Akira Fudo, timido ed impacciato studente delle superiori, vive in simbiosi con il bizzarro amico Ryo Asuka, ricchissimo e brillante. Quando il secondo scopre che la Terra è popolata da demoni che vogliono eliminare il genere umano, costringe Akira ad unirsi al più potente dei demoni, Amon, per sventare la minaccia: Devilman è nato…

Devilman, figura storicamente fondamentale nella storia dei manga e degli anime giapponesi, nasce l’ 11 giugno 1972 (è più vecchio dell’autore di questo articolo…e ce ne vuole) quando sulla storica rivista Weekly Shōnen Magazine di Kōdansha inizia la sua serializzazione, che continuerà fino al 24 giungo del 1973. A firmare le avventure dell’uomo-demone è Gō Nagai, ai tempi già piuttosto famoso in patria, ma che proprio con quest’opera otterrà la consacrazione definitiva.

Il mondo occidentale scoprì il personaggio molto più tardi: la prima versione inglese del manga fu pubblicata in America nel 1986, mentre la serie anime, realizzata da Toei Animation, andò in onda quasi contemporaneamente alla pubblicazione della controparte cartacea, mentre noi italiani la scoprimmo agli inizi degli anni ’80, grazie alla prima invasione di anime (o cartoni animati, com’eravamo soliti chiamarli) giapponesi. Due strepitosi OAV vennero realizzati nel 1987 e 1990 e poi di Devilman non si seppe più nulla…fino a quando l’onnipresente Netflix non annunciò il rilancio in grande stile del personaggio, con una serie nuova di zecca, intitolata Devilman Crybaby, dieci episodi da venticinque minuti ciascuno, distribuiti contemporaneamente, come da tradizione del “canale”, qualche giorno fa.

Quarant’anni non sono pochi e l’operazione Devilman Crybaby ha il duplice scopo di attrarre le nuove generazioni, i millenials, che probabilmente non avevano mai sentito parlare del personaggio e quelli della vecchia guardia, per i quali Devilman è un nome da mettere nello stesso paniere dei ricordi assieme a Goldrake, Mazinga, Jeeg e gli altri eroi di quando eravamo bambini. L’incarico di riportare Devilman in vita è stato affidato a Masaaki Yuasa, classe 1965, già celeberrimo autore di classici e cult quali il film Mind Game e le serie Kaiba, The Tatami Galaxy e il recente Ping Pong The Animation (che avevamo inserito tra gli anime da vedere del 2014).

Missione compiuta? Assolutamente sì, anche se, meglio dirlo con franchezza, Devilman Crybaby nasce per essere divisivo: se da un lato è impossibile non restare affascinati dalla messa in scena, dalle tematiche affrontate e dalla ultraviolenza che caratterizza ogni episodio, dall’altro in molti potrebbero provare una certa repulsione per il particolarissimo chara utilizzato e per la qualità di animazioni e scenari, che effettivamente fanno pensare più ad un’opera “indie” che a una megaproduzione made in Netflix.

Devilman Crybaby è un’opera moderna, con tutti i vantaggi e gli svantaggi del caso: i social network hanno un ruolo decisivo nella storia, un gruppetto di personaggi si cimenta in composizioni hip-hop e rap ad ogni puntata (brani bellissimi, tra l’altro) e di miti e leggende si parla giusto quel tanto che basta per giustificare alcuni momenti della narrazione. I ragazzi protagonisti della storia, Akira Fudo, Ryo Asuka, Miki Makimura (l’elemento più puro e positivo della serie) sono, sulla carta, assolutamente normali e inseriti in un tessuto sociale e scolastico già visto e stravisto mille volte negli anime giapponesi. Tutto ciò però, è mera apparenza, perchè già dalla fine della prima puntata, Devilman Crybaby e Masaaki Yuasa ci trasportano in un mondo fatto di efferate violenze, sesso e un pessimismo cosmico che permea l’intera storia e che si conclude con un climax di incredibile veemenza visiva e di devastante impatto emotivo.

Devilman Crybaby è una serie isterica, disturbante, cattiva che riesce a catturare appieno lo spirito dell’opera originale, declinandolo con un linguaggio più moderno e accattivante. Puntata dopo puntata si assiste impietriti a scene orgiastiche, masturbazioni maschili e femminili, smembramenti assortiti, festini a base di droga, sangue versato a ettolitri da demoni mostruosi e deformi, che fanno a contrappunto a (poche) scene familiari e scolastiche che potrebbero essere prese da uno slice of life di buona fattura. Il tratto elementare e la regia schizofrenica di Masaaki Yuasa sono difficili da digerire all’inizio ma assolutamente funzionali alla riuscita del progetto. Il finale poi, è assolutamente straordinario, col suo tono allucinato e apocalittico.

Funziona bene l’equilibrio tra i diversi personaggi, che nonostante una narrazione veloce e a volte fin troppo frettolosa, riescono tutti ad essere finemente caratterizzati. Piace il modo con cui viene raccontato il doppio rapporto del protagonista con l’amico Ryu e l’oggetto del suo desiderio, non solo amoroso, ma quasi “etico”, Miki. Deprime, ma in questo caso è la morale della storia ad essere coerente coi presupposti da lei stessa creati, l’annientamento di ogni speranza, utopia e auspicio di una vita migliore per l’essere umano, ovviamente figura ben peggiore del demone più sanguinario.

Insomma, Devilman Crybaby non è assolutamente “per tutti” e non è priva di difetti, ma pare proprio che Netflix abbia calato il primo asso del 2018…



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Andrea Chirichelli

Classe '73. Giornalista da tre anni, ha offerto il suo talento a riviste quali Wired, Metro, Capital, Traveller, Jack, Colonne Sonore, Game Republic e a decine di siti che ovviamente lo hanno evitato con anguillesca agilità. Ha in forte antipatia i fancazzisti, i politici, i medici, i giornalisti e soprattutto quelli che gli chiedono foto.

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