Che estate incredibile, quella del 1986. Nel giro di una manciata di mesi escono uno dei migliori film degli anni ’80, il più celebre titolo corsistisco di sempre, Metroid su NES, Starflight (che faceva meglio allora quello che prova a fare No Man’s Sky oggi) e Bubble Bobble.

Le sale giochi sono il sancta sanctorum dei videogiocatori, luoghi dove si tocca con mano il progresso tecnologico, presentato sotto forma di cabinati sempre più sofisticati e complessi, che ospitano giochi inconvertibili sulle piattaforma casalinghe (Space Harrier, Hang On, Out Run) ma dove ci si può occasionalmente imbattere in giochi che fanno la storia anche senza fanfare e fuochi d’artificio. Uno di questi è Bubble Bobble.

Finali multipli, messaggi segreti da decifrare, cooperazione pacifica e non antagonista, musica mesmerizzante, grafica puccettosa, citazioni, frutta, gelati, dolci, bolle, livelli, punteggio, gli high score dove puoi inserire solo tre lettere e allora ti crei un nickname che magari ti accompagnerà per tutta la vita…

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Tutto ciò è Bubble Bobble, frutto del genio di Fukio “MTJ” Mitsuji, nato nel 1960 e prematuramente morto l’11 dicembre 2008, uno dei più grandi game designer della storia del videogioco nipponico, al pari di Miyamoto e Suzuki, anche se il suo nome non è particolarmente celebre. Ed è giusto che sia così, perchè MTJ era uno che amava stare dietro le quinte e, soprattutto, insegnare a farli, i videogiochi, piuttosto che realizzarli in prima persona. “Nel corso della vita, si può realizzare solo un numero limitato di cose. Perciò preferisco essere colui che pianta gli alberi, invece che l’albero stesso…“: così parlava MTJ, dopo averci lasciato due pietre miliari, Bubble Bobble ed il seguito, Rainbow Islands.

La mia storia con Bubble Bobble non inizia in sala giochi ma con quella che viene universalmente considerata la migliore conversione 8 bit mai realizzata, quella per il Commodore 64. Colori un po’ slavati e grafica chiaramente pixellosa, ma giocabilità intatta e controlli stupefacenti. Ennesimo esempio di porting migliore rispetto ad Amiga. Ai tempi, in uno storico numero di Zzap! , graziato peraltro da una delle migliori cover della storia della rivista, il gioco viene premiato con medaglia d’oro, lode e bacio accademico. Di quel periodo ricordo gli interminabili doppi giocati con mio padre, che, incredibile a dirsi, era stato istantaneamente rapito dal gioco (e al tempo aveva già 47 anni).

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Bubble Bobble come gioco trans-generazionale e cross-gender? Assolutamente sì. Non per nulla la leggenda racconta che in Taito puntarono su un progetto così puccettoso proprio per portare in sala giochi anche le ragazze, riuscendoci. Titolo allegorico e ricco di significati nascosti? Anche questo è verissimo, come ricordava l’esperto Andrea Babich nella sentita analisi postata anni fa dopo la dipartita del buon Mitsuji.

Il gioco è stato convertito per qualsiasi piattaforma, passata, presente e futura, giusto qualche mese fa è arrivato su Playstation 4 nella sua versione originale (diciamolo, tutti i remake pubblicati nel corso degli anni sono sonore schifezze) e non mi stupirei se tra X lustri, quando avremo le console impiantate nel cervello e controlleremo i personaggi col pensiero, ci trovassimo ancora a giocare con Bubble Bobble. Perchè le cose belle sono una gioia sempiterna e i buoni giochi non muoiono mai.



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Andrea Chirichelli

Classe '73. Giornalista da tre anni, ha offerto il suo talento a riviste quali Wired, Metro, Capital, Traveller, Jack, Colonne Sonore, Game Republic e a decine di siti che ovviamente lo hanno evitato con anguillesca agilità. Ha in forte antipatia i fancazzisti, i politici, i medici, i giornalisti e soprattutto quelli che gli chiedono foto.

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