Disponibile da qualche settimana e già scaricato da 25 milioni di persone, Animal Crossing Pocket Camp rappresenta l’ultima incursione di Nintendo nel mondo mobile e la ciliegina sulla torta di un anno a dir poco memorabile per la casa giapponese: data per morta da (quasi) tutti (non noi!), dopo il disastroso Wii U, l’azienda che per molti è sinonimo stesso di videogiochi in poco più di sei mesi ha tirato fuori: una console da 10 milioni di pezzi, il miglior Mario di sempre, uno dei migliori Zelda a memoria d’uomo e fatto sì che persino l’industry videoludica italiana potesse brillare di luce propria, grazie all’ottimo Mario + Rabbids Kingdom Battle.

Animal Crossing Pocket Camp, ultimo episodio di un franchise quasi ventennale, visto che il primo capitolo risale ai tempi del (tardo) Nintendo 64 (uscì in quel formato nell’aprile del 2001, salvo poi essere riproposto migliorato per Gamecube pochi mesi dopo), è un piccolo passo avanti rispetto agli altri due spin-off (Happy Home Designer e Amiibo Festival) ma risulta davvero troppo semplicistico rispetto a New Leaf, quarto e ultimo episodio della saga principale, vecchio oramai di un lustro.

In Animal Crossing Pocket Camp lo scopo del gioco è infatti creare un campeggio presso il quale gli animaletti possano venire a riposarsi, mangiare e divertirsi, tre delle quattro cose a cui, a pensarci bene, anche gli esseri umani dovrebbero tendere naturalmente, invece di affannarsi a creare inutili start-up o lavorare in un coworking per due spicci. Gran parte del gioco è basato sul baratto: il giocatore usa cortesie nei confronti degli animaletti (task invero molto limitate, visto che si tratta di trovare frutta, insetti e pesci presenti nelle quattro location in croce presenti nel gioco, tutti beni acquistabili nelle bancarelle di altri utenti, peraltro) per ricevere in cambio materiali o foglie (la valuta del gioco) utili a costruire gli arredi e le aree tematiche (quattro in tutto, di cui solo due presenti contemporaneamente) del campeggio. Tutto qui. Le microtransazioni, che molti giocatori hanno scoperto giusto quest’anno essere una fregatura, sono molto limitate e sostanzialmente inutili, a meno che non si voglia “finire” il gioco in mezza giornata. Siccome gli animaletti sono morbissimi e coccolosi e gli umani ripugnanti, è solo con questi ultimi che si “comprano” beni, sfruttando le bancarelle dove è possibile acquistare i beni che non si ha voglia di ottenere “naturalmente”. Gli unici animaletti che si fanno pagare sono Merlino, un curioso alpaca proprietario di una fabbrica di mobili e i tre corvi della Ok Motors, la concessionaria che ci personalizza il camper in stile Pimp my ride.

Per il resto non c’è molto da fare, in effetti. Tuttavia, come spesso capita, anche i titoli più semplici nascondono grandi pregi. Ad esempio, Animal Crossing Pocket Camp è un titolo super rilassante. Onestamente non ho mai legato il concetto di relax ad altri titoli videoludici che non fossero quelli di questa saga, perchè anche i simulatori di camminata alla Firewatch sono sì contemplativi ma spesso/sempre dotati di un comparto narrativo ansiogeno, idem dicasi per gli indie alla Journey & compagnia, bellissimi certo, ma anche leggermente inquietanti.

Animal Crossing Pocket Camp è invece puro Valium ludico. Un po’ perchè non c’è alcuna sfida, un po’ perchè anche stare solo ad osservare le super-basiche interazioni tra gli animaletti ospiti o ascoltare le scemenze che dicono (il traduttore italiano deve avere una fissa per palestra, fitness e affini, perchè il 50% dei dialoghi ha a che vedere con deltoidi e bicipiti) ti trasporta magicamente in un mondo in cui non esistono pensieri o preoccupazioni. Non poco, in tempi in cui speculando in criptovalute rischi prima di diventare miliardario e un momento dopo di non avere cibo per sfamare la tua famiglia.

Una cosa che lascia un po’ stupiti è il fatto che, a differenza degli Animal Crossing classici, le attività “temporizzate” sono molto ridotte: ok, nevica, c’è il cambiamento orario col ciclo mattina-pomeriggio-sera-notte, ma nulla di più (giusto ieri c’era qualche gag sul solstizio). La sensazione è che Nintendo voglia effettuare upgrade e aggiunte a ritmo continuo e c’è da sperare che sia così (mentre scrivo è stato inserito il giardino e una mezza dozzina di altri animaletti) perchè altrimenti l’interesse potrebbe scemare velocemente.

Un elemento un po’ bizzarro del gioco è che i teneri animaletti sono anche piuttosto rompicazzo esigenti prima di visitare il campeggio. L’accettazione del cortese invito è infatti subordinata alla presenza all’interno del campeggio di alcuni elementi “conditio sine qua non” che vanno prima costruiti e poi posti in bella evidenza. Un po’ come se uno invitasse tizio e caio a cena e questi rispondessero “ok, ma decidiamo noi il menù e come dev’essere arredata casa tua“.

Ci sono però due azioni che bilanciano queste assurde pretese: la prima è che l’ordine degli arredi nel campeggio può essere modificato automaticamente, giusto per far arrivare l’animaletto, salvo poi rimettere tutto come prima (e oramai lui è arrivato quindi s’attacca) oppure, cosa goduriosissima, almeno secondo me, mettere tutto in bella mostra come vuole lui e poi sfancularlo congedarlo, dicendogli che non c’è più posto. Già, perchè dei 40 e rotti animaletti presenti nel gioco, solo 8 possono essere ospiti contemporaneamente, quindi, per fare crescere il livello di amicizia con tutti, bisognerà attivare il Montella-mode e cambiare roster ogni singolo giorno. Magari più volte al giorno.

Animal Crossing Pocket Camp insegna infine un concetto utilissimo e facilmente applicabile nella vita vera: se fai le cose da solo non combini nulla, se inizi a fare favori agli altri, anche se ti stanno sul, probabilmente qualcosa indietro tornerà. Marketing relazionale, signori, marketing relazionale. E intanto Nintendo prospera, com’è giusto che sia.



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Andrea Chirichelli

Classe '73. Giornalista da tre anni, ha offerto il suo talento a riviste quali Wired, Metro, Capital, Traveller, Jack, Colonne Sonore, Game Republic e a decine di siti che ovviamente lo hanno evitato con anguillesca agilità. Ha in forte antipatia i fancazzisti, i politici, i medici, i giornalisti e soprattutto quelli che gli chiedono foto.

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