Per chi ha meno tempo ma cova comunque un desiderio di binge watching The End Of The F***ing World (Jonathan Entwistle, 2017), serie tv britannica recentemente approdata su Netflix, potrebbe fare al caso suo. Composta di otto episodi da venti minuti ciascuno, la prima – forse unica – stagione tratta dall’omonimo fumetto di Charles Forsman, è un cocktail agrodolce da consumare tutto d’un fiato. La trama è semplice: una coppia di adolescenti problematici, la sociopatica Alyssa (Jessica Barden) e lo psicopatico James (Alex Lawther), decide di cambiare vita avventurandosi oltre i confini della squallida provincia di residenza. Se la meta di Alyssa è la dimora di un padre che non vede da tempo, quella di James pare essere quella più prossima del corpo della compagna, sul quale vorrebbe sfogare pulsioni da potenziale serial killer ormai incontenibili. Il viaggio, inutile dirlo, cambierà le loro prospettive e priorità…

Accolta positivamente sia in patria sia all’estero, The End Of The F***ing World sembra aver affascinato per la peculiare narrazione ciclotimica, capace di passare rapidamente dal dramma più torbido e penoso alla comicità più scorretta e demenziale. Il ritmo, che bene aderisce a una successione vertiginosa di eventi, non sembra subire alcuna battuta d’arresto, di fatto privando lo spettatore del tempo utile per riflettere su ciò che si trova davanti. Ed è un bene, perché a pensarci su (anche a posteriori) la storia non pare avere né le premesse né la stabilità per reggere oltre quei risicati limiti di tempo e spazio. Nonostante ciò il rapporto esclusivo tra i due personaggi non manca di evoluzione e arricchimento, offrendo una liaison coinvolgente e credibile, grazie anche alle ottime performance dei due protagonisti e all’attenzione prestata loro da una regia strategica (pedinamento continuo e fotografia espressiva).

Il mix crea da subito un feeling speciale tra spettatore e personaggi, tanto che tutto il resto può scorrere sfocato come dai finestrini di un’auto in corsa. Ed è proprio la scelta del road movie, nell’illustrazione degli eventi, a risultare vincente; un road movie in cui i crimini, più che reazioni all’establishment o tappe auspicate e godute – come nelle tante storie cui la serie trae ispirazione, da Accadde una Notte (Frank Capra, 1934), passando per Gangster Story (Arthur Penn, 1967) e La Rabbia Giovane (Terrence Malick, 1973), fino ad Assassini Nati (Oliver Stone, 1994) – rappresentano più che altro intoppi, veri e propri ostacoli da superare per raggiungere nuovi e sempre più insormontabili problemi. Se è vero che ogni età (anagrafica e storica) ha le sue insubordinazioni, espresse con i mezzi e i linguaggi di cui dispone, la ribellione di Alyssa e James pare distinguersi per una comicità prostrata, dal retrogusto amarissimo – alla forza esplosiva del prodotto di genere si sostituisce sempre più l’indolenza del racconto sociale – quella indotta da un mondo-prigione costituito da soli limiti, muri contro cui (forse) è meglio scontrarsi il più tardi possibile…



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