Moonie è una ragazzina seienne che vive assieme alla madre disoccupata, che sbarca il lunario con truffe e prostituzione, in un hotel in Florida, vicino a Disneyland, chiamato Magic Castel Hotel. Nonostante il degrado e la miseria che la circonda, riesce lo stesso a divertirsi assieme agli amici Scooty e Jancey, sotto la benevola ma ferma supervisione di Bobby, il “manager” della struttura. Mano a mano che passano i giorni però, le marachelle della bambina diventano sempre più pericolose e un giorno, davanti alla porta di casa, arrivano gli assistenti sociali…

Piccolo è bello: non sempre, ma spesso sì. Sean Baker, regista e sceneggiatore assieme a Chris Bergoch, con The Florida Project firma la sua opera migliore dopo gli interessanti Prince of Broadway, Starlet e Tangerine: la più intensa, emozionante e vera, graziata da un cast eccezionale e capace di descrivere alla perfezione un pezzo di America (e mondo) di cui non si parla mai abbastanza.

In The Florida Project, di fatto, non c’è plot o trama. La camera segue le avventure dei ragazzini, piccoli Huckleberry Finn, che fanno e disfano, corrono e scherzano, elemosinano e piangono e magari danno “accidentalmente” fuoco ad un edificio mentre le madri cazzeggiano, cercano di raccattare qualche soldo come cameriere o prostitute o truffando il prossimo e i mariti sono completamente assenti. Sì, nonostante la vicinanza al parco divertimenti c’è ben poco di Disneyano in The Florida Project, che però non fa la mai la morale nè dipinge i suoi protagonisti con finta pietà o superficiale compassione: il film, che si traveste spesso da eccezionale documentario sull’infanzia, non giudica, nè sentenzia, ma si limita a mostrare e illustrare.

Moonee è una ragazzina sveglia e già grande, nonostante abbia sei anni: visto il contesto e ciò che la circonda non può far altro; non è stata ancora corrosa dal presente, ha ancora sufficiente fantasia per creare e vivere in un mondo fantastico assieme ai suoi amici, così distante da quello vero e drammatico della madre Halley, ma sa che il sogno non dura per sempre e che la vita può bussare alla sua porta, magari sotto l’aspetto di anonimi assistenti sociali. Gli hotel a basso costo e i postacci (con piscina comune) nei dintorni di Disneyworld diventano dei territori da esplorare, pieni di pericoli e di magia.

The Florida Project riesce nel miracolo di raccontare, anzi, mostrare, la stessa storia da diversi punti di vista, tutti egualmente credibili: il lavoro clamoroso fatto con la piccola Moonne è replicato con pari efficacia con i personaggi della madre, la svalvolata Halley e soprattutto del adulto Bobby, unica persona responsabile e con la testa sulle spalle dell’assurdo “hotel-condominio” a tinte pastello che si trova a dover gestire.

The Florida Project non sarebbe il piccolo capolavoro che è, se non fosse graziato dalla presenza di un cast così meraviglioso: Dafoe, l’unico nome noto, lavora di sottrazione, senza eccessi e conferisce un’aura paterna e umanissima al suo Bobby, cuscinetto che prova a evitare le frizioni tra i condomini, tra madre e figlia, tra il mondo esterno e il microcosmo del Magic Castel Hotel. Fuori parametro sono le performance di Bria Vinaite, pescata dal regista su Instagram e soprattutto della piccola Brooklynn Prince (e relativi amichetti, Valeria Cotto e Christopher Rivera) che conferma quanto sia infinito il bacino di pesca tra i giovani talenti da cui attinge a piene mani il cinema indie americano.

 

Se fosse un anime giapponese, The Florida Project verrebbe con pieno merito inserito nella categoria “slice of life“, quelle storie in cui non succede nulla che non potrebbe accadere ad una persona normale nel quotidiano svolgimento della sua esistenza. La vita è già prodiga di piccoli eventi eccezionali, meravigliosi e terribili, a qualsiasi età e per qualsiasi ceto sociale e The Florida Project ce lo ricorda come meglio non si potrebbe.



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Andrea Chirichelli

Classe '73. Giornalista da tre anni, ha offerto il suo talento a riviste quali Wired, Metro, Capital, Traveller, Jack, Colonne Sonore, Game Republic e a decine di siti che ovviamente lo hanno evitato con anguillesca agilità. Ha in forte antipatia i fancazzisti, i politici, i medici, i giornalisti e soprattutto quelli che gli chiedono foto.

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