Amazon mi ha recapitato Macerie Prime, il nuovo libro di Zerocalcare, alle 15 di venerdì 16. L’ho aperto un quarto d’ora dopo e alle 17.15 l’avevo già finito.Non perchè sia breve, anzi, ma perchè si legge DAVVERO tutto d’un fiato. La mia impressione a caldo è stata: capolavoro/pietra miliare/magnum opus/opera totemica/must generazionale. E stavo per scriverle, queste cose. Poi però, facendo mente locale e documentandomi sul personaggio (non che non sia arcinoto, ma giusto per conferire un minimo di professionalità alla recensione, visto che è il suo primo libro che leggo, dopo aver piluccato per anni e con gran gusto quà e là le sue vignette) mi sono reso che una raffica di complimenti sarebbe stata superficiale e limitante. Intendiamoci, Macerie Prime è un’opera davvero ben fatta, ma proprio perchè molto sfaccettata non può essere liquidata con un “bella, bravo”, anzi, più si scava a fondo, più emergono dubbi e riflessioni.

Macerie Prime non parla del passato dell’autore o di temi “politico-sociali”, ma analizza due altri ambiti narrativi che devono essergli molto cari: il rapporto, presente e futuro, con il suo gruppo di amici storici e il disagio derivante dal non poter soddisfare tutte le richieste che gli vengono da un certo mondo (centri sociali, iniziative varie, etc.) che bussa costantemente alla sua porta per dare visibilità alle proprie istanze.

La prima cosa che si può dire di Macerie Prime è che, spesso, fa sbellicare e, altrettanto spesso, pensare. Alcune tavole sono assolutamente esilaranti, sicuramente le migliori che abbia letto di recente e non solo relativamente alla produzione del fumettista di Rebibbia. La sua capacità di leggere, interpretare e spiegare il presente è quasi sconcertante, perchè, al netto della caratterizzazione dei personaggi e delle citazioni, riesce in modo impressionante a rendere partecipe il lettore delle proprie vicende, diventando l’amico cazzaro col quale passi sì il tempo, ma che all’occorrenza ti dà le dritte giuste per crescere (ruolo che l’autore nel fumetto assegna ad un membro “anziano” della sua compagnia). Dei colpi di genio di quelli che ti verrebbe voglia di conoscerlo personalmente (come scriveva Salinger ne Il Giovane Holden) per chiedergli come gli siano venuti in mente.

Macerie Prime però è anche (e soprattutto) una riflessione sulle conseguenze del successo, sul rapporto con chi non ce l’ha fatta ed è rimasto indietro, magari però normalizzandosi e facendo le cose che molti, ad un certo punto della vita, decidono di fare (sposarsi, fare un figlio, etc.) e sotto questo punto di vista conferma un’idea che mi ronza in testa da qualche tempo. Zerocalcare mi sembra infatti avviato a diventare una sorta di Woody Allen del fumetto, cioè un autore che utilizza le proprie nevrosi come combustibile della creatività e che per esorcizzarle produce, produce, produce fino allo sfinimento. Da un punto di vista qualitativo il rischio evidente è, appunto, di finire come il celebre regista: firmare un capolavoro dopo l’altro nella prima parte della propria carriera e poi, esaurita l’ispirazione, lavorare col pilota automatico innestato, con conseguente calo della qualità media. E vabbè, vedremo.

Il protagonista del fumetto, ad un certo punto, stimolato dagli amici a partecipare all’ennesima iniziativa “non prioritaria” (ma che moralmente dovrebbe esserlo, visto che i fautori sono le persone più vicine e più care al personaggio), reagisce in modo inaspettato (non spoilero, anche perchè l’evento è la base del climax che si interrompe proprio alla fine del libro, che come noto è diviso in due parti, col “sequel” in arrivo tra sei mesi). Questa parte è più problematica e di complessa valutazione perchè si trasforma in una sorta di seduta psicanalitica in cui vengono a sovrapporsi l’immagine di Zerocalcare personaggio pubblico (sempre incredibilmente disponibile coi fan, abituato a interminabili sessioni di firma-copie cui fanno da contrappeso innumerevoli interviste di Michele Rech, nelle quali l’autore dichiara un aperto disagio e difficoltà nello stare dietro al troppo lavoro e una forte e dichiarata diffidenza nei confronti di coloro che lo giudicano basandosi sui personaggi che disegna) e quella dell’alter-ego a fumetti, che resta “sospesa”, in attesa del finale.

Su questa parte è molto difficile esprimere un giudizio, un po’ perchè appunto incompleta (personalmente spero che NON vada a parare dove temo, sarebbe una soluzione troppo semplicistica) e sopratutto perchè valutare queste situazioni (penso anche a Saviano, un altro che ho sempre, sempre, sempre, sentito lamentarsi per la sua condizione di “recluso”) ti pone di fronte ad un dilemma quasi irrisolvibile: personaggi del genere vanno in qualche modo compatiti perchè non possono andarsi a mangiare una pizza sotto casa senza essere travolti dall’affetto (o mitomania) dei fan oppure possono essere oggetto di critica e invidia perchè, oggettivamente, non solo guadagnano un botto, ma sono messi in condizione di essere ascoltati da chiunque e di conoscere persone e vivere esperienze cui una persona “normale” non potrà mai ambire?

Intanto, i panda di Bao passano all’incasso.



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Andrea Chirichelli

Classe '73. Giornalista da tre anni, ha offerto il suo talento a riviste quali Wired, Metro, Capital, Traveller, Jack, Colonne Sonore, Game Republic e a decine di siti che ovviamente lo hanno evitato con anguillesca agilità. Ha in forte antipatia i fancazzisti, i politici, i medici, i giornalisti e soprattutto quelli che gli chiedono foto.

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