T’Challa, dopo gli eventi di Civil War, torna a Wakanda, il suo paese natio, tecnologicamente avanzatissimo grazie allo sfruttamento del vibranio ma che ha deciso di celarsi agli occhi del mondo fingendo di essere ancora un paese povero e arretrato, per reclamare il trono di cui è erede legittimo. Sulla sua strada però si mette il malvagio Erik Killmonger, che ambisce anch’esso alla leadership, con lo scopo di scatenare una guerra su scala globale…

Sulla carta doveva essere un “semplice” episodio di raccordo e utile a calmare la febbrile attesa degli appassionati per The Avengers: Infinity War ma all’atto pratico Black Panther dimostra di avere una forte identità personale e riesce nella non facile impresa di funzionare più come film a sè stante che come tessera(ct) del gigantesco puzzle elaborato da Disney & Marvel nell’ultimo decennio.

La sceneggiatura di Ryan Coogler e Joe Robert Cole dà al film un taglio diverso rispetto agli altri episodi dell’ MCU: c’è molto Shakespeare e tanti “affari di famiglia”, con tradimenti, parenti stretti che si uccidono ed eredi che cercano vendette e che tramano per la salita al trono; c’è un pizzico di 007, grazie ad una parte iniziale fortemente improntata alle classiche spy story, con tanto di “Q” pronto a rifornire l’eroe della tecnologia necessaria per raggiungere i suoi obiettivi; c’è, infine, un sottile ma non inconsistente messaggio politico che suona piuttosto innovativo in ambito superoistico.

Black Panther parte bene, si prende qualche pausa di troppo nella parte centrale, eccessivamente verbosa e compassata, e spara tutti i botti restanti nel finale, che chiude in modo soddisfacente un film piacevolmente autonomo, che non ha bisogno di camei e comparsate celebri per convincere (l’unica è nella classica sequenza alla fine dei titoli di coda).

Piacciono molto i personaggi femminili, che acquistano maggior spessore e importanza nell’economia della storia rispetto alla (peraltro risibile) media dei Marvel Movie, piace il Wakanda, finemente tratteggiato come landa apparentemente selvaggia ma tecnologicamente avanzatissima e tutti i valori produttivi, eccezionali costumi in testa, rappresentano lo stato dell’arte.

Paradossalmente, è proprio l’eroe a risultare forse l’elemento meno convincente, almeno rispetto al suo scoppiettante esordio visto in Civil War e perde parecchio, quanto a carisma, nei confronti del villain di turno, per una volta ben caratterizzato. Qualche dubbio, e anche questa è una novità per il filone, suscitano le sequenze d’azione su cui teoricamente dovrebbe basarsi il film: poco numerose e, tutto sommato, nemmeno particolarmente spettacolari. Black Panther è molto più simile a un comic trasportato sul grande schermo che a un classico blockbuster “spari e botti” ed in questo senso la scelta di Coogler di prendersi della pause di riflessione è piuttosto coraggiosa.

Il cast all-black funziona a meraviglia: il terzetto femminile Lupita Nyong’o/Letitia Wright/Danai Gurira (la Michonne della serie TV The Walking Dead) “spacca”, Michael B. Jordan (alla terza collaborazione con Coogler dopo Fruitvale Station e Creed) conferisce la giusta umanità al “cattivo” Erik Killmonger, i veterani Angela Bassett e Forest Whitaker (e anche Freeman e Serkis) firmano il compito con professionalità, mentre Chadwick Boseman sembra meno a suo agio rispetto a Civil War, soffrendo un po’ troppo l’aumentato minutaggio a sua disposizione.

Per farla breve, anche se con qualche riserva, Marvel ha fatto un centro anche stavolta. Adesso non resta che vedere se riuscirà a chiudere degnamente questo lungo viaggio, magari ricordandosi che, come diceva un celebre ed umanissimo eroe di qualche anno fa, di solito il terreno cede sotto i piedi proprio quando si è in prossimità della meta…



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Andrea Chirichelli

Classe '73. Giornalista da tre anni, ha offerto il suo talento a riviste quali Wired, Metro, Capital, Traveller, Jack, Colonne Sonore, Game Republic e a decine di siti che ovviamente lo hanno evitato con anguillesca agilità. Ha in forte antipatia i fancazzisti, i politici, i medici, i giornalisti e soprattutto quelli che gli chiedono foto.

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