Roman Polansky (classe 1933) con la sua adorata musa Emmanuelle Seigner torna al thriller con risvolti psicologici, un genere nel quale si è cimentato parecchio in passato, con risultati talvolta eccezionali (L’Inquilino del 3° piano, Frantic, La Nona Porta…) e lo fa traendo spunto da una storia vera, a tal punto che il titolo originale del film è proprio D’apres une histoire vrai, come nel romanzo bestseller di Delphine Vigan. Ad onore del vero però il plot non è quanto di più originale si è visto finora, anzi, i deja-vu sono davvero tanti. Forse i difetti stanno nella sceneggiatura di Olivier Assayas che in alcuni passaggi non regge del tutto e che risulta poco incisiva quando cerca di imitare troppo Misery non deve morire.

Delphine (Emmanuelle Seigner) è un’autrice di successo che ha appena pubblicato un libro tratto dall’esperienza della madre con la malattia mentale. Alla firma del libro incontra l’enigmatica Elle, interpretata da Eva Green, una fan molto entusiasta e un po’ strana… Nei giorni che seguono Delphine continua a imbattersi in questa donna e, nonostante i suoi approcci insistenti e un po’ da stalker, le due fanno amicizia, un’amicizia intensa, complice e a tratti morbosa. Le avvisaglie di qualcosa che non funziona cominciano ad arrivare dopo il furto dei taccuini privati di Delphine durante un viaggio in metropolitana con Elle, poi le cose peggiorano quando la donna si trasferisce proprio di fronte alla casa di Delphine, o, ancor di più, quando Elle invita Delphine alla sua festa di compleanno e ne rimane unica ospite… non vado oltre, per non sciuparvi quel tocco di leggera suspense che sottende tutta la vicenda e che ci condurrà ad un finale molto antitetico, anche se in verità poco convincente…

Nonostante ciò, ci sono più livelli attraverso i quali godersi questo psico-thriller che, a suo modo, è molto polanskiano; ad esempio la pulizia registica e l’incedere elegante del montaggio, oppure la capacità di ricreare alcune atmosfere e situazioni che ricordano capolavori come Rosemary’s Baby o Repulsion e, ancora, l’ottima direzione degli attori, abilità con cui Polansky ha dimostrato di riuscire a rendere convincenti anche action star hollywoodiane molto legate ai loro cliché come Deep, Ford o Brosnan.

Benchè non del tutto riuscito, insomma, Quello che non so di lei rimane un’opera godibile e di molto superiore alla maggior parte delle pellicole che trattano l’argomento “ossessioni, stalking e problematiche psichiche” e, se proprio non vi riesce di vederlo al cinema (la distribuzione nelle sale è piuttosto limitata e soffocata dai soliti furbacchioni della comedy italiana da botteghino…), vale la pena di recuperarlo in edizione domestica, per una serata di buon cinema ancora, indubbiamente, d’autore. Anche se il Maestro ha un po’ il fiato corto…



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