La recensione al testo e allo spettacolo teatrale “Harry Potter e la Maledizione dell’Erede” è divisa in due parti: questa è la prima spoilerfree, poco rivelatrice della trama effettiva e concentrata su aspetti apparentemente periferici ma che sono a pieno titolo parte dell’eperienza. Qui trovate la seconda parte, dettagliata nella trama e quindi estremamente spoilerosa.

“All was well” così ci salutava per sempre la saga di Harry Potter.

L’epilogo, controverso, è stato il modo per la Rowling di dire “finisce qui, non ho nulla da aggiungere, non chiedetemi altro”. Sono un detrattore di quel finale, preferisco pensare alla battaglia di Hogwarts quale degna conclusione, ma avevo colto perfettamente l’intento dell’autrice di realizzare, tramite i famosi “19 anni dopo”, una chiusura a parete liscia che non offrisse appigli per reclamare un seguito.
“Andava tutto bene”, dunque, finché non è arrivato Harry Potter e la Maledizione dell’Erede.

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A distanza di nove anni, la Rowling decide che c’è ancora qualcosa da dire, o meglio, si lascia convincere da John Tiffany e Jack Thorne che Potter deve tornare, c’è una storia meritevole di essere raccontata, una nuova vicenda, che però solo a teatro può trovare la giusta voce per essere espressa. E qui vanno inserite alcune precisazioni.

L’ottavo libro della saga è una sceneggiatura teatrale – il titolo completo è Harry Potter and the Cursed Child – Parts One & Two (Special Rehearsal Edition) la cui rappresentazione è di scena a Londra da giugno 2016 e andrà avanti fino a dicembre 2017. Il testo – così come la locandina dello spettacolo – nonostante rechi il nome della Rowling a caratteri cubitali è in realtà scritto da Tiffany e Thorne. JK Rowling dà il suo beneplacito e un apporto creativo di entità non quantificabile ma sicuramente risibile, a giudicare dal risultato. Il prezzo del libro è di circa 20 sterline.

Normalmente a teatro è possibile acquistare lo script dello spettacolo appena visto per una decina di sterline, di conseguenza il prezzo fissato per la vendita al pubblico ha sollevato più perplessità di un wingardium leviosa ma, riflettendoci, ci sono due elementi da considerare: la distribuzione su scala globale e il fatto dell’essere canon. Come detto esplicitamente dalla Rowling, La Maledizione dell’Erede è canon, ovvero è a tutti gli effetti l’ottavo libro della saga, che dunque non termina con i Doni della Morte, ma prosegue indipendentemente dal fatto che una ben esigua parte dei lettori possa permettersi di volare a Londra con i biglietti in tasca. I libri di narrativa non necessitano della fruizione cinematografica, la trasposizione è un di più successivo che potrebbe anche non esserci, mentre un testo teatrale è espressamente concepito per essere rappresentato in scena. Il prezzo è dunque in linea con gli altri libri della saga: il problema è che non si può dire lo stesso della qualità. Tutt’altro.

Palace Theatre Cursed Child

Keep The Secret” è stato l’invito reiterato e continuativo rivolto ai lettori e agli spettatori a non divulgare nulla della trama per permettere agli altri di godere appieno delle pleonastiche “sorprese che non ti aspetti”. In effetti il testo è ricco di plot twiste rivelazioni, ma l’unico vero segreto, per altro meritevole di essere svelato, è che il testo è terribile, a tratti insultante, e questo davvero non se lo sarebbe mai aspettato nessuno.

La Maledizione dell’Erede è sì teatro ma è anche un testo, per necessità, concepito per essere fruito senza l’esperienza dal vivo. Tiffany e Thorne sono consapevoli che lo script deve dunque funzionare quasi come fosse narrativa senza esserlo, trovandosi nella condizione di dover inanellare una serie di dialoghi-spiegoni e far muovere i protagonisti in modo forzato, perché la maggior parte dei lettori non potrà vedere la messa in scena chiarificatrice. Il non detto, il tra le righe, tutto quello che normalmente viene delegato all’espressività degli attori, all’interpretazione della regia, qui deve essere esplicitato. Un pasticcio, direte voi. Esatto. Ma il problema non è solo nella forma (che spesso si fa sostanza).

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L’inizio della Maledizione dell’Erede si sovrappone alle ultime pagine dei Doni della Morte, reinscenando il momento in cui Harry vede Albus salire per la prima volta sull’espresso per Hogwarts. Trascorrono tre anni e l’unico elemento distintivo di Albus agli occhi degli altri è l’essere figlio di Harry Potter, fatto che il ragazzo soffre particolarmente, sentendo la sua normalità ancora più banalizzata nel confronto con il padre con cui non riesce a stabilire un legame, nonostante i tentativi di Harry. Il suo migliore amico è Scorpius Malfoy, il figlio di Draco. I due studenti risulterebbero invisibili se non fosse per l’ombra dei propri genitori proiettata su di loro, finché Albus crede di aver trovato un modo per affrancare entrambi dalle loro ingombranti eredità: ma il ragazzo non è esattamente un fulmine di guerra e Scorpius, sempre fedele e subalterno, è addirittura meno accorto e perspicace. Due imbecilli, insomma.

L’intento è piuttosto chiaro: Harry, Hermione e Ron erano, nonostante le apparenze, tre vincenti. Tiffany e Thorne vogliono dare alle nuove generazioni qualcosa di più in linea con quello che secondo loro sarebbe più rispondente alle esigenze dei ragazzi degli anni ’00 ed ecco allora protagonisti emo, insicuri, scritti ipocritamente a beneficio del queerbaiting, in una parola: fastidiosi.

Agli adulti non va molto meglio. Se Draco, e in certa misura Ginny, acquistano spessore e interesse sviluppando anche una reciproca intesa, il trattamento riservato alla Preside McGonagall, Ron e soprattutto a Hermione è indecente. La Preside perde ogni grammo di quella ferma e serafica autorità che l’aveva sempre contraddistinta, finendo per essere bistrattata più volte da Hermione ed Harry diventati rispettivamente Ministro della Magia e Capo dell’Ufficio Applicazione della Legge sulla Magia. Ron è ridotto a spalla comica ed Hermione, la strega più in gamba e brillante della sua generazione, a sconsiderata collezionista di decisione stupide e illogiche. Questo è tanto più doloroso perché vanifica l’intento di regalare un modello in cui identificarsi al pubblico non caucasico in un ambito, quello dello spettacolo, in cui gli attori di colore faticano a trovare grandi ruoli.

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Piccola digressione. Al disvelamento del cast abbiamo dunque scoperto che Hermione Granger sarebbe stata interpretata da un’attrice di colore, Noma Dumezweni. Scelta salutata con gioia ed entusiasmo da una parte di mondo, avversata e rigettata dall’altra. JK Rowling ha naturalmente supportato la decisione scegliendo però la peggior motivazione possibile sostenendo che in nessun punto Hermione viene qualificata inequivocabilmente come “bianca”, anzi la sua (sommaria) descrizione sarebbe perfettamente calzante con l’ipotesi di una Hermione di colore. Come dire che se avesse scritto “la sua pelle era bianca come la neve” allora sì che mai e poi mai un’attrice di colore avrebbe potuto succedere a Emma Watson. In realtà Hermione è proprio “bianca” (la stessa Rowling l’ha disegnata così di suo pugno), nei libri si trovano decine di esempi di lei che “impallidisce o arrossisce” (turning pink, turning white) e soprattutto, nel Prigioniero di Azkaban, al ritorno dalle vacanze estive, Harry nota: “Ron was very freckled and Hermione very brown”. Adesso, o Hermione è abbronzata (“brown=abbronzato“) oppure Harry ha lo stesso garbato spirito di osservazione del nostro ex presidente del consiglio (“Obama è bello, giovane e abbronzato”).

Ma non è questo il punto. Il punto è se il cambiare l’etnia porti o meno a uno snaturamento del personaggio, e in questo caso, a mio giudizio, si produce un considerevole cambiamento. Hermione è sostanzialmente un’attivista dei diritti civili. È bianca, proveniente dalla borghesia medio alta (i genitori dentisti, le vacanze in Francia), è lo studente più brillante della scuola ed è la migliore amica del ragazzo più amato e popolare del mondo magico: potrebbe tranquillamente raccogliere i meritati successi piuttosto che dare battaglia là dove nessuno è interessato a intervenire come, per esempio, nel caso del fronte di liberazione degli elfi domestici. Hermione però dimentica, nel pur nobile intento, che la liberazione non può essere imposta, perché necessita della volontà partecipativa degli individui privati dei diritti civili (gli elfi, fatta eccezione per Dobby, non volevano sentir parlare né di “libertà” né di “diritti”). Una Hermione di colore avrebbe probabilmente individuato meglio la sfumatura anche se, per contro, sarebbe sembrata interessata ai diritti delle minoranze perché lei stessa ne avrebbe fatto parte. In ogni caso caso avrebbe affrontato la questione un po’ meno da “uomo bianco”.

Ma torniamo al testo. La storia, e il modo in cui viene portata avanti, non ripropone nessuno degli elementi che ci hanno fatto amare la saga anzi, addirittura ne sconfessa alcuni. La storia raccontata esiste solo perché vengono presi a prestito meccanismi più propri del genere sci-fi, senza che gli autori si dimostrino in grado di gestirli. Avrete letto più o meno ovunque il giudizio condiviso di considerare La Maledizione dell’Erede una fanfiction. E’ vero,ma quello che non hanno detto è che non si tratta di una fanfiction di Harry Potter ma di una fanfiction di Ritorno al Futuro Part. I & II. Spiegherò meglio nel prossimo articolo.

La rappresentazione teatrale imponente, a tratti davvero magica, graziata da alcune interpretazioni notevoli – Jamie Parker nelle vesti di Harry Potter 40enne su tutti – nobilita alcune parti del libro che però nella sostanza resta irredimibile. Detto ciò l’esperienza teatrale, nonostante si appoggi su un testo scadente, vale comunque la pena se non altro come evento unico e, se davvero le rappresentazioni termineranno tra circa un anno, irripetibile.

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Mara Ricci

Serie tv, Joss Whedon, Jane Austen, Sherlock Holmes, Carl Sagan, BBC: unite i puntini e avrete la mia bio. Autore e redattore per Serialmente, per tenermi in esercizio ho dedicato un blog a The Good Wife.

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2 Comments

  1. Bell’articolo.
    Nonostante si parli di una cosa che oramai è stata affrontata (leggi:
    trita, demolita, demonizzata, per una volta a ragione) dalla comunità
    della rete sia da gente competente che da asini che inseguono il
    clickbating o fanno video su Youtube pur se di solito si occupano di
    tutt’altro, giusto per fare visualizzazioni, questo articolo tratta con
    attenzione e dovizia e, soprattutto, con un garbo sornione che induce ad
    attendere con una certa trepidazione il seguito. Promosso e condiviso!

    1. Grazie per l’apprezzamento!
      Riguardo alla tempistica della pubblicazione, be’ dovevo prima vedere lo spettacolo per poterne scrivere…

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