Quella che state per leggere è la doppia recensione di uno dei romanzi più belli e, ahimé, tragicamente sottovalutati tra quelli arrivati nelle librerie italiane. Non per fare i paraculi e quelli che “l’avevamo detto noi!”, ma già a inizio anno vi avevamo segnalato che How to Be Both di Ali Smith sarebbe stato una lettura irrinunciabile dell’annata letteraria, almeno per chi ama la literary fiction e ha voglia di spingersi oltre quei 4 o 5 titoli mensili che ricorrono ossessivamente nelle cronache letterarie italiane.

Attorno all’edizione italiana del romanzo, edita di recente da SUR con il titolo L’Una e L’Altra e tradotta da Federica Aceto, per il momento si registra un assordante silenzio punteggiato qua e là da isolate, ma entusiastiche recensioni. Questa è la mia, anzi la nostra: per un libro tutto giocato su figure doppie e complementari, riflessi, corsi e ricorsi di personaggi e tematiche, una sola firma non bastava, perciò anche noi, l’una (Elisa) e l’altra (Cecilia), ci siamo spartite un romanzo grandioso, recensendo ciascuna una delle due parti di cui è composto.

Se How to Be Both è un romanzo come davvero pochi altri (e con la sua sorprendente peculiarità ha vinto il Costa Book Award e il Bailey’s Prize), la nostra recensione non vuole rendergli omaggio occupandosi separatamente delle vicende di George a Cambridge e quelle di Francesco del Cossa nella Ferrara del XV secolo. Quale delle due capiterà prima sotto i tuoi occhi dipenderà dal caso, ovvero da quale link interecetterà per primo la tua strada sui social: nel tuo caso si parte con…

EYES

Era ardimentoso leggere quella storia sulle mura che i nostri pittori, Francesco del Cossa, Ercole de Roberti, Cosmè Tura e una folla di minori, avevano smaltato di colori e invenzioni. L’ardimento consisteva nel volerli capire. (da Rinascimento Privato, di Maria Bellonci)

L’arte rinascimentale è uno degli elementi a cui l’Italia è associata più spesso a livello internazionale, sebbene sia raro che ci si allontani dalla triade costituita da Michelangelo, Leonardo e Raffaello, tutta rivolta al Cinquecento. Ali Smith ha scelto di concentrarsi su un nome meno noto del secolo precedente: Francesco del Cossa, che affrescò i segmenti di Marzo, Aprile, e Maggio nel Salone dei Mesi presso il palazzo ferrarese di Schifanoia, sotto commissione dei formidabili Este, tra i regnanti dell’epoca che più fecero del mecenatismo un’arma politica tramite cui far splendere le proprie corti.

La parte del romanzo intitolata Eyes è la sezione più complessa delle due in cui How to Be Both è diviso, e forse quella di più difficile approccio per il lettore, che si trova scaraventato in un testo dal registro espressivo distintivo e che non manca di convoluzione.

Eyes non è un turgido testo storico, tuttavia, né una superficiale rivisitazione moderna del passato, grazie all’abilità di Ali Smith di rielaborare il materiale di partenza in un’opera capace di raggiungere vette di frammentarietà quasi ultraterrena, vicina agli affreschi ferraresi (che ne sono stati l’ispirazione) per la forza suggestiva e per il carico di riferimenti non sempre automatici per chi vi entra in contatto per la prima volta; allo stesso tempo, l’aspetto formale del testo è una rottura con la classicità austera e soffusa da elementi quasi inquietanti – come la processione dei gemelli bambini nel mese di maggio, loro dominio zodiacale – dell’opera di del Cossa: un inizio e una fine quasi calligrammatici si affiancano a regole di punteggiatura ignorate e a grafie non standard dei nomi, un rimando a una lingua italiana ancora non codificata in senso moderno.

Accanto a temi di più alto respiro non mancano dettagli di imperitura concretezza: come un freelance di oggi, del Cossa vende la propria arte dietro ricompensa (la prima testimonianza d’archivio del vero del Cossa è proprio un pagamento ricevuto), e le considerazioni economiche – chi paga meglio? – si susseguono con maggior frequenza via via che la sua carriera si rafforza. Fa sorridere, nondimeno, l’uso dei pomodori (specie autoctona delle Americhe) come parte di una metafora in un romanzo ambientato nel periodo addirittura precedente al viaggio di Colombo, svista che sembra essere l’unico errore involontario sfuggito al buon lavoro di ricerca da parte dell’autrice.

Il legame con Camera, l’altra sezione del romanzo, non è difficile da individuare: anche Eyes è la storia della formazione di una persona giovane che si scontra con un mondo disposto a essere generoso ma non senza richiedere sacrifici. Se la George di Camera rimane un’adolescente, però, Ali Smith segue il personaggio al centro di Eyes per tutta la sua vita e, poiché sappiamo poco del vero del Cossa, l’autrice è libera di usare le zone d’ombra intorno al pittore quattrocentesco per continuare a trattare temi a lei cari, come la cancellazione della presenza e del contributo delle donne al mondo dell’arte. Smith immagina una Francesca che decide abbandonare l’identità femminile, almeno da un punto di vista esteriore, per poter esprimere al massimo grado i propri doni artistici e così condurre l’esistenza che desidera e che ha ogni mezzo per assicurarsi. Come ci dice la stessa Francesca:

The great Alberti, who published in the year in which my mother birthed me the book for all picturemakers, and wrote in it the words let the movements of a man (as opposed to a boy or young woman) be ornato with more firmness, understands the bareness and the pliability it takes, ho, to be both.

(Cecilia Manfredi)

Per leggere l’altra parte della recensione clicca sulla copertina del libro.

 



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