Dopo l’incredibile exploit di Ancillary Justice, ad oggi il romanzo SFF che ha accumulato premi e riconoscimenti più di ogni altro pur essendo un esordio, i suoi successori Sword e Mercy possono sembrare un ritorno alla normalità nel panorama letterario di genere fantascientifico.

Niente di più sbagliato: da pochi giorni il volume finale della trilogia (vincitore del Locus Award) si è piazzato terzo nella corsa allo Hugo Award e, più in generale, con tre libri in tre anni Ann Leckie non ha mai fallito la doppietta di nomination Hugo+Nebula, pur subendo il cosiddetto effetto sequel.

Mentre il racconto della trilogia Radchaii arrivava alla sua (prima) conclusione, lo scenario della fantascienza internazionale conosceva uno dei suoi periodi più bui: il 2015 è stato l‘annus horribilis per lo Hugo, con il movimento dei Sad e Rabid Puppies che, radunati gli oltranzisti del Gamersgate, ha tentato sistematicamente di escludere minoranze e donne (o autori identificati sotto il termine dispregiativo di social justice warriors) dalle cinquine del premio, riuscendoci in un numero preoccupante di casi. Se è vero che da sempre il fandom gioca un ruolo fondamentale per lo Hugo (il successo della Leckie lo testimonia), non si era mai assistito a una chiamata alle armi di non lettori estranei al mondo SFF con il solo scopo di discriminare titoli e autori sgraditi.

All’uscita di Ancillary Mercy è corrisposta una la controffensiva del fandom più moderato, ma soprattutto l’ingresso nel sistema di votazione di una nuova leva di lettori, che le scorribande dei Sad Puppies hanno finito per richiamare e che hanno decretato quest’anno la vittoria dell’autrice forse più invisa al movimento, N.K. Jemisin: donna, afroamericana, antitetica per pensiero e stile alle istanze di Vox Day e soci.

Il dittico a firma di Ann Leckie (Sword & Mercy) ambientato sulla stazione di Athoek, pianeta remoto ma strategico per la sua produzione di tè, potrebbe sembrare lontanissimo da queste vicende. La Leckie d’altronde è una donna caucasica, moglie, madre e donna di casa, una pragmatica figlia del Missouri. Eppure sotto traccia nel suo romanzo ha saputo cogliere le tensioni poi esplose negli Stati Uniti di oggi, tanto quanto altri blasonati connazionali autori di literary fiction.

Nell’universo che ha costruito con la sua trilogia c’è innanzitutto un grande ribaltamento: il grado di nobiltà e potere è proporzionato al nero della pelle, in una galassia dove il candore caucasico denota solo povertà ai limiti della squallore. Sarebbe un ribaltamento buono per, appunto, la social justice, se non fosse che in un contesto di alieni e astronavi a farla da padrone è una ricerca identitaria individuale e collettiva.

Innanzitutto ci sono le identità in costruzione della ex astronave Breq e delle altre AI che lavorano su Athoek, progressivamente pronte ad autodeterminarsi e a confrontarsi con le inevitabili contraddizioni e i pericoli di una situazione in cui le intelligenze artificiali hanno nelle mani i destini di centinaia di migliaia di umani, ma non sono più soggiogate al loro comando né tenute a curarsene se non per loro precisa volontà (tema molto attuale nella SFF contemporanea e nella nostra vita). Sembra appunto space opera lontana migliaia di anni luce, ma presto ci dovremo porre domande simili, per esempio quando bisognerà stabilire le priorità delle autovetture a guida automatica.

Ci sono anche umani alla ricerca di una propria identità o in corso di ridefinizione della stessa. Il caso più emblematico è quello di Seivarden, il personaggio di gran lunga più amato dai lettori, sul quale Ann Leckie si accanisce con particolare durezza anche nel terzo e ultimo volume. Esponente di una famiglia altolocata e abituato senza nemmeno esserne consapevole ad essere oggetto di privilegi e attenzioni da parte dei commilitoni e delle AI, Seivarden si risveglia 3000 anni dopo, in un mondo in cui il suo nome e il suo casato sono scomparsi e in cui la sua forma mentis è un costrutto da fiction storica.

Seivarden ci prova ad essere una persona migliore e tollerante, ma Ann Leckie è un’autrice troppo acuta e esigente con se stessa e i suoi personaggi per dargliela vinta così facilmente. I suoi stessi sforzi sottolineano la condiscendenza ipocrita delle sue azioni e la difficoltà ad abbracciare veramente un nuovo metro di giudizio per tutte le persone intorno a sé.

Il risveglio di Seivarden sembra quello di un’America che, sotto gesti e parole ben codificate, è tornata a scoprirsi incredibilmente razzista. Se negli Stati Uniti bisogna proclamarlo a gran voce che le vite nere sono importanti, ad Athoek il melting pot culturale è sempre a un passo dal sopruso razziale e persino Breq, dopo 5000 anni da testimone di genocidi, colonizzazioni e conquiste, scopre qualche lato non limpidissimo di sé.

In una nazione che si spoglia anche del pudore di tacere posizioni forti e controverse in una campagna elettorale in cui davvero nulla è proibito, gli stessi rigurgiti nazionalisti e nostalgici li si vive anche in un appuntamento importante come il Word Fantasy Awaerd, anticipato da panel dai titoli razzisti e scandalizzato dalla richiesta di cambiare il premio, ancor oggi effige di Lovecraft, autore ben più che controverso in fatto di temi razziali e totem di quanti vivono la tentazione di ridurre l’intero movimento fantastico al suo simulacro e a quello di Tolkien.

La forza di reagire e protestare fino a cambiare le cose per fortuna c’è ed è ispirata proprio da autrici come Ann Leckie, ormai alla testa di una fanbase solida e sempre attenta ai messaggi che le cosiddette scelte tradizionali rischiano di mascherare. Il futuro vedrà Ann Leckie continuare ad esplorare le profondità dell’universo radchaii. Sarebbe un peccato sprecare un world building già tracciato per oltre 6000 anni, soprattutto quando i primi a desiderare una nuova esplorazione negli stessi orizzonti sono i lettori.

Se la storia sarà ambientata prima o dopo la supposta vendetta di Breq dovrà deciderlo l’autrice, che nel frattempo ha già fatto sapere di aver dato con Ancillary Mercy l’addio definitivo a Breq, Seivarden e soci. Se c’è una cosa che abbiamo imparato in questi tre anni è che non è il tipo di persona da lasciarsi convincere a fare qualcosa che non rientri nei suoi piani, anche se, come dice Breq:

There is always more after the ending. Always the next morning, and the next. Always changes, losses and gains. Always one step after the other. Until the one true ending that none of us can escape.

A proposito di finali e risvegli, la speranza è di sapere presto da Fanucci, casa editrice che ha portato in Italia i primi due volumi della trilogia, se e quando i lettori italiani potranno leggere la traduzione di Ancillary Mercy.

Disclaimer: la casa editrice Orbit ha fornito a titolo gratuito una copia di Ancillary Mercy in cambio di un’onesta recensione, ovvero quella che avete appena letto.

“Ancillary Justice” book trailer from bironic on Vimeo.



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