Il Maggiore Mira Killian Kusanagi è un cyborg a capo della sezione di Sicurezza Pubblica numero 9, un’organizzazione antiterrorismo cibernetico gestita dalla Hanka Robotics. Quando un nemico misterioso inizia ad uccidere gli scienziati dell’azienda, il team si mette in azione, ma per il Maggiore la caccia si trasforma in qualcosa di inaspettatamente intimo e personale…

No, non regge minimamente il confronto con l’originale ma sì, poteva andare molto peggio.

Ghost in Shell in versione Live Action by Hollywood rappresenta alla perfezione potenzialità e limiti delle trasposizioni filmiche a stelle e strisce da manga e anime giapponesi: la forma è generalmente corretta e ossequiosa rispetto all’originale, il contenuto decisamente no.

Scordatevi quindi i leggendari cinque minuti di sole immagini e musica della versione di Oshii, il perfetto equilibrio tra azione e riflessioni, il memorabile finale che apriva, nel 1995, le porte di un mondo nuovo e inesplorato. La Rete continua ad essere vasta e infinita, ma la sceneggiatura di Jamie Moss e William Wheeler invece di limitarsi ad ammiccare all’eredità bladerunneriana (come facevano manga e anime) aggiungendo innumerevoli elementi originali, la prende di peso e la inserisce con una certa brutalità nel flusso di una storia oggi un po’ troppo convenzionale, scelta che priva di ogni fascino la figura del Burattinaio e stravolge in modo sostanziale il rapporto tra Il Maggiore e i suoi creatori.

Ghost in Shell in versione Live Action diventa quindi la storia di un robot (ma…) alla ricerca delle sue origini, senza sovrastrutture filosofico-politico-sociali. Un’opera di più semplice decodificazione per il pubblico, insomma, ma oggettivamente meno affascinante e meno ambiziosa.

Rispetto al film animato il team “pesa” un po’ di più nella storia, le sequenze action sono identiche (con qualche discutibile scelta di design, vedi il carro-ragno blindato che assomiglia più ad un router che a un temibile mezzo di distruzione) ma il brutto finale, alcune ridondanze e un ritmo molto altalenante (non che l’originale rappresentasse un must da questo punto di vista, ma durava pure mezz’ora in meno…) appesantiscono eccessivamente un’opera altrimenti non disprezzabile.

La regia di Sanders (che come unico lavoro precedente poteva “vantare” il mediocre Snow White and the Huntsman, opera memorabile solo perché ha causato il suo divorzio, visto che ai tempi venne beccato in atteggiamenti intimi con la protagonista Kristen Stewart…) è piatta e prevedibile e funziona egregiamente solo quando copia (non “emula”, proprio ricalca 1:1) le migliori sequenze dell’originale animato di Oshii.

Funziona (sorprendentemente) il cast: Scarlett “ci sta” e pur continuando a non essere credibile come attrice di action movie dimostra una certa efficacia quando c’è da “recitare”. I migliori del gruppo sono Pilou Asbæk, che conferisce un’impressionante fisicità a Batou (di cui scopriamo anche l’origine cibernetica, unico elemento originale di questa versione) e il serafico Takeshi Kitano, che pronuncia la migliore battuta del film con la sua espressione imperscrutabile.

Come spesso capita quando il cinema decide di confrontarsi con medium che hanno un passo ed un respiro differente (fumetti, serie animate, serial televisivi, letteratura), il confronto con l’originale è quasi sempre impietoso e Ghost in the Shell non rappresenta un’eccezione a questa regola. Come prodotto stand-alone è però un godibile divertissment sci-fi, leggermente sopra alla media e ha come maggior pregio che potrebbe, condizionale obbligatorio, spingere lo spettatore a recuperare l’originale che, oggi ancora di più che in passato, rifulge come capolavoro inarrivabile.



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Andrea Chirichelli

Classe '73. Giornalista da tre anni, ha offerto il suo talento a riviste quali Wired, Metro, Capital, Traveller, Jack, Colonne Sonore, Game Republic e a decine di siti che ovviamente lo hanno evitato con anguillesca agilità. Ha in forte antipatia i fancazzisti, i politici, i medici, i giornalisti e soprattutto quelli che gli chiedono foto.

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