8 marzo

Immaginate questo Speciale 8 Marzo non come una lista in ordine di importanza ma come una tavola rotonda intorno alla quale siedono personaggi femminili unici e memorabili: ciascuno di loro, a vario titolo, ha lasciato il segno divenendo apripista per una rappresentazione della donna libera da stereotipi, due su tutti: il love interest e la damsel in distress.

Ho inserito personaggi di serie già concluse. La cernita è ovviamente parziale e, soprattutto, manca una rappresentazione di donne di colore: punto sul quale sia il mondo seriale che la sottoscritta dobbiamo impegnarci molto di più.

8 marzo

Buffy Summers (Buffy L’Ammazza Vampiri)

Ha trasceso il mezzo e il genere per diventare fenomeno culturale e icona del femminismo. La serie (ne abbiamo parlato qui) si è fatta beffe di ogni cliché per consegnare una protagonista la cui leadership non è mai messa in discussione, né viene conquistata dimostrando a tutti i maschi presenti di averlo meritato più di loro. Buffy non è definita dai suoi fidanzati, piuttosto il contrario. Regge da sola il “peso del mondo”, ma non si isola mai, Whedon l’ha anzi circondata di numerose, autonome, presenze femminili rappresentando l’amicizia tra donne in modo sfaccettato e via via sempre più maturo. Buffy è un esempio luminoso di emancipazione e autodeterminazione, e la lezione più grande che lascia – alla fine – è di condivisione del proprio potere con le altre donne a dispetto di quello che gli uomini che forgiarono la prima cacciatrice ebbero intenzione di fare.

8 marzo

Kara Thrace aka Starbuck (Battlestar Galactica)

Spavalda, sbruffona, temeraria, Starbuck è uno dei motivi per cui seguire Battlestar Galactica. Al momento di dare il via a una serializzazione partendo dalla miniserie degli anni ’80, Ronald D. Moore decise di trasformare Starbuck, originariamente interpretato da Dirck Benedict, in un personaggio femminile. Il genderswap ha inizialmente attirato gli strali di fan, critici e dello stesso attore, ma la scelta si è rivelata illuminata e vincente. Il personaggio non ha perso nessuno dei tratti originali dimostrando quanto e come determinate caratteristiche – coraggio, spregiudicatezza, prontezza di riflessi – possono essere non solo declinate al femminile, ma addirittura calzare meglio.

Lo Starbuck di Dirk Benerdick alla fin fine era il classico eroe arrogantello e donnaiolo senza molto da offrire sulla lunga distanza narrativa. Katee Sackhoff conferisce dimensione al personaggio modulando vulnerabilità e tenerezza su un’indole straripante e goliardica, provando al contempo come una donna sia convincente e plausibile anche nell’interpretare un asso dell’aviazione, ruolo tradizionalmente maschile. Starbuck ha incarnato anche un diverso tipo di femminilità, qualità troppo spessa incasellata e rappresentata secondo standard ottocenteschi.

8 marzo

Donna Clark/Cameron Howe (Halt And Catch Fire)

La serie parla del futuro o meglio, della visione del futuro, e sebbene sia Joe a incarnare l’ansia di inventare la next big thing, sono Cameron e Donna a intuirlo e ad avere i mezzi per renderlo possibile. Halt And Catch Fire ha trovato la sua strada nel momento in cui si è focalizzato sulle due protagoniste antitetiche per carattere, personalità e approccio alla vita ma il cui talento, ammirazione e affetto reciproco hanno finito per costituire l’ossatura della serie anche nei momenti di indifferenza o aperta ostilità tra le due.

Cameron è il prodigio continuamente sull’orlo della depressione, Donna è il talento unito al pragmatismo: due mondi femminili accomunati dalle stesse sfide poste dal muoversi in un ambiente fortemente maschile (e maschilista) come quello della Silicon Valley. Un’amicizia, uno scontro e un’affinità tra due donne che hanno raccontato quasi un ventennio della rivoluzione tecnologica che ha permesso la “connessione”. E parlando in senso filosofico di connessione, il modo in cui Donna alla fine riesce a “raggiungere” Cameron – là dove Joe, Tom e tuti gli altri uomini della sua vita avevano fallito – è uno dei momenti narrativi più coerenti, insoliti e profondi della serialità televisiva.

8 marzo

Stella Gibson (The Fall)

Per Stella Gibson farò un’eccezione: anziché essere io a parlarvi di questo detective specializzato nella caccia ai serial killer, farò parlare lei:

Stella a proposito della rappresentazione delle donne vittime di abusi nei media:

What if he kills a prostitute next? Or a woman walking home drunk? Late at night in a short skirt? Will they be in some way less innocent therefore less deserving? Culpable. The media loves to divide women into virgins or vamps, angels or whores. Let’s not encourage them

A proposito di consenso e violenza, tragicamente attuale, da far scolpire a imperitura memoria:

Men always think in terms of fight or flight. In fact, the most common instinct in the face of this kind of threat is to freeze. If she didn’t fight, if she didn’t scream, if she was silent and numb, it’s because she was petrified. If she went with him quietly, it’s because she was afraid for her life. And not just her life—yours and Nancy’s and the baby’s.

In that state of fear she might well have been compliant. She might well have submitted. But that does not mean she consented.”

Potrei riportare pagine e pagine di script per quanto Stella Gibson spieghi in modo inappuntabile sessismo, maschilismo, violenza, ipocrisia sociale e doppia morale. Una serie che andrebbe studiata e discussa nelle scuole.

Adelle Dewitt (Dollhouse)

Dollhouse non è la creatura più amata di Whedon complice anche, di nuovo, la Fox che si è prodotta in numeri da circo pur di ostacolare lo sviluppo della serie così come era stata concepita. Il risultato è stato altalenante, anche se alla fine ha convinto, ma su un elemento sono stati d’accordo tutti fin dall’inizio: la Adelle Dewitt di Olivia Williams era una fuoriclasse. Il britannico aplomb, unito a curiosità intellettuale e spiccate doti di controllo, hanno modellato un personaggio femminile attraente e ambiguo, autoritario ma con rari – e quindi ancor più preziosi – momenti di abbandono. Classe, intelligenza, carattere di ferro e doti di sopravvivenza: è lei il personaggio che guiderà il mondo post apocalisse.

8 marzo

Olivia Dunham (Fringe)

Per cinque stagioni gli occhi verdi di Olivia sono state due finestre spalancate sull’anima di un personaggio ricco di calore umano e dei più nobili sentimenti che si possano aspirare a provare. Sulla carta l’agente Dunham poteva essere il trito e mesto cliché della donna emozionalmente chiusa, fredda e con un passato traumatico. Nel mondo narrativo è ancora persistente lo stereotipo che vuole una donna interessata a lavorare nelle forze dell’ordine solo se ha subito un trauma, o deve dimostrare qualcosa al padre, meriterebbe una trattazione a parte, perché figurarsi se una donna può essere semplicemente portata o desiderosa di contribuire alla protezione dei propri simili…

Nella resa della serie, fortunatamente, Olivia Dunham è sì un’agente e autorevole e una donna riservata, ma non è mai né fredda né rigida: vive un legame profondo con sua sorella e sua nipote, è dotata di una notevole empatia verso gli altri esseri umani, una grande pazienza e un limpido senso del giusto. Un esempio di come un personaggio femminile possa essere rigoroso e dedito al proprio lavoro senza che queste caratteristiche vadano a scapito della propria umanità. Olivia Dunham è l’esempio di come il genere sci-fi possa essere terreno fertile per una protagonista femminile.

Alicia Florrick (The Good Wife)

The Good Wife ha parlato sempre al femminile mettendo in scena personaggi monumentali come Diane, o innovativi come Kalinda (ne abbiamo parlato qui) ma l’elemento catalizzatore, il motivo dell’esistenza della serie stessa è Alicia Florrick, una donna che viene sottratta al suo torpore borghese da uno schiaffo metaforico della vita e da uno letterale: quello che riserva al marito quando decide che lo stargli di fianco come figurante a disposizione non farà mai più parte della sua esistenza. Alicia Florrick è un personaggio granitico su valori di integrità e unione famigliare, ma in rapida e letale evoluzione sul fronte professionale e politico.

Il suo risveglio a una vita attiva, problematica e non più ovattata, comporta anche il risveglio sessuale e sentimentale di una donna non incasellabile nonostante sul suo conto siano effettivamente spuntabili tutte le caselle riguardo ai classici ruoli femminili: madre, moglie, collega, amica. Sul fronte femminismo non è la scelta più limpida, ma desiderare una rappresentazione femminile non stereotipata, complessa e stratificata significa anche avere personaggi che vivono di vita propria e non come piacerebbe a noi.

Daenerys Targaryen (Game Of Thrones)

La madre dei draghi è stata resa orfana ed esiliata, venduta come bestiame dal fratello, ha subito violenze, tradimenti e sconfitte, ma ne è uscita ogni volta più determinata e focalizzata sull’obiettivo che è sì quello di sedere da regina sul trono di spade, ma per mettere in atto la sua visione del mondo: spezzare la ruota che divide l’umanità in padroni e schiavi. Un’idea un po’ socialista, un po’ illuminista del potere, ma comunque improntata alla giustizia. Daenerys si è circondata di abili, astuti e navigati consiglieri ma alla fine segue il consiglio di un’altra eccellente donna: “You’re a dragon. Be a dragon” la esorta Lady Olenna, e Dany capisce che a un passo dal trono è tempo di assecondare compiutamente la sua natura e far affidamento sul proprio intuito.

SPOILER Benioff e Weiss si sono mostrati incapaci di realizzare una stagione finale degna di una serie che ha trasversalmente appassionato mezzo mondo. A causa delle scelte narrative scellerate dettate da fretta, miopia e incapacità, è proprio Daenerys a subire il trattamento peggiore che si traduce in una sorta di colpo di spugna.

8 marzo

Mags Bennett (Justified)

La seconda stagione di Justified è un saggio su come scegliere un personaggio femminile come villain evitando che il personaggio in questione debba ricorrere a sesso e seduzione per perseguire i suoi fini.

Justified è una serie ad altissimo tasso di alphamachismo, il suo protagonista Raylan Givens sembra un innesto tra John Wayne, James Stewart e Wyatt Earp, ma con maggiore ironia. Con un tipo del genere gli antagonisti non hanno avuto vita facile, mentre le donne che si sono succedute a vario titolo al fianco di Raylan sono quasi sempre rientrate nello stereotipo della bellona problematica/femme fatale. La seconda stagione – probabilmente la migliore – vede però l’arrivo di Mags Bennett, una signorotta dall’aspetto placido e semplice, ma dalla natura cinica e spietata: una drug lady del sud con un cervello di prim’ordine per gli affari e un viscerale e orgoglioso attaccamento alle sue origini. Mags Bennett a discapito dell’essere una donna sola, con soli figli maschi non propriamente fulmini di guerra, ha costruito un piccolo impero, ha intenzione di espanderlo e Raylan più di una volta deve abbassare la testa di fronte alla temeraria e calcolatrice signora. Nel 2011 il ruolo è valso un meritato emmy a Margot Martindale.



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Mara Ricci

Serie tv, Joss Whedon, Jane Austen, Sherlock Holmes, Carl Sagan, BBC: unite i puntini e avrete la mia bio. Autore e redattore per Serialmente, per tenermi in esercizio ho dedicato un blog a The Good Wife.

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