A breve uscirà nelle sale italiane Get Out (Jordan Peele, 2017) – ribattezzato per l’occasione Scappa: Get Out – film presentato al Sundance Film Festival che ha già guadagnato in patria quaranta volte tanto il suo “esiguo” budget. Il film racconta dell’incontro tra Chris/Daniel Kaluuya e i genitori della sua nuova ragazza Rose/Allison Williams presso la tenuta di famiglia in Alabama. Nonostante i timori di Chris, convinto che i genitori di lei non accetteranno di buon grado la sua etnia afroamericana, Rose assicura che ciò non rappresenterà motivo di imbarazzo e che il weekend sarà un successone…

Get Out, che potrebbe provocare oltre a qualche ovvio brivido un’inconfondibile sensazione di dejà vu, è in realtà un film abbastanza originale, soprattutto per la sua capacità di rilanciare continuamente le aspettative del pubblico – più e meglio di un film come Quella casa nel bosco (Drew Goddard, 2012), che peraltro cita – scegliendo di calpestare le orme lasciate da qualcun altro per non farsi cogliere in flagrante troppo presto. La strategia di disvelamento rateizzato riesce piuttosto bene all’esordiente Peele, soprattutto perché i film e i generi interpellati sono numerosi e diversi, ma anche ben miscelati tra loro. Naturalmente nella ricetta sono presenti il thriller e l’horror, ma non mancano gli ingredienti del drama, della comedy e del fantasy.

A saltare agli occhi più di tutto è l’evidente passione del regista per Ira Levin, lo scrittore di noti romanzi quali Rosemary’s Baby e La Fabbrica delle Mogli, ma anche l’inquietante I Ragazzi venuti dal Brasile, tutti richiamati all’interno di Get Out in maniera sagace e giocosa. Non mancano tuttavia i riferimenti e gli omaggi a pellicole come Indovina chi viene a cena? (Stanley Kramer, 1967), da cui si preleva e reimpasta la satira sul razzismo, e Ti presento i miei (Jay Roach, 2000), da cui invece si estrae una conflittualità suoceri/genero di tipo farsesco. Tra le trovate apprezzabili si segnala anche il recupero di una fantascienza d’antan, mutuata dagli episodi Twilight Zone, in cui il dramma si mescola alla paura dell’ignoto e la scienza lascia presto il posto a ipotesi improbabili, deliri onirici e paranoie complottistiche, fino a sfociare nel filone battutissimo ma sempre appagante dei “mad doctors”.

Nonostante i pregi di ordine narrativo e i numerosi rimandi, Get Out colpisce soprattutto per la sua peculiare illustrazione del tema razziale – tanto caro all’horror ma anche a tutti gli altri generi qui coinvolti – che intende ritracciare nel diverso qualcosa non di cui avere paura o per cui provare diffidenza e bramarne l’allontanamento o la distruzione, bensì da ammirare e possedere al costo di qualche inevitabile compromesso. Non è allora il razzismo a entrare nel bersaglio di un film come Get Out – che rappresenta al contrario un infido McGuffin – bensì una riveduta e corretta “invidia del pene” che, se spinta al limite, può diventare altrettanto insana e pericolosa…



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4 Comments

  1. Tu sei la famosa Marienbad? perdio non sai quanto mi sono divertita a leggerti !

    1. Così famosa che, a volte, non mi riconosce manco mia madre.
      Però non so come prendere bene il tuo commento… il divertimento non è sempre la reazione che si desidera scatenare negli altri. ;)

      1. Era un complimento! Ma ho scritto di getto; ho letto Marienbad poco tempo fa su un vecchissimo forum di cinema, trovato per caso. Sagace, pungente, ironica. Profondissima nell’analizzare la natura umana e meravigliosamente spietata con le forme di vita più idiote con cui si è trovata a contatto. Questo mi ha divertito, ho trovato delle battute eccezionali. Leggerò con piacere qualunque altra cosa scritta da Marienbad…a partire da tutte le recensioni…e ovunque mi puoi suggerire posso trovare tuoi scritti!

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