ebreo di Jeff Goldblum/David Levinson) il film appare terribilmente verboso e limita ad un paio le sequenze davvero ben fatte. Inutile cercare sottotesti politico-sociali (qualcuno ha azzardato che vedere il Medio Oriente “piovere addosso” all’Europa avrebbe una valenza politica ma…grazie, ma no, grazie) o sfumature narrative particolari. Independence Day – Resurgence è una baracconata ma, rispetto al primo, non offre la stessa quantità di adrenalina, umorismo e “spirito da Estate Americana”, qualità indecifrabile ma essenziale per godersi appieno un certo tipo di pellicole. Visto il finale semi-aperto, ci andrà di lusso se non faranno il terzo capitolo…



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Andrea Chirichelli

Classe '73. Giornalista da tre anni, ha offerto il suo talento a riviste quali Wired, Metro, Capital, Traveller, Jack, Colonne Sonore, Game Republic e a decine di siti che ovviamente lo hanno evitato con anguillesca agilità. Ha in forte antipatia i fancazzisti, i politici, i medici, i giornalisti e soprattutto quelli che gli chiedono foto.

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