E’ coreano (del sud, ovviamente), è uno zombie movie, ha incassato 80 milioni di dollari sul suolo patrio, è stato presentato al Festival di Cannes ed è il miglior action movie del 2016. Train to Busan, primo live action del regista Yeon Sang-ho, che ha alle spalle lungometraggi animati di ottima fattura, spiazza e sorprende, sovvertendo le regole non scritte degli zombie movie made in USA. Così alla insopportabile lentezza degli sviluppi narrativi di una serie come The Walking Dead e alla reductio ad star dei prodotti cinematografici (World War Z), vengono finalmente contrapposti un linguaggio, una grammatica, una velocità di esecuzione, un ritmo forsennato e idee fresche ed efficaci che permettono al genere più sfruttato dai media (videogiochi in primis…) di rinnovarsi.

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Il treno che porta a Busan è quello che viene preso da un nutrito gruppo di personaggi all’inizio del film: un padre e una giovane figlia che hanno un pessimo rapporto, una famiglia in procinto di “allargarsi”, una squadra di baseball, donne anziane, un senzatetto (che inizialmente verrà ritenuto più pericoloso di una ragazza zombie…) e alcuni burocrati che, là come qui, sono i migliori villain possibili. Dopo venti minuti di necessari convenevoli, gli zombie attaccano il convoglio e il film accelera.

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Gli zombie rappresentati da Yeon Sang-ho sono veloci, feroci e rappresentano una minaccia mortale per gli umani, che hanno un solo vantaggio: l’oscurità, che tranquillizza momentaneamente il loro desiderio di sangue e permette al regista di girare almeno due sequenze memorabili. Come spesso capita nelle produzioni orientali, i personaggi, anche quelli appena abbozzati, godono di una tridimensionalità impensabile per una produzione occidentale (si pensi anche al capolavoro The Host, che a breve compie 10 anni, che ha riscritto completamente le regole dei monster movie, anche se poi pochi film hanno seguito il suo esempio) e Train to Busan non fa eccezione, offrendo un spaccato di varia dis-umanità molto realistico, credibile ed emozionante.

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Rispetto alle opere precedenti del regista (cercatevele, meritano) la satira sociale è meno evidente e si intravede solo dal momento in cui esponenti di diverse ed eterogenee classi sociali, età e sesso devono unire le proprie orze per provare a salvarsi la vita. Graziato da un cast perfetto, girato senza risparmi sugli effetti speciali, ottimi e abbondanti, ma con un occhio al buon vecchio stile di una volta, Train To Busan viaggia senza incertezze e arriva in perfetto orario al suo appuntamento con la storia recente del cinema. Quest’anno sarà davvero difficile trovare qualcosa di meglio in termini di azione e suspense.



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Andrea Chirichelli

Classe '73. Giornalista da tre anni, ha offerto il suo talento a riviste quali Wired, Metro, Capital, Traveller, Jack, Colonne Sonore, Game Republic e a decine di siti che ovviamente lo hanno evitato con anguillesca agilità. Ha in forte antipatia i fancazzisti, i politici, i medici, i giornalisti e soprattutto quelli che gli chiedono foto.

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