O la Rolls-Royce o…beh, metteteci l’auto esclusiva e supercostosa che vi piace di più. Perché sì, quando venne commercializzata nel 1982, Colecovision era il top del top, la macchina dei sogni, quella che “ha i giochi uguali al bar” (che poi non era vero, ma l’affermazione pareva credibile), quella che avremmo voluto sotto l’albero di Natale al posto degli oramai vetusti Atari 2600 e Mattel Intellivision. Colecovision era il NEO-GEO degli anni ’80.

Colecovision era l’ultima console della “seconda generazione”, quella che gli storici del videogioco fanno iniziare alla fine degli anni ’70 e terminare una manciata di anni dopo. Quella arrivata sul mercato prima della Grande Crisi, che ebbe come unica ma fondamentale conseguenza di spostare per vent’anni il baricentro videoludico dagli USA al Giappone. Per quelli che hanno la mia età (44) quel periodo rappresenta la nascita della passione e l’inizio di una meravigliosa avventura che per ora non si è ancora conclusa. Di quella “classe” si ricordano, oltre alle macchine citate sopra anche gioielli quali il Vectrex, l’Atari 5200 e Sega SG-1000. Per non parlare della dozzina di home computer usciti sul mercato (ma questa è un’altra storia…)

Per quei tempi, le specifiche tecniche di Colecovision erano mostruose: 8 kB RAM principale, 16 kB VRAM, 256×192 di risoluzione, 32 sprite, max 4 sprite per linea di scansione, 16 colori, 3 canali sonori, insomma roba da leccarsi i baffi, se solo li avessimo avuti e se dei parametri tecnici, oggi fondamentali, a noi fosse importato qualcosa. Invece a noi interessavano solo i giochi. E che giochi!

La mitologia sviluppata attorno a Colecovision dipende interamente da due titoli: Zaxxon e Donkey Kong. Il primo, celeberrimo arcade Sega, era un crack grafico: la sua visuale obliquo tridimensionale, i colori super saturi, l’azione frenetica erano irreplicabili dalle console casalinghe (e lo dico con cognizione di causa, visto che mi ero fatto regalare la cartuccia per Intellivision per trovarmi a giocare con questo). Irreplicabili, già. Ma non per Colecovision, che, almeno in apparenza, presentava conversioni arcade-perfect che lasciavano sgomenti e increduli i redattori delle riviste specializzate e, di converso, noi lettori. Donkey Kong, per dire, pareva identico al bar, e poco importava se poi in realtà aveva un livello e features in meno. Nell’epoca in cui Nintendo faceva i giochi da bar (oltre a quello Colecovision poteva vantare conversioni anche di Mario Bros e Popeye) e un’azienda di bambole realizzava una console, a chi poteva importare una cosa del genere?

Colecovision era poi espandibile, altro concetto che la caratterizzava come irresistibilmente “futuribile”. Potevi comprare il volante e giocarci a Turbo. Oppure, unita alla sua versione “pc” (il famigerato ADAM), registratore a cassette e stampante, si trasformava in una superstazione multimediale all’avanguardia. L’accessorio più incredibile era però l’Expansion Module #1: questo modulo rendeva il ColecoVision compatibile con l’Atari 2600, permettendo di usare le cartucce giochi prodotte per questa console. Roba da fantascienza, a pensarci oggi, ma ai tempi il mercato era una giungla popolata da banditi e pionieri e mosse di questo tipo erano all’ordine del giorno.

La softeca di Colecovision, a fine corsa, segnò 150 titoli circa, un buon numero per una macchina dalla vita breve (poco più di due anni) e più che sufficiente per offrire ai fortunati acquirenti alcuni titoli imperdibili quali Burger Time (anche se personalmente ho sempre preferito la versione Intellivision), Ladybug, BC quest for tires, Mousetrap, Pepper II, Tapper, Frenzy, Donkey Kong Jr. e Venture. A questi aggiungo anche Smurf, il gioco più breve della storia (per finirlo bastano 3 minuti esatti) ma dotato di una grafica che ai tempi mi fece impazzire (anche perché non potevo farmi comprare la console) e Campaign ’84, il primo (e unico?) caso di videogioco simulativo di genere politico.

Di solito, al termine del ciclo di vita di una console, si iniziare a parlare della sua “legacy” che in inglese ha un significato ben più ampio di eredità. Nel caso di Colecovision però, l’interruzione della sua esistenza fu così repentina e brutale da non permettere alla console di generare cloni, epigoni o modificare il mercato in cui era stata immessa. Mentre si celebrava un frettoloso funerale, l’attenzione di tutti era volta al Giappone e alle sue console o all’Inghilterra e ai suoi computer. Noi però il Colecovision ce lo ricordiamo ancora perché, più di una volta, è stato l’oscuro oggetto dei nostri desideri e quindi…



Players è un progetto gratuito.

Se ti piace quello che facciamo, puoi supportarci (o offrirci una birra) comprando musica, giochi, libri e film tramite i link Amazon che trovi negli articoli, senza nessun costo aggiuntivo.

Grazie!
, ,
Andrea Chirichelli

Classe '73. Giornalista da tre anni, ha offerto il suo talento a riviste quali Wired, Metro, Capital, Traveller, Jack, Colonne Sonore, Game Republic e a decine di siti che ovviamente lo hanno evitato con anguillesca agilità. Ha in forte antipatia i fancazzisti, i politici, i medici, i giornalisti e soprattutto quelli che gli chiedono foto.

Similar Posts
Latest Posts from Players

3 Comments

  1. non la conoscevo questa

  2. Grave gravissima l’omissione del titolo “Rocky” che, insieme a Turbo, era il titolo per il quale si comprava (o meglio si chiedeva ai genitori di comprare) la Coleco

    1. Vero, mi cospargo il capo di cenere. Ne ricordo però anche il pessimo sistema di collisioni, che rendeva le partite un mero button mashing a casaccio, però graficamente era davvero tanta roba.

Comments are closed.