Il fandom non è più un nicchia che si riunisce allo spuntar della luna per celebrare i suoi misteriosi rituali in angoli dimenticati dell’Internet: questo ormai è un dato assodato. Concetti come geek, nerd e fanboy/fangirl si sono espansi e sovrapposti così tanto al concetto di pop che sotto la stessa bandiera si ritrovano gruppi diversissimi, talvolta dalle posizioni opposte e contrastanti.
Se essere nerd non è più intrinsecamente negativo da quando The Big Bang Theory l’ha reso appassionante anche per chi una vita sociale ce l’ha (circa 2007), una sacca particolarmente resistente allo sdoganamento e alla rivalutazione è quella delle fangirl.
 
Quando si parla di fangirl, di shippatrici folli, di lettrici seriali di fanfiction e amanti del bromance permangono sacche di sufficienza e acredine violenta verso questo essere strano e meraviglioso che si muove in grandi branchi silenziosi su Tumblr e AO3. Sarà perché è una sottogenere prettamente femminile, attributo che online attira sempre quel 20% in più di cattiveria gratuita. Sarà perché è una nicchia particolarmente silenziosa, che consuma le sue shipping war laddove il fan e basta non sa nemmeno esserci un ritrovo di estimatori degli stessi prodotti culturali.
 
Eppure nell’economia delle nicchiel’estrema fedeltà e il sostegno economico continuativo che il un pubblico femminile giovane ed economicamente indipendente possono garantire non sono passati inosservati. Se sapete cosa sia il bromance è perché è divenuto un artificio narrativo così ricorrente che anche madri e padri guardano con sospetto certi scambi verbali tra Xavier e Magneto e sull’eterosessualità dell’eroe Marvel di turno (sull’eterosessualità di chiunque, a dire il vero) nessuno sarebbe più disposto a mettere la mano sul fuoco.
 
Così anche sul mercato editoriale italiano cominciano ad arrivare prodotti interni all’ecosistema fangirl, pensati da e realizzati per chi ha tra le sue priorità ha almeno un paio di ship che vorrebbe veder canonizzate. Potranno mai questi prodotti superare i confini del sottobosco delle shipping e conquistare anche chi non ha un account AO3 e non passa le notti a scrollare la dash di Tumblr? Forse questa non è la domanda giusta e nemmeno la più interessante. Perché prodotti già popolarissimi nell’ecosistema del fangirl hanno bisogno di un passaggio mainstream, di una distruzione via canali tradizionali come la libreria? Le fangirl che già li conoscono (che già ne hanno decretato il successo),li acquisteranno dopo averli fruiti gratuitamente? Per saperlo dovremo aspettare ancora un po’. Cominciamo a conoscere un po’ meglio 3 recenti casi di fangirleggiamenti che bussano alla porta del mainstream.
 
Il caso più recente ed eclatante segna è una mossa ardita e a mio parere geniale di J-Pop, ovvero quella di proporre in anteprima mondiale la prima edizione cartacea del webtoon più controverso e letto del momento.
Mentre tanti lettori ed editori statunitensi scrivevano indignati ai responsabili sudcoreani denunciando un’operazione che pensavano illegale e truffaldina, un piccolo editore di fumetti italiano ha fatto il colpaccio, accaparrandosi i diritti di quello che mi sento già di dire sarà uno dei successi fumettistici del 2017.
 
Non è un’affermazione così rischiosa, contando che nella sua versione illegale Killing Stalking è costantemente tra i 10 titoli più letti, insieme a fenomeni internazionali come One Piece e L’Attacco dei Giganti. Eppure è la magnifica ossessione ad uso e consumo esclusivo della nicchia fangirlistica per eccellenza: le appassionate delle storie omoerotiche così devianti e morbose da lambire il disturbante.
 
E se persino una scafata come me lo ha trovato a tratti forte, capite che forse le fangirl non hanno nulla da invidiare agli amanti degli horror più raccapriccianti. La vicenda ruota attorno a una relazione che definire problematica e abusiva è il minimo. Nel duo di protagonisti che intreccia una relazione malata e morbosa uno infatti è uno stalker così ossessionato dall’oggetto del suo amore da introdursi in casa sua e masturbarsi nel suo letto e l’altro è un ragazzo d’oro che nasconde una donna legata nello scantinato, che finirà con l’uccidere e seviziare quando si troverà per le mani la vittima perfetta, direbbe Lisbeth Salander: quella che lo desidera tanto quanto lo teme.
 
Per me che lo lessi in capitoli online prima ancora che venisse colorato e riorganizzato graficamente da cima a fondo (il formato dei webcomics sudcoreani è molto verticale e poco adatto alla stampa), la lettura del cartaceo è stata radicalmente diversa da quella digitale. Se i tempi di caricamento e lo scorrimento delle immagini online creano una concitazione naturale oltre al tono thriller al rilancio della storia, in cartaceo il volume si divora in un attimo.
 
Personalmente amo molto l’angst (da Wikipedia, “indica le fiction in cui il/i protagonista/i si trova in una impasse psicologica che provoca angoscia, o furia, o entrambe” NdR), ma sono stata forse troppo esposta ad anni di social justice su Tumblr per godermi la lettura senza sentire il cervello che ogni tanto mi urla “ma questa tizia è ma-la-taaaa!” (reazione a dire il vero molto frequente quando leggi materiale fangirlistico), ma una volta iniziato, l’urgenza di vedere fin dove Koogi possa arrivare a osare in questa sindrome di Stoccolma a spirale è un attimo che ti porta a fare l’alba leggendo capitolo dopo capitolo. Killing Stalking dà dipendenza: lo dico perché se tarda a uscire un nuovo capitolo, vedo segni di crisi di astinenza ovunque nel fandom. Complimenti a J-Pop per il coraggio e la lungimiranza dell’operazione.
 
Il principe prigioniero invece è proprio una fanfiction fatta e finita. Anche Shadowhunters e 50 Sfumature di Grigio lo erano, direte voi. Certo, però la coppia al centro della romanticizzazione era eterodiretta e c’era comunque un tentativo da parte dell’editore (vuoi per beghe di copyright vuoi per forma letteraria) di sistemare il materiale di partenza per farlo somigliare alla forma romanzo.
In Captive Prince invece questo sforzo non c’è e si legge in tutto e per tutto come una fanfiction, con il ritmo, i topoi e le formule di questo medium letterario. Triskell Edizioni lo propone al pubblico italiano in una traduzione egregia, dopo che il colosso Penguin Random House ha fiutato l’affare ed è calata come uno sparviero a metà della pubblicazione della fanfiction divenuta fenomeno.
 
Il principe prigioniero è il punto di partenza perfetto per chi vuole rispondere all’annoso quesito “ma che ci trovano le fangirl nelle fanfiction?”, perché a differenza degli altri precedenti mantiene la sua forma sì, ma già online era grammaticalmente e letterariamente tollerabile. Idealmente, il mare magnum delle fanfiction NC-17 (quelle in cui si scopa, per essere spicci) è divisibile in due grandi sottogruppi: quelle che ti tengono incollato allo schermo per l’eros e quelle che quasi ti spiace quando si zompano addosso perché la storia prende il sopravvento. Captive Prince fa parte del primo sottogruppo e  tra l’altro le sue scene ormonali te le fa penare parecchio. Per la fangirl è una trappola: non importa quanto siano biechi i sistemi con cui ti fa morire d’impazienza, non c’è verso di poggiare il volume o il cellulare, anche se sono le tre del mattino. Finché non sai quando Damen e Laurent capitoleranno di fronte alla palpabile tensione sessuale che cresce tra di loro, non hai modo di vivere la tua vita.
 
Non è la miglior fanfiction che ho letto in vita mia; quelle sono tutte nel secondo gruppo e alcune sono così pazzesche che danno parecchi punti a tanti titoloni di contemporary fiction. A giudicarla con occhio letterario è davvero superficiale, a valutarla con occhio fangirlistico percorre con encomiabile persistenza tutti gli stilemi, gli stereotipi e gli scenari tipo di questo tipo di storie, a partire dai due protagonisti, principi di due regni nemici. 
Quello biondo con gli occhi azzurri è ovviamente Laurent ed è ovviamente sdegnoso e longilineo e ha ovviamente traumi terribili nel suo passato e una bellezza quasi femminea. Insomma, quello che nei fancast finisce puntualmente per essere interpretato da Dane DeHaan, che nella sua carriera vera ne ha incarnati parecchi (e ha limonato per davvero con Harry Potter). Damen, il principe tradito dal fratellastro e inviato in incognito come schiavo sessuale nel regno nemico è ovviamente un guerriero nato, moro, muscoloso, forte e di carnagione olivastra.
Al primo che prova a obiettare sui bracciali d’oro che è costretto a portare come schiavo o alle pratiche sessuali (invero piuttosto light) che è costretto a performare vorrei chiedere di spiegarmi la differenza con Carrie Fisher in bikini bronzeo. Le pugnette per adolescenti e le fantasie erotiche lievemente sadiche per registi di blockbuster sono mainstream dalla notte dei tempi, mentre le stesse ribaltate al femminile cominciano solo ora a diventare prodotto culturale ed economico sotto la luce del sole e quindi paiono strane, barocche.
 
Da fangirl, una volta inquadrati i personaggi e rispettivi regni, a sorprenderti non è tanto la trama, bensì quante caselle della situazione fanfictionara tipo conquista prima di urlare tombola. Insomma, ero divisa tra la bieca soddisfazione e l’alzata di occhi al cielo di fronte alla consumata facilità con cui l’autrice mette dentro il peggior / miglior fanservice, inclusi potentissimi afrodisiaci disciolti nelle coppe reali.
 
Rainbow Rowell invece è un’autrice di bestseller giovanili fatta e finita, una delle icone dello young adult e della generazione booktube. La sua esperienza da lettrice adulta di fanfiction l’ha condensata nel 2013 in uno dei suoi titoli più celebri, Fangirl, rivelatosi un tale successo da creare a sua volta un fandom dedicato.
Il romanzo è un coming of age della generazione che il fandom l’ha conosciuto e rivoluzionato attraverso Harry Potter. Al centro dell’azione ci sono due gemelle, Cath e Wren, il cui rapporto simbiontico entra in crisi proprio all’ingresso del college. Una è introversa e schiva, l’altra è festaiola e espansiva: entrambe sono accumunate da un’adolescenza spesa a tener d’occhio un padre psicologicamente instabile e un fandom globale come quello di Simon e Baz. Il dinamico duo di maghi e arcinemici è la versione fittizia delle coppie omoerotiche del fandom di Harry Potter, scritte e disegnate da una generazione di adolescenti che costituiscono la base del fandom over 25 di oggi. Nella finzione della Rowell Harry Potter per mere questioni di copyright esiste, ma le dinamiche con cui Wren e Cath comunicano con il fandom online e lavorano alacremente a una delle fanfiction più amate a riguardo ricalca fedelmente quella che è stata l’esperienza di centinaia di migliaia di lettrici adolescenti della saga della Rowling.
 
Dal punto di vista letterario Fangirl è uno young adult gradevole e ben scritto, di quelli che affrontano tutti i temi importanti per la generazione di lettori che ha decretato il successo di questa formula: il disagio psicologico, famiglie disfunzionali, l’introversione, i primi amori importanti, oltre al grande classico “sono al college: e ora?”.
Dal punto di vista fangirlistico però l’ho trovato abbastanza deludente. A parole Cath è una stella delle fanfiction online che giornalmente posta nuovi capitoli di una lunga fic con migliaia di appassionate (e persino una sua linea di magliette dedicata!) ma nei fatti la sua parabola di giovane fan writer è una cornice particolare entro cui indagare il disagio giovanile di sempre, senza mai trovarci dentro la soluzione per i propri problemi.
Se è divertente l’alternanza tra capitoli del romanzo vero ed estratti della saga fittizia su cui lei scrive fanfiction (che ha poi originato uno spin off dedicato), alla fine il fandom è un comodo rifugio in cui si nasconde dalla vita vera, come da classico stereotipo del personaggio timido e impacciato. Peccato che invece il fandom proprio nella generazione di Internet e Harry Potter abbia costituito un’esperienza formativa e sociale autentica per introversi ed estroversi.
Migliaia di adolescenti non sono stati più fermati dai confini geografici per stringere amicizie vere e preziose, non si sono dovuti adattare alla compagnia del muretto per sentirsi integrati. Giovani che oggi sono adulti e che hanno imparato, a differenza di Cath, a costruire relazioni personali solide e durature con persone diventate per loro importanti proprio attraverso il fandom.
Cath ragiona ancora secondo gli schemi tradizionali che stabiliscono cosa sia giusto e sbagliato a livello sociale. L’esperienza rivoluzionaria dei fandom del nuovo Millennio è stata invece quella di dimostrare quanto si possa creare un’ambiente intellettualmente stimolante ed emotivamente appagante con l’ausilio di uno spazio virtuale, facendo emergere voci carismatiche e influenti tra quanti nello spazio fisico non avrebbero neppure avuto possibilità di esprimersi. Nel fandom vero Cath potrebbe essere marocchina, russa, taiwanese o anche italiana, una ragazza in condizioni economiche o sociali tali da rendere talvolta persino controverso l’oggetto del suo interesse (pensate ai paesi dove l’omosessualità è illegale o Harry Potter è stato tacciato di stregoneria). E’ questa la magia dell’essere fangirl nel 2017, è questa la vera essenza rivoluzionaria dell’essere fangirl, è questo tratto a mancare nelle pagine di Rainbow Rowell.


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