Tempo fa mentre scrollavo il feed di Twitter con la vana illusione di combattere la noia mi sono imbattuto in un filmato di un paio di minuti che questa gif riassume piuttosto bene. Raffigurava un umano, presumibilmente un ricercatore della Boston Dynamics, che cercava in tutti i modi di mettere in difficoltà un Big Dog, un robot quadrupede, riuscendoci peraltro spesso. Il motivo, come ovvio, era puramente scientifico, per quanto il video fosse confezionato ad uso e consumo di un pubblico generalista: rilevare la capacità del progetto meccanico di reagire ad avvenimenti avversi.

La sequenza tuttavia era accompagnato dall’immancabile tweet ironico in cui l’autore – mi perdoni se ho dimenticato la sua identità – ironizzava sul fatto che un giorno i robot si vendicheranno per tutto ciò. Persino la CNN trova che abusare di un robot sia in qualche modo un’attività divertente. Ecco, io non ci trovo nulla da ridere.

L’idea di un futuro in cui l’intelligenza artificiale delle macchine supererà quella dell’uomo e i robot imporranno il loro dominio sul mondo è uno dei temi ricorrenti della fantascienza classica. Non di quella sarcastica alla Douglas Adams, ma di quella più pessimista e apocalittica. Non il genere di scherzo in cui vorrei svegliarmi domani. Ma nemmeno il tipo di fantascienza che ci si aspetterebbe di trovare in Black Mirror.

A metà della quarta stagione, la serie TV celebre per le sue previsioni divenute cronaca, per aver anticipato l’impossibile prima che convergesse nel campo del reale, propone un episodio a suo modo retrò, slegato da molti dei canoni della serie. Anche dal punto di visto estetico Metalhead è il primo episodio di Black Mirror girato interamente in bianco e nero. Io l’ho inteso come una scelta estetica, che nella mia visione richiama altre due pellicole recenti (Mad Max: Fury Road e Logan) ridistribuite in questo formato per esaltarne l’asciuttezza e la brutalità dell’immagine. Pellicole con cui, non a caso probabilmente, Metalhead condivide l’appartenenza al genere apocalittico.

Secondo altri invece il motivo sarebbe più opportunistico, ovvero mascherare effetti speciali forse non all’altezza, ipotesi questa che riporto per mera cronaca benchè non abbia avuto per nulla questa impressione – anzi il robot meccanico che ricopre il ruolo di villain a mio parere appare particolarmente credibile.

Mentre Black Mirror ci aveva abituato a dettagliare le sue realtà alternative costellando ciascun episodio di elementi di contorno inutili ai fini della trama, ma utili per definire meglio l’ambiente narrativo in cui ciascun episodio si svolge, Metalhead lavora per sottrazione. Il mondo in cui veniamo immersi è definito solo da una manciata di dettagli. Il trio iniziale di protagonisti si muove attraverso una landa spoglia e disabitata, in quella che sembra essere una non meglio definita campagna britannica, diretti verso un magazzino alla ricerca di un oggetto promesso a qualcuno.

Tutto il contesto che è necessario per lo spettatore, tutte le informazioni che devono essere veicolate sono racchiuse in poche, aride inquadrature. Persino il primo dialogo significativo non aggiunge nuovi dati utili a comprendere come e perchè l’umanità sia giunta sull’orlo dell’estinzione. O forse sì. Non casualmente i tre personaggi riflettono sulla scomparsa dei maiali, strappati dall’esistenza dai cani, e vista l’evidente citazione che il discorso richiama non è da escludersi che Brooker abbia voluto intendere questa manciata di parole come un’allegoria piuttosto diretta.

Chi, o meglio cosa siano i cani diventa evidente poco dopo. Giunti al magazzino la tensione su cui poggiava la fragile tranquillità di inizio episodio esplode d’improvviso nel momento in cui il custode robotico a quattro zampe dormiente all’interno del magazzino rileva la presenza degli intrusi. Nell’immaginario di Black Mirror il goffo quadrupede robotico della gif è un implacabile predatore meccanico, una macchina che supera sotto ogni punto di vista le capacità sensoriali umane, utilizzata per braccare la preda fino alla sua inevitabile eliminazione.

La fuga di Bella, unica sopravvissuta del trio, occupa il resto del minutaggio dell’episodio. Una corsa disperata contro l’inesorabile superiorità del cane, programmato per non mollare mai il suo obiettivo, seguirne ogni traccia e superare qualunque difficoltà, anche a costo di lasciare letteralmente dei pezzi di sé lungo la strada.

Una versione bucolica di Terminator che per una volta non vuole trasmettere nessun messaggio recondito né farci riflettere sul presente. Questa volta l’obiettivo è il futuro prossimo, sempre che nella visione di Charlie Brooker ci sia ancora tempo e modo di sfuggire dalla natura artificiale che ci attende, fredda e spietata proprio come la messa in scena di Metalhead.



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Claudio Magistrelli

Pessimista di stampo leopardiano, si fa pervadere da incauto ottimismo al momento di acquistare libri, film e videogiochi che non avrà il tempo di leggere, vedere e giocare. Quando l'ottimismo si rivela ben riposto ne scrive su Players.

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