Si possono spendere perifrasi cesellate con perizia e competenza (e anche un pizzico di vanagloria, perché no) per tentare di restituire le sensazioni di visione di San Junipero, oppure si può tentare la strada diretta e semplice di quello che è l’episodio più inaspettato e vibrante della terza stagione di Black Mirror, quello di cui avevamo più bisogno.

Da una serie che ci ha abituati a fissare terrorizzati ogni oggetto o pratica tecnologica passata attraverso la sua lente uno si aspetta tutto tranne che un’improvvisa pacca sulla spalla e un sorriso. Stavolta invece Black Mirror sceglie di puntare il dito verso un futuro che sembra più luminoso che mai, anche se al ciclo delle maree sul bagnasciuga accosta il lavorio incessante di bracci meccanici tra sterminate fila di server e slot di memoria.

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Black Mirror spazia in ambiti diversissimi tra loro, forte della sua indistruttibile struttura formale, a cui adattare ogni tema e riflessione. È un’arma potentissima, non esente dal rischio del rilancio eccessivo. Forse sentendo il legacci più stretti o forse semplicemente aborrendo la schiavitù del consueto e regolare, Charlie Brooker in San Junipero si e ci regala una puntata che inizialmente sembra mandare all’aria i pochi ma fermissimi capisaldi dell’intera serie: lieve balzello temporale, lieve scarto tecnologico, enormi possibilità da esplorare. Tutto in ragione del sentimento, di un episodio finalmente esplorato in punta di dita e col battito del cuore, irrorato di un tepore che nemmeno la fredda logica più schiacciante riesce a raffreddare.

Non c’è niente di meno avveniristico e angosciante della nostalgia, quella con cui si apre San Junipero: con i suoi colori sgargianti, le sue hit indimenticabili e la sua archeologia costumistica molla uno schiaffo a cinque dita allo spettatore, più del più terrorizzante degli scenari futuri possibili. Inutile aggirarsi sospettosi cercando i confini inquietanti della cittadina luminosa ed elettrica, inutile scrutare minuziosamente i volti delle portentose Gugu Mbatha-Raw e Mackanzie Davis alla ricerca di coercizione o falsità. Black Mirror è partito a razzo nella sua missione di destabilizzazione dei nostri capisaldi e, come al solito, non si fermerà di fronte al nostro scetticismo.

Certo l’episodio si trova davanti il muro granitico del nostro cinismo e scetticismo, barriera che ha contribuito personalmente ad erigere e rafforzare. Eppure gli basta spingere un po’ con gli strumenti della retronostalgia (provando tutte le epoche fino a beccare i dorati ricordi musicali e vestiari dell’adolescenza di ciascun telespettatore) ed ecco che la breccia si apre e si allarga. Da lì in poi è facile entrare, dato che dietro la barriera si nasconde il desiderio disperato di qualcosa di bello e gentile, magari un legame in cui credere davvero. Black Mirror ci fa questo grande regalo, facendola sembrare per giunta un risultato semplice e naturale, come la chimica che le sue due indimenticabili interpreti trasmettono ad ogni sguardo.

Vogliamo qualcosa di bello e puro, ma non deve essere semplicistico, auto-consolatorio, didattico o per l’amor del cielo, paradigmatico. Vogliamo la nostalgia degli anni ’80 ma non vogliamo che sia fine a se stessa: vogliamo che in qualche modo risponda a chi prova oggi quel sentimento.

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Brooker riesce a darci tutto questo, appoggiandoci sulle nostre aspettative per sorprenderci con una semplicità mai semplicistica e con la quantità perfetta di sentimento, senza nascondersi le reticenze e le piccole ipocrisie di contorno. C’è persino il tempo, in chiusura, di prenderci bonariamente in giro, ricordandoci che, luminoso o cupo, il futuro sarà orchestrato dalla tecnologia. Aspettarsi il peggio anche da San Junipero prova che Black Mirror conosce il suo pubblico, sa sfruttarne le sue aspettative e forse in fondo in fondo stavolta ci mette di fronte alla constatazione più dura: non abbiamo ancora imparato a tentare di assimilare il Nuovo Mondo senza attaccarci sopra il nostro pregiudizio, positivo o negativo che sia.

San Junipero è anche un esempio fulgido di nostalgia nel senso squisitamente giapponese del termine. 懐かしい natsukashii, l’aggettivo che indica nostalgia felice, che prova conforto e gioia nel ricordo, traendone beneficio nel presente. Yorkie e Kelly saranno per sempre un’immagine capace di suscitare un’emozione positiva nella memoria, evidenziando per contrasto quanto i tanti viaggi temporali fatti quest’anno negli anni ’80, al cinema e in TV, siano più che altro un sterile tentativo di negarci un presente eterno e bellissimo che chissà, forse ci regalerà un indifferente braccio meccanico asservito alla nostra felicità e non alla nostra rovina.

Black Mirror – Stagione 3 – Episodio 5: Men Against Fire



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