Non ricordavo quanto fosse complicato leggere The Ghost in the Shell. O meglio, ricordavo bene la lettura convulsa e tormentata che per anni ho imputato alla mia comprensibile impreparazione all’epoca, conseguenza della mia giovane età. Wikipedia non mi aiuta, ma la versione a episodi deve essere arrivata dalle nostre parti nei primi ’90: ad andar bene l’ho letta al liceo. Di recente, tra l’altro, ho anche rivisto l’anime e tutto sommato non mi è sembrato così cervellotico. Per anni insomma mi sono cullato in una granitica convinzione: ho letto The Ghost in the Shell quando non ero ancora pronto per farlo. Succede, poco male. Nulla a cui una seconda lettura in età adulta non possa rimediare, no?!

L’occasione per rileggere oggi il capolavoro di Masamune Shirow è la nuova edizione in volume unico realizzato da Star Comics. Mentre la sfogliavo, prima iniziare il doveroso ripasso però mi è di colpo tornato a mente il totale straniamento che anni fa mi avevano generato quelle pagine. Una sensazione che mi ha accompagnato di nuovo per l’intera lettura, cedendo il passo dopo oltre 300 pagine a una nuova consapevolezza riguardante il mio precedente insuccesso.

Ciò non ero stato in grado di decifrare un paio di decadi fa è lo stile di scrittura di Masamune Shirow. Un approccio alla narrazione lontano da qualunque fumetto leggessi all’epoca – Marvel e Dragon Ball, principalmente. Ma anche all’opposto della quasi totalità delle opere di intrattenimento a cui ho acceso ora. Shirow non ha nessun interesse a prendere per mano il lettore e portarlo con sè. Anzi, gioca a spiazzarlo, a sottrargli appena possibile i punti di riferimento. Non ci sono didascalie, ogni cambio di pagina è un potenziale cambio di ambientazione senza nessun appiglio testuale a segnalarlo.

Nei diversi episodi auto-conclusivi che compongono la trama orizzontale del manga, decisamente più ramificata rispetto all’anime, Shirow porta in scena decine di personaggi, situazioni e complotti, introducendoli per lo più dal nulla. Dirigenti, ministri, mercenari e terroristi internazionali, pedine che il lettore si trova di fronte d’improvviso, senza che il loro ruolo sia stato mai citato in precedenza, figure misteriose i cui scopi devono sempre essere ricostruiti ex-post. È inevitabile a quel punto vagare come ipnotizzati per una manciata di vignette o di pagine, in cerca di un appiglio a cui agganciare quanto letto in precedenza.

Persino le nuove trame esplodono dal nulla. Non c’è alcun tipo di costruzione o anticipazione ad uso del lettore. Quali siano i nuovi casi di cui la sezione nove si occuperà o lo scopo finale del Marionettista, l’antagonista dell’opera, non è dato saperlo se non nel momento in cui lo scorrere naturale del racconto giunge al disvelamento in presa diretta. La lettura diventa allora una navigazione a vista in cui tutto può davvero succedere e ogni dettaglio, ogni frase, ogni colpo di pistola è importante lì, nel presente in cui viene declinato.

In totale antitesi a questo approccio al particolare, nella costruzione del contesto Shirow Masamune abbonda spesso con le informazioni, senza porsi apparenti limiti. Non solo graficamente, con sfondi che abbondano di dettagli, la cui estetica si è cementata nei decenni al punto da risultare tuttora credibile oggi, che ci è quasi contemporanea, e al contempo di ispirazione per le visioni future. È soprattutto il corpus di note che chiude il volume ad offrire la visione totale dell’estensione del mondo che Shirow Masamune ha creato per incastrarvi all’interno il suo poliziesco cyberpunk.

Anche i cambi di registro, con l’esplosione improvvisa di momenti buffi, grotteschi o erotici sono all’ordine del giorno e servono a Shirow Masamune per spezzare la tensione costante.

Dal sistema normativo del Giappone del 2030 alle tecniche di immissione delle nano-macchine in un corpo bionico, dalle digressioni psicologiche alla giustificazione di specifiche scelte artistiche operate nelle vignette, dai dettagli sulla produzioni industriale a brevi trattati di geopolitica futuribile: Shirow Masamune sembra volere costruire proprie lì, nelle 15 pagine che abbondano di caratteri in chiusura di volume, i pilastri del suo universo narrativo.

Non che in tutto ciò che precede il corpus di note manchino le riflessioni, anzi. Nonostante The Ghost in the Shell sia principalmente un fumetto d’azione, che abbonda di inseguimenti e sparatorie, il motore della storia è alimentato dalla ricerca di risposte sulla più intima natura della vita, umana o artificiale. Umani, cyborg e intelligenze artificiali; ghost e anime: qual è la differenza? Nell’opera di Shirow Masamune la discriminante sembra essere meramente tecnica, mentre l’obiettivo è comune: affermarsi come essere vivente, autodefinire la propria esistenza.

Se solo una manciata di mesi fa pensare al principio di autodeterminazione di una Intelligenza Artificiale poteva sembrare più un esercizio retorico che una necessità impellente, oggi lo scenario è cambiato drasticamente: non sono un apocalittico, ma se Elon Musk è preoccupato per il futuro mi sembra legittimo considerare la questione. Nonostante ciò oggi il dibattito sulle IA e le possibili conseguenze della singolarità è ancora ad appannaggio di una bolla di geek all’avanguardia, mentre governi ed agenzia internazionali hanno ancora ben altro di cui occuparsi. Nel 1991 invece Shirow Masamune già si domandava se una ribellione delle macchine potesse essere una prospettiva capace di concretizzarsi.

The Ghost in the Shell però è entrato nel mito ben prima che la sua visione del futuro si imponesse come credibile – e per un numero sorprendenti di aspetti, basti pensare a come il design dei veicoli e delle divise appaia oggi ancora così moderno, per non parlare dei visori oggi che richiamano immediatamente il form factor delle periferiche per la VR.

Per quanto mi riguarda potrebbe essere proprio la complessità il principale motivo del successo di The Ghost in the Shell, l’ingrediente segreto che gli ha permesso di arrivare al 2017 senza mostrare alcun segno del passaggio del tempo (nonché senza dubbio la sua componente che più mi affascina). Perchè anche nell’aumento della complessità dell’ambiente in cui viviamo TGITS ha anticipato i tempi. Con la sua fitta rete di relazioni internazionali tra paesi alleati e nemici allo stesso tempo su differenti livelli, la sua raffigurazione di un continuo contrasto tra le agenzie governative agli ordini di differenti ministeri, la sua definizione del ruolo giocato dalla tecnologia del controllo nell’esercizio del monopolio della violenza da parte dello Stato, la sua previsione di una matassa di reti interconnesse su cui si sarebbe giocata la fondamentale partita del controllo dell’informazione, The Ghost in the Shell ha offerto a tre generazioni di lettori strumenti utili a decifrare una realtà in mutamento.

E se oggi a oltre 25 anni dal rilascio del primo episodio del manga il contesto in cui è immerso appare ancora perfettamente attuale e verosimile non è azzardato credere che possa esserlo ancora tra altri 5 o 10 anni nonostante la velocità incrementale a cui la Storia pare abbia deciso di iniziare a muoversi.

Una delle scene più celebri e controverse di TGITS: il corpo artificiale di Motoko si dedica al piacere mentre la sua mente guida un’operazione di infiltrazione impartendo ordini ai compagni della divisione nove.

Viene da sorridere al pensiero che, per volere dell’editore, la prima edizione di TGITS sia stata pubblicata col titolo di Mobile Armored Riot Police, relegando il Ghost e la sua varietà di significati a un sottotitolo, inserito solo su espressa richiesta di Shirow Masamune. E fa ancora più sorridere la nota che chiude il volume con cui l’autore si scusa per la sua scarsa abilità con la tavola da disegno. Oggi le tavole di The Ghost in the Shell sembrano disegnate ieri e la loro commistione di stili che strizza l’occhio ai comics USA è forse un altro dei segreti del suo intramontabile successo che ha conosciuto negli anni un solo limite: l’esaurimento delle copie disponibili. Per questo l’arrivo di una nuova ristampa in volume confezionata da Star Comics, per altro impreziosita dalla presenza di una maggior numero di tavole a colori rispetto all’originale, è davvero una grande notizia.



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Claudio Magistrelli

Pessimista di stampo leopardiano, si fa pervadere da incauto ottimismo al momento di acquistare libri, film e videogiochi che non avrà il tempo di leggere, vedere e giocare. Quando l'ottimismo si rivela ben riposto ne scrive su Players.

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1 Comment

  1. Ricordo la frustrazione tutte le volte che provavo a leggere Appleseed, sempre di Shirow. Non sono mai riuscito ad arrivare fino all’ultimo dei quattro volumetti. La cosa strana è che comunque, se me lo chiedi, ti dico che mi piace. Ogni tanto mi vien voglia di riprovarci, ma poi ho paura di sentirmi stupido.

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